Il principio di autosufficienza e la specifica indicazione degli atti e dei documenti del giudizio di merito posti a fondamento del ricorso per Cassazione
21 Luglio 2016
Massima
Per soddisfare la prescrizione di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il ricorrente (principale o incidentale) non può limitarsi a fare riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito richiamandoli senza riprodurli nel ricorso - per la parte d'interesse – ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione come pervenuta presso la Corte di Cassazione con precisazione - anche - dell'esatta collocazione nel fascicolo d'ufficio o in quello di parte e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti anche in sede di giudizio di legittimità, in quanto la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rende il ricorso inammissibile.
Il caso
La società Alfa aveva proposto domanda di pagamento del corrispettivo per prestazioni di spedizioniere doganale asseritamente effettuate tra il 2000 e il 2001 per incarico e nell'interesse della società Beta. Il Tribunale di Milano rigettava la domanda, mentre la Corte di Appello – in riforma totale della pronuncia di primo grado – accoglieva la domanda di pagamento. Avverso la sentenza di secondo grado la società Beta proponeva ricorso in Cassazione. La società Alfa si costituiva spiegando a sua volta ricorso incidentale. La questione
La questione esaminata dalla Cassazione afferisce che al contenuto che, in ossequio al principio dell'autosufficienza, devono avere il ricorso principale e quello incidentale ai fini del rituale adempimento dell'onere, imposto al ricorrente dall'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., di indicare specificamente anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza. Le soluzioni giuridiche
Il principio dell'autosufficienza risponde all'esigenza di consentire ai collegi della Suprema Corte la decisione della causa sulla base delle sole deduzioni esplicitate nel ricorso. L'autosufficienza può, pertanto, definirsi come l'idoneità del ricorso a porre in condizione il giudice di legittimità di valutare, senza dover consultare gli altri atti processuali, la decisività della questione devoluta al suo esame. L'atto introduttivo del giudizio, in altre parole, deve essere completo, ossia deve essere redatto in modo tale da consentire alla Corte, sulla base della sola lettura di tale atto, la cognizione piena degli estremi sostanziali cui si riferisce la censura e possa, quindi, apprezzarne immediatamente la rilevanza. Per soddisfare tale requisito occorre che il ricorrente esponga, in maniera chiara ed esauriente, ancorché non analitica o particolareggiata, i fatti di causa, le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna di esse, in relazione alla posizione avversaria, lo svolgimento della vicenda processuale nelle sue articolazioni, nonché le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si basa la sentenza impugnata e con riferimento alle quali si richiede, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella del giudice di merito (Cass. civ., sez. II, 4 marzo 2016 n. 4311). Pur non trovando espresso riconoscimento normativo, detto principio è stato fortemente utilizzato dalla giurisprudenza di legittimità con lo scopo di deflazionare, sotto il profilo dell'inammissibilità, l'imponente carico dei ricorsi che negli ultimi anni hanno invaso la Suprema Corte. Tale principio, di origine giurisprudenziale, riguarda il contenuto del ricorso, e quindi si colloca sul piano degli oneri la cui osservanza si richiede al difensore quando procede alla stesura materiale dell'atto introduttivo. In relazione al contenuto del ricorso per cassazione, il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ha introdotto, all'interno dell'art. 366 c.p.c., un ulteriore requisito dell'atto introduttivo del giudizio di cassazione precisando che lo stesso deve contenere, a pena di inammissibilità, «la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti, dei contratti o accordi collettivi» sui cui il ricorso fonda. L'introduzione dell'obbligo della specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti, dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, però, non ha risolto il problema interpretativo del principio di autosufficienza. Al contrario, la novella ha dato origine a diverse prese di posizione della giurisprudenza che