D.L. Giustizia 2016, rito camerale in Cassazione: proposta, decreto, adunanza

Cesare Trapuzzano
14 Novembre 2016

Per effetto della riforma di cui all'art. 1-bis del d.l. n. 168/2016, conv. con modificazioni in l. n. 197/2016, il modello generale di definizione del contenzioso pendente davanti alla Corte di Cassazione è divenuto quello camerale. Per converso, si configura come modello speciale di decisione il procedimento camerale regolato dalla novella per le ipotesi in cui il ricorso sia inammissibile o manifestamente fondato o manifestamente infondato.
Rito camerale generale e speciale

Secondo la novella, significativamente ispirata all'esigenza di contenere la durata del procedimento per la decisione del ricorso per cassazione entro termini ragionevoli, in ciò corroborata dalle prescrizioni presidenziali interne emesse in ordine all'adozione di una motivazione sintetica dei provvedimenti finali (vedi decr. Canzio del 14 settembre 2016), il rito camerale diviene il rito ordinario, mentre il rinvio del processo all'udienza pubblica è previsto come ipotesi eccezionale. Precisamente, tale eccezione è integrata quando la trattazione in pubblica udienza sia resa opportuna dalla particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale la Corte deve pronunciare, ossia dal suo spiccato valore nomofilattico (ai sensi dell'art. 65, comma 1, dell'ordinamento giudiziario di cui al r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, quando la decisione abbia una concreta incidenza sull'esatta osservanza e sull'uniforme interpretazione della legge, ovvero sull'unità del diritto oggettivo nazionale). E che il modello dell'udienza pubblica costituisca oramai una deroga dal modello camerale ordinario è reso evidente dalle locuzioni utilizzate dalla riforma: l'art. 375, comma 2, prescrive, infatti, che «in ogni altro caso», la Corte si pronuncia con ordinanza in camera di consiglio, «salvo» che non si prospettino questioni in diritto di particolare rilievo ovvero «salvo» che il ricorso trattato nell'adunanza camerale della Sesta Sezione non sia definito e sia rimesso alla corrispondente sezione semplice.

Il rito camerale generale, secondo la previsione dell'art. 380-bis.1.c.p.c., rubricato «Procedimento per la decisione in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice», come introdotto dall'art. 1-bis, comma 1, lett. f), si sviluppa secondo le seguenti fasi procedimentali:

  • fissazione con decreto presidenziale del ricorso in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice;
  • comunicazione agli avvocati delle parti e al pubblico ministero di tale decreto almeno 40 giorni prima dell'adunanza fissata;
  • possibile deposito in cancelleria, a cura del pubblico ministero, delle sue conclusioni scritte non oltre 20 giorni prima dell'adunanza in camera di consiglio;
  • possibile deposito in cancelleria, a cura delle parti, delle loro memorie non oltre 10 giorni prima dell'adunanza in camera di consiglio;
  • adunanza in camera di consiglio del collegio giudicante senza l'intervento del pubblico ministero e delle parti.

A fronte di questo modello camerale ordinario, il legislatore della novella contempla un modello camerale speciale per i casi previsti dall'art. 375, primo comma, nn. 1) e 5), ossia quando il ricorso appaia inammissibile o manifestamente fondato o manifestamente infondato dinanzi alla sezione-filtro. In queste ipotesi, su proposta del relatore della sezione indicata nell'art. 376, comma 1, c.p.c. (appunto la sesta sezione), il presidente fissa con decreto l'adunanza della Corte, indicando se è stata ravvisata un'ipotesi di inammissibilità, di manifesta infondatezza o di manifesta fondatezza del ricorso. Almeno 20 giorni prima della data stabilita per l'adunanza, il decreto è notificato agli avvocati delle parti, i quali hanno facoltà di presentare memorie, mediante deposito in cancelleria, non oltre 5 giorni prima di detta adunanza. All'esito dell'adunanza camerale, ove il collegio ritenga che non ricorrano le ipotesi previste dall'art. 375, primo comma, nn. 1) e 5), rimette la causa alla pubblica udienza della sezione semplice. Diversamente deciderà con ordinanza. Già in prima battuta, si può dunque evidenziare che il legislatore della novella aderisce, non già ad un modello camerale contraddistinto dalla possibilità di interloquire per iscritto durante l'iter formativo della decisione, discutendo il progetto di decisione predisposto dal relatore, bensì ad un modulo camerale puro, ossia non partecipato, ritornando allo schema classico dell'udienza in camera di consiglio e ispirandosi al modello camerale vigente in sede penale. È opportuno approfondire, alla stregua di una prima lettura del nuovo testo normativo, le relazioni che sussistono tra la proposta del relatore, il decreto presidenziale di fissazione dell'adunanza e lo svolgimento dell'adunanza camerale.

