Ammissibilità dei danni punitivi nell'ordinamento italiano

21 Settembre 2017

Nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile. Non è quindi ontologicamente incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi.
Massima

Nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile. Non è quindi ontologicamente incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi. Il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere deve però corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell'ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell'atto straniero e alla loro compatibilità con l'ordine pubblico.

Il caso

Tre sentenze straniere, emesse negli Stati Uniti d'America in relazione ad un giudizio di risarcimento danni proposto da un motociclista rimasto seriamente danneggiato per un vizio del casco di protezione in occasione di un incidente, sono dichiarate efficaci ed esecutive dalla Corte d'Appello di Venezia chiamata a pronunciarsi in sede di delibazione. Con le sentenze straniere riconosciute nel nostro ordinamento, tra l'altro, era accolta la domanda di garanzia proposta dalla società venditrice del casco nei confronti della società produttrice.

Avverso la decisione della Corte d'Appello propone ricorso per Cassazione la società produttrice del casco, lamentando, tra l'altro, che la decisione impugnata, rendendo efficaci in Italia le sentenze straniere, darebbe ingresso nel nostro ordinamento al risarcimento di danni che i giudici americani avevano riconosciuto in funzione punitiva, in contrasto con il limite dell'ordine pubblico (art. 64, l. n. 218/1995).

La Corte di Cassazione, dopo aver dichiarato inammissibile il ricorso proposto con riferimento a tale profilo, evidenziando che, contrariamente a quanto prospettato nell'impugnazione, i giudici della Corte d'Appello non avevano omesso di pronunciarsi, ma avevano specificamente escluso che l'accoglimento della domanda di garanzia e la conseguente condanna della società ricorrente facesse riferimento a danni punitivi, esamina comunque la questione dell'ammissibilità nel nostro ordinamento dei danni c.d. punitivi con particolare riferimento alla riconoscibilità delle sentenze straniere di condanna al risarcimento di questo tipo di danni. Ciò in virtù dell'art. 363, comma 3, c.p.c., che consente alla Corte di Cassazione a Sezioni Unite di pronunciarsi su questioni di particolare importanza, quale appunto quella sottoposta al suo esame.

La Suprema Corte, quindi, con la pronuncia in esame afferma la possibilità per i giudici italiani di riconoscere le sentenze straniere che condannano al risarcimento dei danni non solo in funzione riparatoria, ma anche sanzionatoria e di deterrente. E ciò sulla base della premessa che questa finalità della responsabilità civile non è incompatibile con la relativa disciplina, quale si rinviene in numerose specifiche disposizioni, disciplina che ha ricevuto anche l'avallo della Corte Costituzionale.

La questione

La sentenza in commento affronta, in sintesi, la problematica concernente la possibilità o meno di riconoscere la natura “polifunzionale” della responsabilità civile nell'ordinamento italiano. Si tratta di una delle tematiche più dibattute del diritto civile, ed in particolare dell'area della responsabilità civile, in cui si è sempre discusso della necessità o meno che il risarcimento dei danni svolga esclusivamente una funzione riparatoria.

Nell'affrontare la questione, le Sezioni Unite prendono le mosse dal tradizionale orientamento negativo, richiamando la sent. n. 1183/2007, nella quale gli stessi ermellini escludevano in maniera netta la possibilità di riconoscere che il risarcimento del danno potesse assolvere ad una funzione diversa da quella riparatoria: secondo la decisione richiamata, al risarcimento del danno è estranea l'idea di sanzione, con la conseguenza che la condotta del danneggiante non può assumere alcun rilievo e deve ritenersi che la responsabilità civile svolga la sola funzione di “restaurare la sfera patrimoniale” del soggetto leso.

La soluzione negativa trova conferma in altre, successive, pronunce della Suprema Corte, come la sent. n. 1781/2012, nella quale, nel ribadire l'incompatibilità con l'ordinamento italiano dell'istituto dei danni punitivi, si afferma che, conseguentemente, il carattere sanzionatorio della responsabilità civile riconosciuta dalla sentenza straniera non può superare i limiti che derivano dalla verifica della compatibilità della relativa disciplina con l'ordinamento interno.

Ma la ricostruzione dei precedenti in materia non registra solo decisioni di segno negativo.

Con la sent. n. 9100/2015, sempre a Sezioni Unite, in tema di azione di responsabilità degli amministratori della società promossa dal curatore ai sensi dell'art. 146, comma secondo, l. fall., la Suprema Corte evidenziava che la funzione sanzionatoria non può più ritenersi incompatibile con i principi generali dell'ordinamento italiano, se si considerano una serie di disposizioni che, con riferimento a discipline specifiche, hanno previsto il risarcimento dei danni con funzione sanzionatoria in senso lato, o comunque non esclusivamente riparatoria. Nella decisione del 2015, pur registrandosi un'apertura, si afferma al contempo anche che la funzione sanzionatoria del risarcimento dei danni non può comunque ammettersi al di fuori dei casi in cui una norma di legge lo preveda, ostandovi il duplice limite costituito dal principio desumibile dall'art. 25 Cost. e dall'art. 7 della Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali.

