Il ricorso avverso il diniego della protezione internazionale sospende l’efficacia esecutiva dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c.
23 Febbraio 2017
Massima
In tema di protezione internazionale la proposizione del ricorso ex art. 19, d.lgs. n. 150/2001 sospende, nei casi previsti, l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato per tutta la durata del giudizio. Il caso
Tizio presentava ricorso avverso il diniego della Commissione Territoriale per i rifugiati, al fine di ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato. Il tribunale negava la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento di tale diritto. Successivamente proponeva atto di appello, con contestuale istanza di sospensione. La corte di appello rigettava l'istanza cautelare in quanto l'efficacia sospensiva prevista dall'art. 19, D.L.gs. n. 150/2011 deve essere estesa a tutti i successivi ed eventuali gradi di giudizio. La questione
La questione in esame è la seguente: in tema di protezione internazionale l'efficacia sospensiva automatica del provvedimento di diniego derivante dalla proposizione dei ricorso in primo grado si estende anche ai gradi successivi? Le soluzioni giuridiche
La pronuncia in commento ritiene di poter dare risposta affermativa: secondo la Corte di appello di Bologna l'efficacia sospensiva derivante dalla proposizione del ricorso si estende automaticamente a tutti gli eventuali gradi di giudizio, nonostante il silenzio del legislatore nazionale. In motivazione la Corte evidenziava, a sostegno della posizione assunta, che il comma 4 dell'art. 19 si limita a stabilire che la proposizione del ricorso sospende l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, tranne che nelle ipotesi in cui il ricorso viene proposto in caso di rigetto del ricorso da parte del Tribunale, nulla dice espressamente per il giudizio di appello, a differenza della precedente norma di cui all'art. 35, d.lgs. n. 25/2008. Sulla scorta di tale dettato normativo, la Corte ha evidenziato che l'art. 19 deve essere interpretato nel senso che la proposizione del ricorso sospende, nei casi previsti, l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato per tutta la durata del giudizio. Tale interpretazione è conforme alla citata direttiva 2013/32/UE, la quale stabilisce il diritto dei richiedenti di rimanere nello Stato membro durante il procedimento di esame della domanda (art. 9) nonché in attesa dell'esito dell'eventuale ricorso proposto (art. 46)». Osservazioni
Il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria si articola in una fase amministrativa, davanti alle Commissioni Territoriali, e in una successiva fase giurisdizionale. A fronte di un provvedimento di diniego assunto dalla Commissione Territoriale il richiedente può proporre ricorso davanti al Giudice Ordinario. Tali controversie sono regolate dalle disposizioni speciali dal rito sommario di cognizione di cui all'art. 702-bis c.p.c., ove non diversamente disposto dall'art. 19, D.Lgs. n. 150/2011. Il comma 4 del citato art. 19 prevede che alla proposizione del ricorso di primo grado, avverso la decisione della commissione, consegua automaticamente la sospensione del provvedimento amministrativo, salvo i casi espressamente ivi indicati. Tale previsione normativa discende dal recepimento nel nostro ordinamento della direttiva 2013/32/UE sulle procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale. La direttiva distingue la procedura c.d. di primo grado (disciplinata dal capo III), dove l'autorità accertante può essere qualsiasi organo giurisdizionale o amministrativo, da quella c.d. di impugnazione, che invece deve svolgersi dinanzi ad un giudice, disciplinata dal capo IV. L'art. 9 della direttiva accorda espressamente ai richiedenti la protezione il diritto a permanere nello Stato «fintantoché l'autorità accertante non abbia preso una decisione secondo le procedure di primo grado di cui al capo III». Dunque, per il Legislatore comunitario, conclusasi la prima fase – generalmente dinanzi alla autorità amministrativa- il richiedente, che abbia ottenuto una decisione sfavorevole, può essere rispedito nel Paese di provenienza, fermo restando il disposto di cui all'art. 46, n.6, che prevede la competenza del giudice successivamente adito di valutare se autorizzare o meno la permanenza del richiedente nel territorio dello Stato membro in attesa dell'esito del ricorso. Il legislatore nazionale, nel recepire la direttiva 2013/32/UE e i principi ivi stabiliti ha previsto la sospensione automatica dell'efficacia esecutiva del provvedimento di diniego dell'autorità amministrativa per effetto della sola proposizione del ricorso di primo grado, cui consegue il diritto del richiedente a rimanere nel territorio nazionale (Cass. n. 24415/2015). Per il grado di appello né il codice di rito né la disposizione speciale di cui all'art. 19 D.Lgs. n. 150/2011 stabiliscono nulla sull'efficacia