Il rapporto tra proposta e decreto nel caso di ricorso inammissibile o manifestamente fondato o infondato

Con riferimento al rito camerale speciale, su proposta del consigliere designato relatore, il presidente della Sesta Sezione fissa l'adunanza in camera di consiglio, indicando con il decreto di fissazione se sia stata ravvisata un'ipotesi di inammissibilità, manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso. In base alla lettera dell'art. 380-bisc.p.c., il decreto si limiterà a riportare l'esito finale della valutazione compiuta, ossia il rilievo secondo cui, in ragione dell'esame preliminare del ricorso, quest'ultimo appare inammissibile, manifestamente fondato o manifestamente infondato, senza esplicitare il percorso argomentativo, necessariamente anticipatorio della decisione in astratto e potenzialmente anticipatorio della decisione in concreto, che ha condotto a tale esito. L'indicazione alla quale la novella si riferisce si profila come meramente assertiva e non analitica o espositiva. Per l'effetto, agli avvocati sarà notificato (ossia trasmesso in copia per esteso) il solo decreto di fissazione dell'adunanza, contenente tale indicazione, effettuata sulla scorta di una delibazione sommaria e prima facie. Ne consegue che detto decreto sarà così concepito: si fissa l'adunanza in camera di consiglio, ai sensi del combinato disposto degli artt. 375, primo comma, n. 1 o n. 5, e 380-bis c.p.c., prospettandosi (prima facie o alla stregua di una delibazione sommaria) un'ipotesi di inammissibilità del ricorso ovvero di manifesta fondatezza o di manifesta infondatezza dello stesso. Sicché non sarà più comunicata la relazione con la concisa esposizione delle ragioni che possono giustificare la relativa pronuncia (c.d. opinamento), come era previsto nella precedente versione dell'art. 380-bis. In conseguenza, quando il consigliere relatore della sezione-filtro individui la sussistenza di uno dei presupposti regolati dall'art. 375, primo comma, nn. 1) e 5), che dà luogo al modello camerale contemplato dall'art. 380-bis, le parti devono esserne informate (ma non devono essere messe al corrente delle motivazioni per le quali si ravvisa tale presupposto), affinché possano esprimere le loro osservazioni sul punto prima della decisione finale. In questo senso è indirizzata la lettera della disposizione, che si limita ad esigere la mera indicazione della causa ultima o finale della scelta del rito camerale speciale. Le opzioni teoricamente possibili sarebbero state le seguenti:

  • che il decreto si fosse limitato ad indicare genericamente la sussistenza di uno dei presupposti previsti dall'art. 375, primo comma, n. 1) o n. 5), senza specificare quale, ai fini della trattazione in camera di consiglio presso la sezione-filtro;
  • che il decreto di fissazione dell'adunanza camerale avesse specificato quale presupposto si riteneva ravvisato nella fattispecie, tra quelli menzionati dall'art. 375, primo comma, n. 1) o n. 5);
  • che il decreto avesse illustrato anche, mediante una concisa esposizione, le potenziali ragioni giustificatrici della pronuncia di inammissibilità, manifesta fondatezza o manifesta infondatezza. Il dettato letterale della novella propende in modo chiaro per l'opzione intermedia.