La decisione del 2015, sembra porsi - come conferma anche il fatto che quasi contemporaneamente si registrano pronunce di segno opposto (Cass., Sez. Un., n. 15350/2015) che escludono la funzione sanzionatoria della responsabilità civile – in una prospettiva che vede ancora la funzione riparatoria come quella tipica e coessenziale alla responsabilità civile, rispetto alla quale le ipotesi, pur normativamente previste, in cui essa assolve alle diverse funzioni sanzionatorie e di deterrenza devono essere considerate alla stregua di eccezioni.

Con la decisione del 2017 in oggetto, pur precisando presupposti e limiti della riconoscibilità di decisioni straniere che ammettano i danni punitivi, la Suprema Corte sembra invece muoversi in una prospettiva diversa, affermando in maniera netta che «accanto alla preponderante e primaria funzione compensativo riparatoria dell'istituto è emersa una natura polifunzionale, che si proietta verso più aree, tra cui sicuramente principali sono quella preventiva (o deterrente o dissuasiva) e quella sanzionatoria – punitiva».

Le soluzioni giuridiche

La decisione in commento, per giungere ad una soluzione positiva rispetto alla questione di particolare importanza che affronta, dopo aver rievocato le decisioni più significative emesse in materia degli ultimi dieci anni appena richiamate, effettua una sintetica ricognizione di tutta una serie di disposizioni normative che, proprio nella già citata prospettiva “polifunzionale” della responsabilità civile, hanno introdotto nell'ordinamento italiano specifiche ipotesi di risarcimento del danno dai connotati sanzionatori e/o comunque di deterrenza:

  • l'art. 140, comma 7, d.lgs. n. 206/2005 (Codice del Consumo), che, nel disciplinare la procedura della c.d. “class action”, prevede la possibilità per il giudice, nel definire il giudizio, di prevedere il pagamento di una somma di denaro in caso di inadempimento delle disposizioni, parametrata alla “gravità del fatto”;
  • l'art. 709-ter c.p.c., introdotto dalla L. n. 54/2006, in tema di violazione dei doveri genitoriali nell'esercizio della responsabilità genitoriale e delle modalità di affidamento dei figli minori, che prevede espressamente la possibilità per il giudice di disporre il risarcimento del danno a carico del genitore inadempiente nei confronti del minore o dell'altro coniuge, ipotesi che, secondo parte della dottrina e della giurisprudenza, deve ritenersi svincolata dai presupposti generali dell'azione risarcitoria, avendo funzione di deterrenza e parasanzionatoria;
  • l'art. 614-bis c.p.c., che ha previsto i mezzi di coazione indiretta per gli obblighi di fare e non fare infungibili e la misura analoga prevista per il processo amministrativo dall'art. 114, comma 4 lett. e), d.lgs. n. 104/2010; gli artt. 2 e 5, d.lgs. n. 231/2002 in tema di ritardo nelle transazioni commerciali;
  • il nuovo art. 96, comma terzo, c.p.c. in tema di spese processuali che prevede la condanna della parte soccombente al pagamento di una «somma equitativamente determinata» in presenza di condotte che integrino abuso del processo, la cui natura sanzionatoria è stata riconosciuta e ritenuta legittima dalla Corte Cost., sent., n. 152/2016. Tutte ipotesi, solo per citarne alcune tra quelle richiamate dalle Sezioni Unite, in cui misure di carattere patrimoniale mirano a realizzare una finalità sanzionatoria e di deterrenza.

Accanto a queste ipotesi, poi, prosegue la Suprema Corte, ve ne sono anche altre che prevedono delle vere e proprie pene che possono essere irrogate dal giudice civile, come il già citato art. 709-ter c.p.c., al quarto comma, e l'art. 18, comma 14, Statuto dei Lavoratori, che, al fine di favorire la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato in casi di particolare gravità, prevede anche l'irrogazione di una sanzione.

La Corte di Cassazione mette in luce, nel suo percorso argomentativo, il fatto che anche la Corte Costituzionale ha riconosciuto espressamente in diverse pronunce la natura non strettamente risarcitoria ma sanzionatoria di alcune di queste ipotesi (ad esempio nella già citata sent. n. 152/2016 con riferimento all'art. 96, comma terzo, c.p.c., o nella sentenza n. 303/2011 in tema di misure sanzionatorie previste dalla disciplina sul lavoro ed introdotte dalla legge n. 183/2010), con ciò avallando, quindi, anche a livello costituzionale, la tesi della natura polifunzionale della responsabilità civile.

Affermata, quindi, la possibilità che il risarcimento del danno assolva non solo ad una funzione riparatoria, ma anche ad una funzione di deterrenza e sanzionatoria, la Suprema Corte individua poi in maniera più specifica i presupposti in presenza dei quali si può riconoscere un risarcimento che persegua queste finalità.

