Irragionevole durata del processo e necessaria definitività del processo presupposto: la parola (di nuovo) alla Corte Costituzionale
01 Febbraio 2017
Il caso. La Sig. M.F. chiedeva la condanna del Ministero della Giustizia all'equa riparazione per l'irragionevole durata del procedimento civile svoltosi avanti al Tribunale di Roma. Il Giudice adito dichiarava improcedibile il ricorso in quanto non risultava che la sentenza che aveva definito il giudizio fosse ancora passata in giudicato. Ai sensi dell'art. 4 L. n. 89/2001 è infatti previsto come requisito di proponibilità della domanda di equa riparazione, il passaggio in giudicato della sentenza che ha definito il provvedimento presupposto.
È incostituzionale poter richiedere l'indennizzo solo dopo che sia definito il giudizio presupposto? Il caso giunge avanti alla Suprema Corte. La ricorrente con il presente ricorso solleva una questione di legittimità costituzionale per contrasto della normativa predetta con l'art, 117 Cost.: «la necessaria posticipazione della domanda di equa riparazione al passaggio in giudicato del provvedimento che definisce il giudizio presupposto viene a violare il principio di effettività della tutela rimediale interna, in contrasto con l'art. 134 Cedu».
La normativa attuale. Anzitutto, gli Ermellini constatato che la Corte territoriale, nel ritenere che la proponibilità della domanda di equa riparazione sia esclusa prima del passaggio in giudicato della sentenza che ha definito il giudizio presupposto, si è correttamente conformata alla giurisprudenza di legittimità.
Il dato letterale della Legge Pinto. In particolare, seppure sul piano puramente letterale il nuovo testo della norma (art. 4 della Legge Pinto: «La domanda di riparazione può essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva») non esclude espressamente la proponibilità della domanda di equa riparazione durante la pendenza del giudizio presupposto, tuttavia alla esclusione di tale proponibilità si è pervenuti a seguito di un'interpretazione fondata sul criterio sistematico e sull'intenzione del legislatore; valorizzando il fatto che la riforma del 2012 ha condizionato l'an e il quantum del diritto all'indennizzo alla definizione del giudizio, prevedendo anche una serie di ipotesi di esclusione del diritto all'indennizzo dipendenti dalla condotta processuale della parte e financo dall'esito del giudizio (condanna del soccombente a norma dell'art. 96 c.p.c.).
La precedente decisione della Corte Costituzionale del 2014. La conclusione secondo cui la proponibilità della domanda di indennizzo è preclusa durante la pendenza del giudizio nel cui ambito la violazione della ragionevole durata del processo si assume essersi verificata è stata condivisa dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 30/2014. Il giudice delle leggi, nel vagliare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 55, comma 1, lett. d) d.l. n. 83/2012 (convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, legge n. 134/2012) in riferimento agli artt. 3, 111, comma 2, e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, Cedu, ha ritenuto sussistente il denunciato vulnus delle norme costituzionali, come integrate dalle norme della CEDU in forza del parametro costituzionale di cui all'art. 117 Cost. (nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali), ritenendo che il differimento della esperibilità del ricorso alla definizione del procedimento in cui il ritardo è maturato ne pregiudichi l'effettività anche alla stregua del parametro di cui all'art. 13 CEDU.
Il mancato intervento “additivo”. Tuttavia, la Consulta aveva in quella occasione ritenuto che l'intervento additivo invocato dal rimettente – consistente sostanzialmente in un'estensione della fattispecie relativa all'indennizzo conseguente al processo tardivamente concluso a quella caratterizzata dalla pendenza del giudizio – non fosse ammissibile, «sia per l'inidoneità dell'eventuale estensione a garantire l'indennizzo della violazione verificatasi in assenza della pronuncia irrevocabile, sia perché la modalità dell'indennizzo non potrebbe essere definita “a rime obbligate” a causa della pluralità di soluzioni normative in astratto ipotizzabili a tutela del principio della ragionevole durata del processo».
L'invito (inascoltato) rivolto al legislatore ad intervenire. La Corte Costituzionale, con la richiamata sentenza n. 30/2014, aveva pertanto invitato il legislatore ad intervenire per risolvere, nell'esercizio della discrezionalità che gli compete, il vulnus costituzionale riscontrato, concludendo tuttavia che «non sarebbe tollerabile l'eccessivo protrarsi dell'inerzia legislativa in ordine al problema individuato nella presente pronuncia».
Nulla è cambiato con la novella del 2015. Secondo gli Ermellini, con l'intervento del legislatore del 2015 (legge n. 208) non è stato affatto risolto il problema evidenziato dalla Corte Costituzionale. Tanto è vero che il sistema di rimedi preventivi introdotto dalla legge del 2015 è volto a prevenire la irragionevole durata del processo; esso, tuttavia, non sfiora il problema della effettività della tutela indennitaria una volta che l'irragionevole durata del procedimento si sia verificata. In particolare, anche a seguito della legge n. 208/2015, è rimasto irrisolto il problema del differimento dell'esperibilità del ricorso sino alla definizione del procedimento presupposto; problema che presenta perduranti profili di illegittimità costituzionale del vigente testo dell'art. 4, l. n. 89/2001 – in rapporto agli artt. 3, 24, 111, comma 2, e 117, comma 1, Cost. – nel momento in cui si risolve nella definitiva inammissibilità della domanda proposta durante la pendenza del procedimento presupposto, pur quando, nelle more, il provvedimento che ha definito quest'ultimo sia passato in cosa giudicata.
La (inaccettabile) definitiva inammissibilità della domanda erroneamente proposta prima del passaggio in giudicato del giudizio presupposto. La previsione che la domanda di equo indennizzo possa validamente proporsi solo dopo il passaggio in giudicato del provvedimento che ha definito il giudizio presupposto non può tradursi - sul piano della legittimità costituzionale – nella definitiva inammissibilità della domanda erroneamente proposta prima di tale passaggio in giudicato. E va ricordato che, con riguardo al caso di specie, la ricorrente, avendo proposto domanda di equo indennizzo prima che passasse il giudicato il provvedimento che aveva definito il giudizio presupposto, si è vista precludere del tutto l'accesso alla tutela indennitaria. Per questo, secondo gli Ermellini, sussiste l'evidenziato vulnus costituzionale e risulta rilevante la relativa questione di legittimità costituzionale, che va nuovamente sottoposta al giudice delle leggi, stante il perdurante inadempimento del legislatore al monito impartito.
La (nuova) questione di incostituzionalità. In definitiva, secondo la Suprema Corte, va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, legge n. 89/2001, in riferimento agli artt. 3, 24, 111, comma 2, e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 6, par. 1, e 13, Cedu, nella parte in cui subordina al passaggio in giudicato del provvedimento che ha definito il procedimento presupposto la proponibilità della domanda di equo indennizzo.
(Tratto da: www.dirittoegiustizia.it)
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