Il che emerge con ancora più evidenza qualora si raffronti il precedente testo dell'art. 380-bis con l'attuale testo: prima si richiedeva espressamente il «deposito in cancelleria», a cura del relatore designato, di una «relazione» contenente «la concisa esposizione delle ragioni che possono giustificare la relativa pronuncia» di inammissibilità, manifesta fondatezza o manifesta infondatezza; oggi si prevede che, «su proposta del relatore», senza che sia menzionato alcun deposito di tale proposta in cancelleria (sic!), il «presidente» fissa «con decreto» l'adunanza camerale, in cui dovrà essere «indicato» se sia stata «ravvisata un'ipotesi di inammissibilità, di manifesta infondatezza o di manifesta fondatezza del ricorso» (non già le ragioni, ma l'ipotesi «conclusiva» ravvisata). In claris non fit interpretatio.

Non si ritiene che la mera indicazione del presupposto tipizzato che è stato prima facie ravvisato nella fattispecie, senza la prospettazione delle relative cause giustificative, importi violazione dei parametri costituzionali di cui all'art. 111, sesto comma, Cost., che impone che tutti i provvedimenti giurisdizionali debbano essere motivati, nonché di cui agli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., che tutelano il diritto di difesa e il principio del contraddittorio, in quanto diversamente le parti non sarebbero poste nella condizione di poter esercitare effettivamente le proprie difese, finendo con l'essere costrette a formulare delle memorie “al buio”. E ciò per le seguenti ragioni, che vanno oltre la lettera della legge.

A) Non vi è alcun principio ordinamentale che impone al giudice di anticipare, seppure allo stato di una delibazione sommaria, le ragioni della decisione, a fronte di un thema decidendum che rimane immutato, benché abbia sottoposto alle parti un profilo di ammissibilità o di possibile fondatezza o infondatezza dell'azione. Ed invero, se il giudice ritenga di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d'ufficio, pur dovendo «enunciare» alle parti tale questione, ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.c., al fine di consentire la presentazione delle relative osservazioni sul punto, prima di assumere ogni deliberazione finale, non deve puntualizzare le ragioni per le quali, allo stato, quella questione appare idonea a definire il giudizio, ossia perché appare pertinente o fondata. Medesima conclusione vale con riguardo alla mera indicazione dei presupposti che legittimano la scelta del rito, presupposti peraltro vagliati, in base ad un esame prima facie, dal relatore e non dal collegio. Sebbene tali presupposti interferiscano con il tenore della decisione (inammissibilità, manifesta fondatezza o infondatezza), non ne anticipano necessariamente l'esito, ma permettono appunto l'individuazione del rito applicabile, senza avere una portata vincolante, sicché non devono costituire oggetto di un'esposizione analitica. Pertanto, il percorso sillogistico si manifesta seguendo le seguenti scansioni: secondo il relatore, il ricorso appare a bocce ferme inammissibile o manifestamente fondato o infondato; questa condizione deve essere esternata per giustificare l'applicazione del rito camerale; i difensori delle parti, all'esito, dedurranno sul punto con il deposito delle memorie scritte; in conseguenza, il collegio, con una cognizione piena, che dovrà considerare anche le riflessioni provenienti dalle parti, delibererà se effettivamente l'inammissibilità o la manifesta fondatezza o infondatezza sussista. In sostanza, la mera indicazione del presupposto che legittima la scelta del rito camerale non costituisce sinonimo di decisione anticipata. Similmente, quando il giudice di merito ritiene la causa matura per la decisione, senza bisogno di assunzione dei mezzi di prova richiesti dalla parte attrice ed indispensabili per ottenere l'accoglimento della domanda (come una consulenza tecnica d'ufficio sulla quantificazione dei danni invocati), ai sensi dell'art. 187, comma 1, c.p.c., fissa l'udienza di precisazione delle conclusioni, anche alla prima udienza, ai sensi dell'art. 80-bis disp. att. c.p.c., ma non è tenuto ad esporre le ragioni per le quali la causa può essere decisa allo stato degli atti. Allo stesso modo, ai sensi dell'art. 187, comma 2 e 3, c.p.c., il giudice di merito può rimettere la causa in decisione affinché sia decisa separatamente una questione pregiudiziale di rito o preliminare di merito, idonea potenzialmente a definire il giudizio, senza specificare le ragioni di possibile fondatezza della questione, tali da escluderne la delibazione unitamente al merito. Ed ancora, il giudice di merito, quando ritiene che la lite non riguardi questioni complesse e non esiga un'istruttoria articolata, può compiere (non è detto che la compia) una prognosi sull'esito della lite, disponendo il passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione, senza esplicitare le ragioni di merito che legittimano tale mutamento, ai sensi dell'art. 183-bis.

