Appunti a prima lettura sulla riforma del giudizio di Cassazione

01 Giugno 2016

È stata pubblicata in G.U. 29 ottobre 2016, n. 254, la Legge 25 ottobre 2016, n. 197 di conversione con modificazioni, del decreto-legge 31 agosto 2016, n. 168, che contiene novità di grande rilievo riguardanti il giudizio di Cassazione.
Le novità in breve

Le novità introdotte con riguardo al giudizio di Cassazione si possono riassumere come segue, utilizzando la sintesi della normativa tratta dal Dossier del Senato.

Il nuovo art. 1-bis, introdotto nel corso dell'esame presso la Camera, reca numerose modifiche al giudizio di Cassazione. Tali modifiche ricalcano sostanzialmente il contenuto dei principi di delega previsti dall'art. 1, comma 2, lettera c) dell'AS 2284, (Delega per la riforma del processo civile), già approvato dalla Camera e attualmente all'esame della Commissione giustizia. In particolare, il comma 1 della disposizione:

  1. generalizza l'uso della trattazione in camera di consiglio nei procedimenti civili che si svolgono dinanzi alle sezioni semplici della Corte;
  2. modifica la procedura del c.d. «filtro» in Cassazione.

Analizzando puntualmente il contenuto del testo di riforma del procedimento del Giudizio di Cassazione, è possibile evidenziare , in modo analitico, le seguenti modifiche:

  • la lettera a) dell'art. 1-bis modifica l'art. 375 c.p.c. e prevede che la Corte, quando la controversia è assegnata a una sezione semplice, e non alle Sezioni Unite, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio; si ricorre all'udienza pubblica solo se la sezione «filtro» non riesce a definire il giudizio in camera di consiglio o se la questione di diritto sulla quale la Corte si deve pronunciare riveste una particolare rilevanza.
  • la lettera b) modifica l'art. 376 c.p.c. e precisa che, se il ricorso supera il filtro preliminare di inammissibilità/infondatezza, il presidente rimette gli atti alla sezione semplice, omettendo ogni formalità;
  • la lettera c) modifica l'art. 377 c.p.c., che rimette ad un decreto del presidente (della Corte di cassazione, della sezione semplice o della sezione «filtro») l'ordine di integrazione del contraddittorio o di esecuzione della notificazione dell'impugnazione (attualmente la Corte provvede con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375, n. 2);
  • la lettera d) interviene sull'art. 379 c.p.c. invertendo l'ordine di intervento delle parti nella discussione: dopo l'intervento del relatore spetta infatti al PM esprimere, oralmente, le sue conclusioni motivate; solo successivamente saranno i difensori delle parti a svolgere le loro difese; non sono ammesse repliche ed è soppressa la disposizione che oggi consente alle parti di presentare in udienza brevi osservazioni scritte sulle conclusioni del PM;
  • la lettera e) modifica l'art. 380-bis c.p.c. intervenendo sul procedimento filtro dinanzi alla apposita sezione civile della Corte, per eliminare la relazione del consigliere che, attualmente, contiene una concisa esposizione delle ragioni che possono giustificare la pronuncia di inammissibilità o di manifesta infondatezza del ricorso e che viene oggi depositata in cancelleria; la riforma accelera i tempi rimettendo allo stesso presidente, in sede di fissazione dell'adunanza, l'indicazione di eventuali ipotesi filtro; se la camera di consiglio della sezione filtro non ritiene che ricorrano le ipotesi di inammissibilità o manifesta infondatezza/fondatezza, rimette la causa alla pubblica udienza di una sezione semplice; la disposizione modifica altresì il procedimento per la decisione sulle istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza, intervenendo sull'art. 380-ter c.p.c.
  • la lettera f) introduce nel codice di rito il nuovo art. 380-bis.1 (attenzione: si tratta di un articolo distinto dall'art. 380-bis c.p.c., dedicato al c.d. «filtro»), volto a disciplinare il procedimento camerale dinanzi alle sezioni semplici; in base a tale disposizione il PM e le parti dovranno ricevere comunicazione della fissazione della camera di consiglio almeno 40 giorni prima; il PM potrà depositare le sue conclusioni scritte non oltre 20 giorni prima della camera di consiglio mentre le parti non oltre 10 giorni prima dell'adunanza; la corte giudicherà sulla base delle carte depositate, senza intervento di PM e parti.
  • la lettera g) prevede che tanto il PM quanto le parti possano interagire con la Corte esclusivamente per iscritto, escludendo la possibilità di essere sentiti; la camera di consiglio decide inaudita altera parte.
  • Con le modifiche agli artt. 390 e 391 (rispettivamente lettere h) e i) si ampliano i termini per rinunciare al ricorso (e si coordina il codice con la soppressione dall'art. 375, n. 3).
  • Infine, la lettera l) interviene sull'art. 391-bis, distinguendo il procedimento di correzione degli errori materiali da quello di revocazione delle sentenze della Cassazione. Nel primo caso, infatti, si prevede che l'esigenza di una correzione possa essere rilevata d'ufficio dalla Corte o richiesta dalle parti senza limiti di tempo (oggi, deve essere richiesta entro 60 giorni dalla notificazione della sentenza o entro un anno dalla sua pubblicazione). Nel secondo caso, invece, la revocazione può essere chiesta entro 60 giorni dalla notificazione o 6 mesi dalla pubblicazione; se la Corte ritiene la richiesta inammissibile pronuncia in camera di consiglio, diversamente provvede in pubblica udienza.
  • Il comma 2 dell'art. 1-bis, reca una disposizione transitoria prevedendo che la riforma del procedimento di cassazione si applica ai ricorsi depositati dopo l'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge ed ai ricorsi per i quali non è stata ancora fissata l'udienza o l'adunanza in camera di consiglio.

