Esposizione sommaria dei fatti della causa, alla Cassazione bisogna contare le cose chiare
30 Novembre 2016
Massimo
È inammissibile, per inosservanza del requisito dell'esposizione sommaria dei fatti della causa, di cui all'art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., il ricorso per cassazione composto dall'integrale trascrizione degli atti dei pregressi gradi di merito, imponendo tale norma che il ricorso stesso contenga soltanto una narrazione riassuntiva dei fatti della controversia rilevanti per la decisione della questione di diritto portata all'esame del giudice di legittimità. Il caso
La Corte di cassazione, I sezione civile, con sentenza 27 ottobre 2016, n. 21750, ha dichiarato inammissibile, per difetto del requisito della “esposizione sommaria dei fatti di causa”, di cui all'art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., un ricorso composto per sette pagine dall'enunciazione dei motivi per i quali si chiedeva la cassazione della sentenza impugnata, e per le restanti sessantasette pagine, invece, consistente nella trascrizione integrale dell'atto di appello, a sua volta formato dall'intera riproduzione di un atto di citazione in riassunzione, di un ricorso per provvedimento d'urgenza, di una memoria difensiva di controparte, della citazione introduttiva e delle comparse di risposta e di costituzione del giudizio di primo grado, di una memoria di deduzioni istruttorie, di stralci di una sentenza penale e dei motivi di appello; il tutto inframmezzato da svariate superflue notazioni circa le attività svolte nelle singole udienze. La questione
Come deve essere redatto un ricorso per cassazione conforme alla previsione dell'art. 366 c.p.c.? Che cosa vuol dire esposizione sommaria dei fatti? Le soluzioni giuridiche
Avverte la sentenza della Suprema Corte qui annotata che i “fatti della causa” da esporre, a pena di inammissibilità, agli effetti dell'art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., sono le vicende, sostanziali e processuali, che siano però rilevanti per la decisione di legittimità, e che l'attributo “sommaria” stia a significare che l'esposizione deve avere carattere riassuntivo, essendo unicamente funzionale allo scopo di consentire alla Corte di cassazione di comprendere la questione di diritto sottoposta al suo esame. Le esigenze poste dalla citata disposizione sono, quindi, quelle della chiarezza espositiva e della completezza del ricorso, in maniera da assicurare un'effettiva tutela del diritto di difesa delle parti (artt. 24, 111 Cost., art.6 CEDU), senza gravare il giudice e le parti di inutili ulteriori oneri. La decisione in commento si pone in linea con la pressoché coeva sentenza della II sezione della stessa Corte di cassazione 20 ottobre 2016, n. 21297, che, in presenza di un'analoga tecnica di redazione del ricorso (descritto come «affastellamento di un profluvio di atti dei pregressi gradi del presente giudizio e di altri giudizi»), ne ha dichiarato l'inammissibilità, per violazione dei principi di sinteticità e chiarezza espositiva, richiamando il precedente costituito da Cass. 6 agosto 2014, n. 17698, la quale aveva già rinvenuto la ratio dell'art. 366 c.p.c. nell'obiettivo di attribuire rilevanza allo scopo del processo, costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione al cd. fondo delle questioni. E' orientamento stabile della giurisprudenza quello secondo cui, ai fini del soddisfacimento del requisito fissato nel n. 3 del comma 1 dell'art. 366 c.p.c., occorre che nel ricorso sia trascritta, ancorchè in forma sintetica ma congrua, la parte espositiva della sentenza impugnata, mediante l'evidenziazione degli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell'origine e dell'oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalle altre parti, senza necessità di porre riferimento ad altre fonti (Cass. 26 marzo 2012, n. 4782; Cass. 16 giugno 2004, n. 11338). Non di meno, il disposto dall'art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., non potrà ritenersi osservato tramite la riproduzione della sentenza impugnata, allorché quest'ultima non contempli la descrizione dello svolgimento del processo, né una chiara esposizione del fatto sostanziale e processuale (cfr. Cass. 16 settembre 2013, n. 21137). Evenienza, quest'ultima, tutt'altro che inconsueta, ormai, in quanto gli artt. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c. impongono al giudice di inserire in sentenza soltanto una «succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa». Dal contesto del ricorso deve essere, quindi, agevole desumere una conoscenza del "fatto", sostanziale e processuale, sufficiente per intendere correttamente il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia oggetto di impugnazione, non potendosi distinguere, in funzione della menzionata sanzione dell'inammissibilità, fra esposizione del tutto omessa ed esposizione insufficiente (Cass. 3 febbraio 2004, n. 1959; in dottrina, si veda DE CRISTOFARO, sub art. 366 c.p.c., in Codice di procedura civile commentato, diretto da Consolo, Milano, IV ed., 2010, II tomo, 913 e segg.). Osservazioni