B) Il decreto di fissazione dell'adunanza camerale è un provvedimento interlocutorio e non decisorio, sicché non soggiace all'obbligo costituzionale della motivazione (che invece riguarderà esclusivamente l'ordinanza conclusiva del rito camerale).

C) Né la conclusione in ordine alla necessità della motivazione può trarsi in via indiretta dalla circostanza che, in presenza di determinati presupposti, la decisione avviene secondo il modello camerale, anziché in base al modello dell'udienza pubblica, non solo perché il modello camerale assicura comunque l'attuazione del contraddittorio, non avendo il modello dell'udienza pubblica e della correlata discussione orale una valenza costituzionale, quantomeno esclusiva, ma anche perché, all'esito della novella, il modello camerale è divenuto il canale ordinario e prevalente di sviluppo della decisione. A fronte di un modello camerale che è oramai la regola e che non necessita di alcuna giustificazione del suo utilizzo, tant'è che, al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 380-bis, la fissazione dell'adunanza camerale con decreto presidenziale presso la sezione semplice non deve riportare alcuna indicazione dei presupposti legittimanti, non ha senso richiedere che il decreto presidenziale di fissazione dell'adunanza camerale per inammissibilità, manifesta fondatezza o manifesta infondatezza del ricorso presso la sezione-filtro riporti, oltre all'emarginazione del presupposto giustificativo dell'accesso a tale rito camerale speciale (rispetto al rito camerale generale), anche le causali o le motivazioni o le ragioni del presupposto ritenuto prima facie integrato, in quanto il rito in concreto prescelto non è più derogatorio del modello-base, come avveniva invece in passato. Solo prima della novella aveva un senso la relazione espositiva, a giustificazione della scelta di un rito camerale derogatorio del modello ordinario dell'udienza pubblica. Piuttosto, la necessità di indicazione del presupposto legittimante, quale mera esplicitazione della ragione ultima della scelta del rito camerale speciale, e senza alcuna valenza preclusiva della futura decisione definitiva, trova spiegazione nella circostanza che, rispetto al rito camerale ordinario, si prescinde dalla partecipazione del pubblico ministero, che non è coinvolto nella vicenda processuale neanche mediante la formulazione di conclusioni scritte, e si concedono termini più ristretti per il deposito di memorie. Se così non fosse, non solo si travalicherebbe lo spirito della riforma, ma in più si addiverrebbe ad un irrazionale appesantimento del rito speciale, rispetto al rito camerale generale: a fronte della presentazione di un ricorso che si riveli semplicemente infondato o puramente fondato, senza che trapelino questioni in diritto di particolare rilievo, basterebbe fissare l'adunanza camerale, senza alcuna indicazione ulteriore, presso la sezione semplice, mentre, qualora il ricorso si presenti manifestamente infondato o manifestamente fondato, senza che emergano questioni in diritto di particolare rilievo, si dovrebbe non solo prospettare il presupposto, ma anche specificarne le ragioni davanti alla sesta sezione; il che è conclusione illogica.