Brevi osservazioni organizzative

Pubblica udienza

Il presidente, su presentazione del ricorso a cura del cancelliere, fissa l'udienza o l'adunanza della camera di consiglio e nomina il relatore.

Dell'udienza (pubblica) è data comunicazione dal cancelliere agli avvocati delle parti almeno venti giorni prima.

Nulla è cambiato per il procedimento in pubblica udienza (tranne l'ordine di discussione: viene meno la regola, da molti ritenuta anacronistica, per cui il Procuratore Generale parla per ultimo).

Camera di consiglio

La Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio quando riconosce di dovere:

  1. dichiarare l'inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto, anche per mancanza dei motivi previsti dall'art. 360;
  2. pronunciare sulle istanze di regolamento di competenza e di giurisdizione;
  3. accogliere o rigettare il ricorso principale e l'eventuale ricorso incidentale per manifesta fondatezza o infondatezza (i nn. 2 e 3 dell'art. 375 c.p.c. sono stati eliminati).

La Corte, a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio anche in ogni altro caso, salvo che la trattazione in pubblica udienza sia resa opportuna dalla particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale deve pronunciare, ovvero che il ricorso sia stato rimesso dall'apposita sezione di cui all'art. 376 in esito alla camera di consiglio che non ha definito il giudizio.

Quindi, il presidente, su presentazione del ricorso a cura del cancelliere, fissa – di regola - l'adunanza della camera di consiglio e nomina il relatore.

Della fissazione del ricorso in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice ai sensi dell'art. 375, comma 2, è data comunicazione agli avvocati delle parti e al pubblico ministero almeno quaranta giorni prima.

Il pubblico ministero può depositare in cancelleria le sue conclusioni scritte non oltre venti giorni prima dell'adunanza in camera di consiglio.

Le parti possono depositare le loro memorie non oltre dieci giorni prima dell'adunanza in camera di consiglio. In camera di consiglio la Corte giudica senza l'intervento del pubblico ministero e delle parti.

La trattazione in pubblica udienza ha luogo:

a) per la particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale deve pronunciare,

b) se il ricorso è stato rimesso dall'apposita sezione di cui all'art. 376 in esito alla camera di consiglio che non ha definito il giudizio.

Altrimenti il presidente, su presentazione del ricorso a cura del cancelliere, fissa – di regola - l'adunanza della camera di consiglio e nomina il relatore.

Quindi, la decisione di fissazione dell'udienza pubblica è rimessa al Presidente, ma non è esclusa, come avviene nel penale (e nella Sesta Sezione civile), una delega a un consigliere, che resta nominato relatore sia che suggerisca la camera di consiglio sia che suggerisca la pubblica udienza.

Una alternativa organizzativa potrebbe essere nel senso che la decisione è rimessa al Presidente di sezione non titolare al quale sia delegata un'intera materia, coadiuvato da Assistenti di Studio o da Consiglieri esperti della materia, così da poter decidere l'accorpamento di ricorsi da trattare in via camerale e selezionare, invece, quelli meritevoli di trattazione in pubblica udienza, sempre che il ricorso evidenzi «una particolare rilevanza della questione di diritto».