oscillano tra un orientamento minoritario (Cass. civ., sez. III, 17 maggio 2010, n. 11959), che prescrive la mera indicazione della sede processuale ove l'atto è stato prodotto, ed un indirizzo maggioritario (cui aderisce anche la pronuncia in esame), fortemente contestato dalla dottrina, che pretende anche la trascrizione o la riassunzione negli esatti termini dei documenti posti a fondamento del ricorso (Cass. civ., sez. I, 19 agosto 2015, n. 16900; Cass. civ., sez. II, 10 aprile 2015, n. 7266). È condivisa tra i giudici di legittimità la convinzione che, a seguìto della riforma, la specifica indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso non sia stata progettata al fine di contrastare l'aumento dei ricorsi, ma sia collegata alla necessità di una precisazione del thema decidendum, nel senso della preclusione per il giudicante di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti indicati dal ricorrente (Cass. civ., sez. un., 31 ottobre 2007, n. 23019). La pronuncia in esame ha ribadito che, ai fini del rituale adempimento dell'onere, imposto al ricorrente dall'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza, è necessario che si provveda anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l'esame. In altri termini il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi della omessa o erronea valutazione di un documento, da parte del giudice di merito, ha il duplice onere - imposto dall'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. in relazione all'art. 369, n. 4, c.p.c. - di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione. Il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile (Cass. civ., sez. un., 19 aprile 2016, n. 7701; Cass. civ., sez. III, 27 ottobre 2015, n. 21806; Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 3544). Osservazioni
La sussistenza del duplice onere del ricorrente di evidenziare – a pena di inammissibilità - il contenuto dell'atto rilevante, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini e di indicare la fase processuale ed il fascicolo di parte o d'ufficio da cui esso risulti è stato ribadito dai giudici di legittimità con riferimento alla denuncia: - del vizio d'indeterminatezza della domanda proposta in primo grado (Cass. civ., sez. lav., 17 gennaio 2014, n. 896; Cass. civ., sez. un., 22 maggio 2012, n. 8077); - della violazione del giudicato esterno (Cass. civ., sez. trib., 11 febbraio 2015, n. 2617; Cass. civ., sez. un., 27 gennaio 2004, n. 1416); - del litisconsorzio necessario, ove vi è l'onere di indicare nominalmente i soggetti pretermessi e i titoli da cui discenda la qualità (Cass. civ., sez. II, 19 marzo 2013, n. 6822; Cass. civ., sez. III, 6 marzo 2012, n. 3445); - di vizi relativi a specifici documenti (Cass. civ., sez. trib., 12 dicembre 2014, n. 26174; Cass. civ., sez. lav., 4 marzo 2014, n. 4980); - del vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., essendo onere della parte, oltre che riportare in ricorso la domanda o eccezione pretermessa, anche indicare l'atto difensivo o il verbale di udienza in cui furono proposte (Cass. civ., sez. trib., 17 luglio 2015, n. 14784; Cass. civ., sez. un.,28 luglio 2005, n. 15781); - del vizio di motivazione di cui al testo anteriore dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (Cass. civ., sez. trib., 13 febbraio 2015, n. 2928), in particolare quanto alle istanze di prova (Cass. civ., sez. II, 4 marzo 2015, n. 4365) o alla CTU (Cass. civ., sez. I, 3 giugno 2016, n. 11482; Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2014, n. 16368). CONFORTI, Sul principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, anche alla luce della riforma del 2006, in Corr. giur., 2008, p. 697 ss.; GIUSTI, L'autosufficienza del ricorso per cassazione civile, in Giust. civ., 2013, II, p. 247 ss.; MONTALDO, Note sul c.d. principio di autosufficienza dei motivi in Cassazione, in Giust. civ., 2006, I, p. 2086 ss.; RUSCIANO, Il contenuto del ricorso per cassazione dopo il d.lgs. 40/2006. La formulazione dei motivi: il principio di autosufficienza, in Corr. giur., 2006, p. 279 ss.; SANTANGELI, Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in Riv. dir. proc., 2012, p. 607 ss; TISCINI, Il giudizio di cassazione riformato, in Giusto Proc. Civ., 2007, 523 ss; TRIOLA, La resistibile ascesa del c.d. principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in Foro it., 2012, V, c. 265 ss. |