D) Tra l'altro, qualora si ritenesse, difformemente dal tenore letterale della disposizione, che il decreto presidenziale di fissazione dell'adunanza camerale debba esplicitare anche le cause giustificatrici del presupposto tipizzato che si reputa prima facie integrato, verrebbe notevolmente sminuita la valenza innovativa della riforma, pervenendosi a esigere un opinamento non molto dissimile dalla precedente relazione espositiva, ossia si finirebbe per far entrare dalla finestra ciò che il legislatore ha voluto esplicitamente cacciare dalla porta. Così accadrebbe qualora, mutatis mutandis, la vecchia relazione espositiva, travestita con il nuovo nome di proposta del relatore, venga allegata al decreto presidenziale di fissazione dell'adunanza camerale. Infatti, non si vede come il decreto presidenziale possa esporre «il perché» della manifesta fondatezza o della manifesta infondatezza, se non esplicitandone l'intero percorso argomentativo. Un percorso argomentativo parziale sarebbe veramente fuorviante. D'altronde, così ragionando, si piomberebbe nuovamente nel paradosso del rito camerale che lo spirito della riforma ha inteso superare (vedi i lavori della Commissione Berruti), giacché il meccanismo regolato dall'art. 380-bis, secondo la precedente formulazione, implicava che «il difensore che si vede prospettare una sconfitta si trovi di fronte ad una possibilità difensiva assai più grande di quella che addirittura gli compete nel momento in cui la causa invece viene attribuita al teoricamente più garantito rito dell'udienza pubblica», cagionando altresì, quale ulteriore risultato da evitare, una «doppia fatica del relatore».

E) Peraltro, è alquanto singolare che una simile esternazione motivatoria sia contenuta in un decreto presidenziale di fissazione dell'adunanza, che appunto non richiede motivazione, se non nei limiti della prospettazione della ragione ultima che legittima il ricorso al modello decisorio adottato. Ove si opinasse diversamente, dovrebbe essere il presidente a prospettare le ragioni più analitiche del presupposto legittimante della scelta del rito camerale speciale.

F) Del resto, qualora il legislatore avesse preteso una siffatta esternazione, avrebbe utilizzato una formula ben più confacente e congrua e, segnatamente, avrebbe espressamente richiesto una proposta «scritta e motivata» del relatore, da allegare al decreto presidenziale, il che non è, atteso che la formula in concreto utilizzata prescrive (rectius si limita a prescrivere) che sia il decreto presidenziale ad indicare il presupposto ravvisato, così come proposto dal relatore.

G) In ogni caso, l'indicazione del mero presupposto ha una sufficiente portata orientativa per lo sviluppo delle osservazioni rimesse alle difese delle parti. Sostenere che il ricorso appare, in base ad una prima delibazione sommaria, manifestamente fondato, ai soli fini dell'incardinazione del rito camerale speciale, dovrebbe indurre il controricorrente a concentrare il contenuto delle memorie scritte sull'ulteriore contrasto alle deduzioni esposte dal ricorrente nell'atto introduttivo, eventualmente dedicando maggiore attenzione a quelle che sembrano più rilevanti o liquide. Viceversa, il ricorrente, con le proprie memorie, dovrebbe avvalorare o rafforzare le ragioni già esposte, eventualmente superando le critiche dell'avversario. Per converso, affermare che il ricorso appare, in base ad una ponderazione sommaria, ai soli fini dell'individuazione del rito camerale applicabile, manifestamente infondato, dovrebbe orientare il ricorrente a replicare avverso le osservazioni contenute nel controricorso, ponendo particolare attenzione a quelle che sembrano più rilevanti o liquide, mentre – ove la controparte rimanga intimata – dovrebbe indirizzare al miglioramento dell'esplicazione delle deduzioni già svolte nel ricorso. In astratto, un dubbio sul punto potrebbe sorgere per il solo presupposto dell'inammissibilità, atteso che le potenziali cause di tale declaratoria in rito sono, non solo molteplici, sebbene tipiche, ma anche eterogenee (ossia riconducibili a causae petendi tra esse distinte, che possono non essere state affatto trattate dalle parti nei rispettivi atti di costituzione, ma che sono rilevabili d'ufficio). In tal caso, potrebbe bastare indicare nel decreto la causale ultima dell'inammissibilità. Ad esempio, il ricorso appare prima facie inammissibile perché tardivo o perché privo del requisito di autosufficienza o perché il provvedimento impugnato non è ricorribile in cassazione, senza prospettarne le ulteriori ragioni (ossia senza motivare perché appare tardivo, perché appare non autosufficiente, perché il provvedimento impugnato non appare ricorribile in cassazione).