Del pari sembra auspicabile la collaborazione dei magistrati del Massimario o di consiglieri anziani per l'applicazione della nuova norma, per la quale: «Il primo presidente, il presidente della sezione semplice o il presidente della sezione di cui all'art. 376, comma 1, quando occorre, ordina con decreto l'integrazione del contraddittorio o dispone che sia eseguita la notificazione dell'impugnazione a norma dell'art. 332, ovvero che essa sia rinnovata».

Quanto all'individuazione delle ipotesi di fissazione della pubblica udienza, se l'ipotesi innanzi prevista sub b) non pone questione alcuna, più problematica appare l'individuazione dell'ipotesi sub a).

È certo che la particolare rilevanza non deve essere intesa come questione di massima di particolare importanza, tale da imporre prima facie la rimessione al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni unite. A ciò, semmai, provvederà il collegio all'esito della pubblica udienza ovvero anche dell'adunanza in camera di consiglio.

Uno spunto può venire dalla norma di cui all'art. 360-bis, n. 1, c.p.c., letta a contrario, nel senso che il provvedimento impugnato abbia deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte ma l'esame dei motivi offre elementi per confermare o mutare l'orientamento della stessa.

In ogni caso la mancanza di precedenti o l'esistenza di un orientamento giurisprudenziale risalente o oscillante o, comunque, non consolidato, possono suggerire la decisione in pubblica udienza.

L'ispirazione della novella

Sembra che il Legislatore abbia fatto proprie (anche se solo in parte) alcune delle proposte di Giovanni Verde, Proposte per la Cassazione, (Testo dell'intervento all'incontro sulla funzione di nomofilachia svolto presso la Corte di cassazione il 1 marzo 2016): «Gli artt. 377 e 379 stabiliscono che la conclusione del processo in cassazione avvenga in udienza, salvo che ricorrano i casi in cui si può decidere in camera di consiglio. La formula andrebbe rovesciata, così come già avviene dinanzi ai giudici di merito, nel senso che la decisione avviene in camera di consiglio e che si fa luogo alla pubblica udienza soltanto a seguito di motivata (e accolta) richiesta delle parti. Eviteremmo ciò che oramai si è ridotto a un simulacro, dal momento che, essendosi istituzionalizzato il sistema della precamera di consiglio, i difensori ben sanno che la causa è stata già decisa prima dell'udienza (e basta frequentare le aule della Corte per constatare che oramai gli avvocati hanno perso, almeno nel processo civile, l'abitudine di discutere, avendone constatata l'inutilità). In questo modo sarebbe possibile semplificare una disciplina (quella fissata dagli artt. 375, 376, 377, 380-bis, 380-ter c.p.c.) complicata e farraginosa. L'art. 379, poi, prevede che il pubblico ministero concluda. È un retaggio anacronistico, in contrasto, a me sembra, con il principio della paritaria difesa, in quanto le sue conclusioni non sono conosciute prima dalle parti così che possano adeguatamente replicare. E le parti, nell'attuale sistema, continuano – non dimentichiamolo – ad essere le protagoniste principali della vicenda processuale, perché il ricorso è azionato, ancora oggi, nel loro interesse, a loro rischio e pericolo, e non nell'interesse esclusivo della legge. Quanto meno dinanzi alle Sezioni semplici, si potrebbero sostituire le conclusioni del p.m. in udienza con conclusioni sinteticamente motivate che il p.m. potrebbe valutare se è il caso di depositare in maniera che le parti ne possano prendere visione; e ciò con un guadagno in termini di utilizzazione del personale e con un maggiore rispetto per le esigenze della difesa. Lascerei la pubblica udienza con la necessaria presenza del pubblico ministero soltanto dinanzi alle Sezioni Unite».

È stata abbandonata, peraltro, la strada intrapresa dalla Commissione Vaccarella (insediata nel 2013), la quale aveva proposto sì la generalizzazione del procedimento camerale – salvo che la pubblica udienza fosse ritenuta opportuna «per la presenza di una questione di diritto di particolare importanza, ovvero per l'evoluzione del diritto o per garantire l'uniformità della giurisprudenza» – ma senza eliminazione della relazione ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ. e con facoltà per le parti di chiedere la trattazione in pubblica udienza (sulle origini della riforma cfr. Graziosi, La Cassazione "incamerata": brevi note pratiche, in www.judicium.it).

L'abbandono del modello dell'ordinanza “opinata” si ha, però, nel 2015, con la presentazione del d.d.l. delega per la riforma del processo civile alla luce delle proposte elaborate dalla c.d. Commissione Berruti, nelle quali era suggerito il ritorno al vecchio procedimento camerale disciplinato dal previgente art. 375 c.p.c. – applicato dalla c.d. “Struttura unificata” – sulle orme della camera di consiglio disciplinata dall'art. 611 c.p.p..