In primo luogo, occorre che il risarcimento dei danni avente funzione sanzionatoria o di deterrenza ancorato ad una previsione normativa, in virtù del limite fissato dall'art. 23 Cost., che prevede la riserva di legge in tema di imposizioni patrimoniali, in stretta correlazione con gli articoli 24 e 25.

La previsione normativa, inoltre, deve rispettare i requisiti di tipicità, nel senso di precisa perimetrazione della fattispecie e prevedibilità, ossia puntualizzazione dei limiti quantitativi delle condanne irrogabili.

Infine, le Corti d'Appello, in base all'art. 49 della Corte dei diritti fondamentali dell'Unione in tema di «Principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene», dovranno verificare, in sede di giudizio di delibazione, al fine di poter riconoscere nel nostro ordinamento la sentenza straniera che preveda l'applicazione di danni punitivi, che sia rispettata la «proporzionalità tra risarcimento riparatorio-compensativo e risarcimento punitivo e tra quest'ultimo e la condotta censurata, per rendere riconoscibile la natura della sanzione/punizione». Ciò nel presupposto che la proporzionalità del risarcimento, qualunque sia la finalità con la quale esso è invocato ed applicato, ne costituisce pur sempre uno dei cardini fondamentali.

Osservazioni

La decisione in commento costituisce certamente uno spartiacque tra la ricostruzione tradizionale della responsabilità civile, che ne afferma la funzione esclusivamente riparatoria, e quella moderna, che ne afferma invece la polifunzionalità, anche in chiave sanzionatoria e dissuasiva.

Essa ha indubbiamente il merito di riconoscere espressamente, come principio di diritto, la possibilità che la responsabilità civile assolva ad una funzione sanzionatoria e dissuasiva oltre che riparatoria. E ciò sulla base in primo luogo della pragmatica constatazione che a prevedere tale funzione è stato lo stesso legislatore introducendo, di volta in volta, una serie di fattispecie in cui il risarcimento del danno assolve ad una funzione sanzionatoria L'espressa previsione legislativa della funzione sanzionatoria e dissuasiva del risarcimento del danno, che ha peraltro superato il vaglio della Corte Costituzionale nelle occasioni in cui è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità e compatibilità con l'ordinamento interno di alcune di queste ipotesi, sembra quindi troncare in radice ogni dibattito sulla possibilità o meno che il risarcimento del danno assolva esclusivamente una funzione riparatoria.

Al tempo stesso alcuni temi restano sul tappeto e non appaiono del tutto chiariti dalla decisione delle Sezioni Unite: il riferimento, ad esempio, alla necessaria previsione normativa, con i suoi corollari di tipicità e prevedibilità, vale per ogni ipotesi in cui si proceda a liquidare un danno in chiave sanzionatoria? O solo quando ciò avvenga attraverso il riconoscimento di sentenze straniere che lo hanno già fatto? Infatti, nel momento in cui si riconosce alla responsabilità civile una natura polifunzionale e si individua nella funzione sanzionatoria e/o dissuasiva delle ulteriori finalità che essa può perseguire, viene da domandarsi se ciò comporti, quindi, che il giudice, per riconoscere un risarcimento di questo tipo, debba farlo necessariamente in base ad una specifica previsione normativa che lo consenta o non possa, piuttosto, farlo proprio in virtù di un generale quadro normativo che, come messo in luce dalla stessa pronuncia in esame, fa emergere le ulteriori finalità che può perseguire il risarcimento del danno. Anche se una soluzione di questo tipo sembra allo stato da escludere, alla luce della stessa decisione in esame che individua tra i limiti dei danni punitivi quello rappresentato della riserva di legge in tema di sanzioni patrimoniali.

Inoltre, il riferimento al requisito della proporzionalità, contenuto nelle pagine finali della decisione, non appare di agevole decifrazione: con esso, infatti, da un lato si allude al rapporto tra risarcimento punitivo e condotta sanzionata, il che è ben comprensibile e condivisibile, perché insito nel concetto di sanzione. Dall'altro lato, però, si fa riferimento anche alla verifica della proporzionalità tra risarcimento riparatorio-compensativo e risarcimento punitivo, quasi a voler rendere necessaria una indagine che scorpori le voci di danno e verifichi che la misura prevalente sia sempre quella riconducibile alla componente riparatoria in senso stretto. Il che sembra in contrasto sia con quanto previsto da molte delle ipotesi richiamate nella decisione, che hanno natura sanzionatoria tout-court, sia con la stessa premessa della decisione, che postula la natura polifunzionale della responsabilità civile e sembra quindi collocare sullo stesso piano la funzione riparatoria-compensativa con quella sanzionatoria-dissuasiva.

Occorreranno, quindi, probabilmente, altri interventi della Suprema Corte per chiarire tali profili e delineare ulteriormente i confini dei danni punitivi nel nostro ordinamento. Il che non scalfisce l'importanza, dal punto di vista storico, di una decisione che apre definitivamente, dopo tante discussioni dottrinali e giurisprudenziali, al risarcimento del danno in chiave sanzionatoria e comunque non esclusivamente riparatoria.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.