Come tutti gli altri requisiti di forma-contenuto elencati nell'art. 366, comma 1, c.p.c., anche l'esposizione sommaria dei fatti di causa è elemento indispensabile per la validità del ricorso per cassazione, la cui omissione (o anche mera incompletezza, e, quindi, insufficienza), determina l'inammissibilità del ricorso medesimo, la quale è certamente rilevabile d'ufficio. Il giudizio di legittimità non conosce, invero, una regolamentazione delle nullità, che potrebbe, altrimenti, suggerire un'indistinta applicabilità pure ad esso degli artt. 156 e ss. e 164 c.p.c. L'ordinamento per il procedimento di cassazione fa, piuttosto, ricorso alla sanzione dell'inammissibilità, prevista proprio per quei vizi di forma o di contenuto del ricorso che siano tali da renderlo inidoneo a conseguire la sua normale decisione (artt. 365 e 366 c.p.c.), e consistente in una declaratoria che ha proprie modalità e conseguenze (artt. 375 n. 1 e 380-bis c.p.c.). Se il ricorso manca dell'esposizione dei fatti di causa, tale difetto non può essere perciò sanato attraverso l'esame della narrativa contenuta in altri atti del giudizio (quale l'eventuale controricorso al ricorso incidentale, o la memoria ex art. 378 c.p.c.), ostandovi il principio di autonomia del ricorso per cassazione (Cass., Sez. Un., 22 maggio 2014, n. 11308). Proprio perché il ricorso introduttivo del giudizio di cassazione è del tutto estraneo alla disciplina della nullità, non trovano applicazione riguardo ad esso:
Il regime dell'inammissibilità, proprio del ricorso per cassazione, implica piuttosto: 1) la rilevabilità di ufficio, in ogni caso, indipendentemente dal rilievo di parte; 2) la non rinnovabilità del ricorso dichiarato inammissibile, indipendentemente dall'essersi verificata o meno decadenza rispetto al compimento dell'atto (cfr. CERINO CANOVA, Inammissibilità e improcedibilità, voce dell'Enciclopedia giuridica Treccani, 1989, XVI, 2; GIOVANNARDI, Osservazioni sull'asserita autonomia concettuale dell'inammissibilità, in Giur. it., 1988, I, 2, 665; TOMBARI FABBRINI, Inammissibilità e improcedibilità del ricorso per cassazione e possibili sanatorie per raggiungimento dello scopo, Foro it., 1993, I, 3023). La sentenza n. 21750/2016 della Corte di cassazione non può, in definitiva, non condividersi. Viola certamente il precetto dell'art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., il ricorso che sia confezionato mediante trascrizione integrale del testo o riproduzione con procedimento fotografico degli atti dei pregressi gradi, senza neppure interpolarli con proposizioni di collegamento nè farli accompagnare da una chiara sintesi dei punti rilevanti per la risoluzione della questione dedotta. Tale modalità grafica equivale, nella sostanza, ad un rinvio puro e semplice agli atti di causa, onerando la Corte di cassazione di procedere alla lettura di tali atti, e contravviene all'indicata disposizione, che postula un'«esposizione sommaria dei fatti di causa». Tale requisito di forma e contenuto non può ritenersi sussistente quando il ricorrente, come risulta avvenuto nel caso in esame, non prospetti alcuna narrativa degli antefatti e della vicenda processuale, nè determini con precisione l'oggetto della originaria pretesa, così contravvenendo proprio alla finalità primaria della prescrizione di rito, che è quella di rendere agevole la comprensione della questione controversa e dei profili di censura formulati, in immediato coordinamento con il contenuto della sentenza impugnata. La meccanica trasposizione nel ricorso dei propri atti di parte redatti nei pregressi gradi di merito non descrive le reciproche pretese dei contendenti, né i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, o le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuno in relazione alla posizione avversaria. Peraltro, la prescrizione di cui all'art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c. neppure può ritenersi assolta da elementi estranei al ricorso (quale, ad esempio, la lettura della sentenza impugnata), spettando pur sempre al ricorrente l'onere riassuntivo della sommaria esposizione del fatto (Cass., Sez. Un., 24 febbraio 2014, n. 4324; Cass., 24 luglio 2013, n. 18020; Cass. 9 febbraio 2012, n. 1905; Cass., Sez. Un., 9 settembre 2010, n. 19255). |