sospensiva automatica a seguito della proposizione del gravame. Pertanto, giusto il disposto dell'art. 19 D.Lgs. n. 150/2001, in assenza di espresse disposizioni dovrebbe applicarsi la disciplina del rito sommario di cognizione. Questo comporta che alla proposizione dell'atto di appello dunque non consegua la sospensione automatica del provvedimento giurisdizionale di primo grado, che invece dovrà essere espressamente chiesta dalla parte appellante. Difatti, qualora il richiedente abbia ottenuto una sfavorevole decisione in primo grado, sarà tenuto a lasciare il territorio nazionale, per espressa disposizione dell'art. 32, n. 4, D.Lgs. n. 25/2008. Dunque la decisione sfavorevole di primo grado ha come effetto non solo quello di far rivivere il provvedimento amministrativo di diniego, ma anche quello di costringerlo a lasciare il territorio dello Stato, se non ottiene un provvedimento che ne sospenda l'efficacia esecutiva. L'impostazione seguita dalla Corte di appello di Bologna non appare conforme né al dettato del legislatore eurounitario né di quello nazionale. L'art. 46, n.6, direttiva 2013/32/UE attribuisce al giudice, senza specificare di quale grado di giudizio, il potere di valutare se autorizzare o meno la permanenza del richiedente nel territorio dello Stato membro in attesa dell'esito del ricorso, così dunque attribuendo il potere di sospendere l'efficacia esecutiva di un provvedimento giurisdizionale di rigetto della protezione internazionale. L'art. 16 D.Lgs. 150/2011 a sua volta ha limitato al solo primo grado la speciale sospensione automatica dell'efficacia del provvedimento amministrativo. Inoltre, in caso in cui il richiedente veda respinta la propria istanza di protezione internazionale, sarà costretto o a proporre atto di appello con contestuale istanza inibitoria, oppure dovrà lasciare il territorio dello Stato, per effetto dell'art. 32, n. 4, D.Lgs. n. 25/2008. Questo significa che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello di Bologna, il richiedente, destinatario di una sfavorevole decisione di primo grado, debba presentare istanza di sospensione, in modo da evitare il prodursi di effetti pregiudizievoli nei suoi confronti nelle more della definizione del giudizio. In seguito all'entrata in vigore del D.Lgs. 10 settembre 2011, n. 150, le controversie in materia di protezione internazionale sono assoggettate al rito sommario di cognizione, giusta l'abrogazione del rito speciale previsto dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 (Cass. civ. Sez. VI - 1, Ord., 7 luglio 2016, n. 13830). L'ordinanza resa ex art. 702-terc.p.c. è immediatamente esecutiva e nel caso di controversie sulla protezione internazionale produce gli effetti indicati. Tale provvedimento è suscettibile di impugnazione, con applicazione al grado di appello della disciplina ordinaria per le parti non espressamente disciplinate dallo speciale rito. Come infatti illustrato dalla giurisprudenza di merito il provvedimento che conclude il primo grado del rito sommario di cognizione è sempre immediatamente esecutivo e come tale suscettibile di sospensione (App. Roma sez. I, sent., 13 marzo 2013). Difatti, nonostante la sequenza normativa di cui all'art. 702-ter c.p.c., al quinto comma ultima parte, il quale dispone che «il giudice provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto delle domande», al successivo sesto comma il quale stabilisce che «l'ordinanza è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per la iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione» e all'art. 702-quater c.p.c. che attribuisce gli effetti del giudicato sostanziale alla ordinanza «emessa ai sensi del sesto comma dell'art. 702 ter c.p.c." sia stata -da una parte della giurisprudenza- ritenuta ostativa alla appellabilità della pronuncia di rigetto (App. Roma, sez. III, sent. del 7 marzo 2012), tale impostazione è da ritenersi superata. Il fatto che l'art. 702-quater c.p.c. richiami la ordinanza di cui al sesto comma dell'art. 702-ter c.p.c., che in quanto indicata come provvisoriamente esecutiva ed idonea a costituire titolo per la iscrizione di ipoteca o trascrizione, non significa che solo l'ordinanza di accoglimento della domanda sia immediatamente esecutiva. Il sesto comma dell'art. 702-ter è una specificazione del precedente quinto comma, ove si individua in via generale, nella ordinanza, la forma del provvedimento che definisce il giudizio, sia esso di accoglimento o di rigetto. Il sesto comma dunque si limita a chiarire che il provvedimento che conclude il primo grado, quando ne ricorrono le condizioni, è provvisoriamente esecutiva. Anche un'ordinanza di rigetto può essere suscettibile di provvisoria esecuzione, sia nel caso in cui contenga una statuizione sulle spese di lite, sia nel caso in cui produca ulteriori effetti, come -nel caso di controversie in materia di protezione internazionale- l'obbligo a lasciare il territorio dello Stato. |