H) Viceversa, le ragioni dell'inammissibilità, manifesta fondatezza o manifesta infondatezza, ove effettivamente sussistenti, dovranno essere esplicitate, secondo una adeguata motivazione, nell'ordinanza conclusiva del procedimento. Tanto più che tale ordinanza, anche a prescindere dalle memorie presentate dalle parti, può disattendere il presupposto sommariamente valutato dal relatore e recepito dal decreto presidenziale di fissazione dell'adunanza, rimettendo il procedimento davanti alla sezione semplice per la trattazione in pubblica udienza.

A conclusione delle argomentazioni articolate in ordine al tenore del decreto presidenziale di fissazione dell'adunanza camerale presso la sezione-filtro, giova chiedersi se, a monte, l'indicazione anche del solo presupposto tipizzato generi o meno inutili complicazioni. E ciò ove si consideri che ormai il modello ordinario di decisione in cassazione è quello camerale. Non era forse il caso di prevedere un rito camerale unico? Ed ancora, alla luce di tale modello ordinario prevalente (rectius il rito camerale), ha ancora senso l'esistenza di una sezione-filtro? O il filtro può essere operato direttamente nelle sezioni semplici? Ai sensi dell'art. 376, la sesta sezione è nata, prendendo spunto dalla prassi, con l'intento di selezionare i fascicoli di pronta e semplice decisione, definibili eccezionalmente con pronuncia in camera di consiglio. Oggi il requisito di eccezionalità del rito camerale non esiste più, sicché ha poco senso l'esistenza di un'apposita sezione-filtro, così come ha poco senso la discriminazione tra ricorsi fondati o infondati, da una parte, e manifestamente fondati o manifestamente infondati, dall'altra, che non pongano comunque questioni in diritto di particolare rilievo. In entrambi i casi il procedimento si tratterà con il rito camerale. Il rischio concreto che si corre, specie ove passi l'interpretazione secondo cui il decreto presidenziale di fissazione dell'adunanza camerale debba non solo indicare i presupposti legittimanti della trattazione camerale ma anche esporne concisamente le ragioni, è che la sezione-filtro si svuoti di contenuti per divenire una mera sezione di passaggio. Ossia che, ai sensi dell'art. 376, primo comma, c.p.c. all'esito di un sommario esame del ricorso presso la sezione-filtro, pedissequamente non ravvisandosi i presupposti della trattazione camerale in sesta sezione, il presidente, omessa ogni formalità, rimetta gli atti alla sezione semplice, al cui presidente sarà «passata la palla» per la vera scelta da compiere tra l'avvio del modello camerale generale o l'avvio del modello dell'udienza pubblica.

L'adunanza camerale

L'adesione al modello camerale, sia esso quello generale, sia esso quello speciale, non importa la facoltà di intervento e di audizione dei difensori delle parti in adunanza. Si tratta, appunto, di un'adunanza riservata ai giudici del collegio e non di un'udienza pubblica, come regolata dall'art. 128 c.p.c., né di un'udienza in camera di consiglio aperta alla partecipazione delle parti, come prevista dall'art. 84 disp. att. c.p.c.. Comunque queste ultime potranno esercitare il diritto di difesa mediante il deposito di memorie scritte nei termini all'uopo concessi prima dell'adunanza. La previsione di un contraddittorio differito, che si realizza con il deposito di memorie scritte prima della decisione, esclude che il modello prescelto violi il principio del contraddittorio e il diritto di difesa. Benché non siano ammessi l'intervento dei difensori e la discussione orale della controversia in sede di adunanza, i difensori delle parti potranno comunque presentare le loro osservazioni scritte prima che il collegio delibi sulla lite. Né l'esclusione dell'intervento delle parti in adunanza camerale determina in sé un vulnus alla realizzazione del contraddittorio, posto che la garanzia costituzionale del diritto di difesa non necessariamente postula la contestuale partecipazione dei difensori ad un'udienza da tenersi davanti al collegio decidente. La partecipazione delle parti all'udienza è il modello tipico di attuazione del contraddittorio, ma non è l'unico. E ciò specie quando si tratti di un giudizio di legittimità, che per definizione non implica un'istruttoria, ma si fonda sulle risultanze processuali già acquisite. Il contributo che le parti possono fornire tramite le apposite memorie scritte non è qualitativamente diverso o inferiore a quello che avrebbero potuto rendere mediante una discussione orale in udienza. Il processo civile, soprattutto in sede di legittimità, è essenzialmente un processo scritto, in cui l'oralità è già da tempo ridimensionata, atteso che gli interventi dei difensori delle parti in pubblica udienza devono comunque avvenire in tempi contingentati, in ragione del carico che grava sul ruolo di ciascuna udienza. In conseguenza, l'apporto alla decisione delle memorie scritte è molto più incisivo della mera discussione orale in udienza. Del resto, qualora si presentino questioni in diritto di particolare rilievo, il modello dell'udienza pubblica e della correlata discussione orale è comunque salvaguardato. Né la forma di ordinanza del provvedimento conclusivo del rito camerale è in sé significativa di un sacrificio arrecato al diritto di difesa, considerato che l'onere motivatorio, conseguente all'approfondimento della decisione, resta comunque un momento essenziale per l'integrità dell'iter di definizione del giudizio, essendo la forma indicata piuttosto allusiva della necessità di ricorrere ad un momento di sintesi, spogliando la decisione di tutti gli aspetti non funzionali all'assicurazione della correttezza del decisum. In questo senso l'ordinanza deve essere, in ogni caso, improntata a canoni di chiarezza ed essenzialità, deve essere connotata da un nesso di stretta funzionalità dell'iter argomentativo alla decisione, dall'assenza di motivazioni subordinate, di obiter dicta e di ogni altra enunciazione che vada oltre ciò che è indispensabile alla decisione, dalla puntualità dei richiami ai precedenti della giurisprudenza di legittimità. Anche il ricorso ai modelli che si demanda al Ced di predisporre (secondo il decreto Canzio del 14 settembre 2016), in primis, non è vincolante, ma costituisce solo un mezzo di cui il giudice può avvalersi, se lo ritiene utile per sveltire il proprio lavoro di stesura dei provvedimenti; in secondo luogo, si attaglia solo a determinate fattispecie, come quelle relative alle pronunce di mero rito; in terzo luogo, deve comunque sempre essere adattato al caso concreto.

In conclusione

Con la novella di cui al d.l. n. 168/2016, conv. con modificazioni in l. n. 197/2016, il legislatore mostra di attribuire un ruolo rilevante per la definizione del contenzioso pendente davanti alla Corte di Cassazione ai modelli decisori camerali. L'ampliamento del ricorso a tale rito decisorio persegue essenzialmente uno scopo di semplificazione e accelerazione; esso è posto espressamente a tutela della ragionevole durata dei processi in cassazione e della connessa esigenza di smaltire l'arretrato esistente. Occorrerà verificare nella prassi in che termini siffatta previsione avrà in concreto una portata incentivante della chiusura dei processi pendenti, ma certamente il superamento della strozzatura dell'udienza pubblica e della previa relazione illustrativa nei procedimenti camerali è destinato ad apportare una contrazione dei tempi processuali di trattazione dei giudizi. Sul punto, non può non evidenziarsi che, indipendentemente dalla celerità dei riti, il collo di bottiglia resta comunque legato ai carichi esigibili di ciascun collegio, ossia al numero delle decisioni adottabili, affinché sia comunque assicurata la sufficiente meditazione di ogni caso sottoposto all'attenzione giudiziale. Non è nuovo il dubbio, da più tempo sollevato dagli studiosi del diritto processuale civile, circa la possibilità che l'oggettivo problema della definizione in tempi ragionevoli della notevole mole di processi pendenti, anche in sede di legittimità, possa essere risolto solamente attraverso misure volte a modificare i riti processuali. Al riguardo, si consideri che le nuove norme sul rito camerale in cassazione si applicano anche ai ricorsi pendenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione, ossia successivamente alla data del 29 ottobre 2016 (data di pubblicazione sulla G.U. della legge), di cui non sia stata ancora fissata l'udienza o l'adunanza di trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 1-bis, secondo comma, della l. n. 197/2016, nella prospettiva di favorire tale esigenza di accelerazione. Ad ogni modo, la generalizzazione del modulo camerale è in sé un fattore predisponente al raggiungimento del risultato. In proposito, non si ritiene che l'implementazione del ricorso alla camera di consiglio sia in sé lesiva del diritto di difesa e del principio del contraddittorio. E ciò perché la riforma assicura comunque un contraddittorio differito, consentendo ai difensori delle parti di depositare in cancelleria apposite memorie scritte inerenti all'oggetto del contendere. Più specificamente, quanto al rito camerale speciale, è data la possibilità ai difensori di dedurre per iscritto sull'integrazione dei presupposti per l'avvio della trattazione in camera di consiglio, sulla scorta della mera indicazione finale o assertiva del presupposto, contenuta nel decreto presidenziale di fissazione dell'adunanza. Piuttosto, sul punto occorre chiedersi se fosse veramente necessaria la creazione di una dicotomia del rito camerale, distinto in generale e speciale, ovvero se fosse stato il caso, anche per una finalità di ulteriore semplificazione, di contemplare un rito camerale unico, in contrapposizione al rito dell'udienza pubblica. Né si pone in antitesi con i principi della difesa e del contraddittorio la previsione di un'adunanza camerale riservata al collegio giudicante, senza la partecipazione dei difensori. Al contempo, la decisione con ordinanza non è emblematica di una rinuncia alla motivazione ovvero dell'ammissibilità di motivazioni inadeguate o superficiali. Il concetto di sintesi che tale forma provvedimentale evoca (l'ordinanza è succintamente motivata, ai sensi dell'art. 134, primo comma, c.p.c.) non può comunque autorizzare un sacrificio dell'integrità decisoria. Piuttosto, esemplifica il superamento del binomio motivazione adeguata – motivazione prolissa o ridondante. Fermo restando che la motivazione non può essere astretta entro parametri predefiniti o preconfezionati in astratto, ma deve comunque adattarsi al caso concreto.

Guida all'approfondimento

In dottrina sul tema:

  • A. Didone, Appunti a prima lettura sulla riforma del giudizio di Cassazione, in Portale Processo civile, Giuffrè, 21 ottobre 2016;
  • G. Finocchiaro, Eliminata la fase di discussione nel procedimento in camera di consiglio avanti alla S.C., in www.Ilquotidianogiuridico.it, 8 novembre 2016;
  • C. Graziosi, La Cassazione “incamerata”: brevi note pratiche, in www.judicium.it, 8 novembre 2016;
  • B. Sassani, Da Corte a Ufficio Smaltimento: ascesa e declino della “Suprema”, in www.judicium.it, 3 novembre 2016;
  • G. Scarselli, La cameralizzazione del giudizio in cassazione di cui al nuovo d.l. 31 agosto 2016 n. 168, in Portale Processo civile, Giuffrè, 2 novembre 2016;
  • C. Trapuzzano, D.l. Giustizia e la decisione camerale in cassazione per inammissibilità, manifesta fondatezza o manifesta infondatezza del ricorso, in Portale Processo civile, Giuffrè, 3 novembre 2016.

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