E' corretta, pertanto, la conclusione per la quale la l. 25 ottobre 2016 n. 197 di conversione con modifiche del d.l. 31 agosto 2016 n.168, che è entrata in vigore il 30 ottobre 2016, «trae dalla proposta di riforma Vaccarella la dilatazione del rito camerale e, dalla proposta di riforma Berruti l'eliminazione del contraddittorio con il giudice, tale dovendosi qualificare l'articolo 380 bis c.p.c. nel previgente dettato per cui le parti esprimono la loro posizione su quella sorta di provvedimento ipotetico che deve depositare il relatore e il collegio, infine, da ciò trae gli esiti» (Graziosi, op. loc. cit.). E' doveroso segnalare, peraltro, che il documento conclusivo approvato dall'Assemblea Generale della Corte di cassazione, tenutasi il 25 giugno 2015, contiene, tra le riforme auspicate, la richiesta di «introduzione di una disciplina semplificata del rito camerale, senza previa relazione preliminare e con contraddittorio scritto».

Opinioni critiche della dottrina e repliche

Altrettanta attenzione non sembra sia stata riservata dal Legislatore alle critiche (preventive) provenienti da fonte autorevolissima.

Invero, il 3 ottobre 2016, il Presidente della Associazione Italiana tra gli Studiosi del Processo Civile, professore Federico Carpi, ha inviato al Ministro della Giustizia e ai Presidenti delle Commissioni Giustizia della Camera e del Senato il un documento contenente numerose critiche alle nuove norme introdotte in sede di conversione del d. l. n. 168/2016.

In particolare, nel documento si stigmatizza che: «L'ultimo periodo del nuovo art. 380-bis, comma 1, c.p.c. e dell'art. 380-ter c.p.c. non solo esclude la trattazione in pubblica udienza, ma anche la possibilità, oggi prevista, che le parti siano sentite in camera di consiglio. Il che appare contrario alla Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo e alle indicazioni della Corte costituzionale, in riferimento al diritto all'udienza pubblica; la disposizione convenzionale, infatti, è interpretata nel senso che comunque deve essere garantito il diritto delle parti ad essere sentite».

Sennonché, la Corte europea dei diritti dell'uomo (sentenza del 10 aprile 2012 - Caso Lorenzetti contro Italia) ha ricordato che una udienza pubblica può non essere necessaria date le circostanze eccezionali della causa, soprattutto quando quest'ultima non sollevi questioni di fatto o di diritto che non possano essere risolte in base al fascicolo e alle osservazioni presentate dalle parti, come nel caso in cui vengano trattate situazioni che hanno ad oggetto questioni altamente tecniche, purché la specificità della materia non esiga il controllo del pubblico.

Non può essere trascurato, peraltro, che la disciplina introdotta in sede di conversione del d.l. n. 168/2016 ricalca, per grandi linee, il procedimento camerale nel giudizio penale di legittimità, ai sensi dell'art. 611 c.p.p. Procedimento nel quale l'inammissibilità del ricorso è decisa senza partecipazione delle parti e con contraddittorio solo scritto anche per gravissimi reati, siano essi omicidi o stragi. Sì che appare incongruo pretendere la pubblicità dell'udienza per un inammissibile ricorso in materia civile anche quando riguardi l'inesatto adempimento dell'obbligo di consegnare una bicicletta.

In relazione alla disciplina del processo penale di recente la Corte costituzionale, con la sentenza n. 80/2011 ha evidenziato il generale orientamento della Corte europea in tema di applicabilità del principio di pubblicità nei giudizi di impugnazione. Tale orientamento si esprime segnatamente nell'affermazione per cui, al fine della verifica del rispetto del principio di pubblicità, occorre guardare alla procedura giudiziaria nazionale nel suo complesso: sicché, a condizione che una pubblica udienza sia stata tenuta in prima istanza, l'assenza di analoga udienza in secondo o in terzo grado può bene trovare giustificazione nelle particolari caratteristiche del giudizio di cui si tratta.

In specie, i giudizi di impugnazione dedicati esclusivamente alla trattazione di questioni di diritto possono soddisfare i requisiti di cui all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione, nonostante la mancata previsione di una pubblica udienza davanti alle corti di appello o alla corte di cassazione (ex plurimis, sentenza 21 luglio 2009, Seliwiak contro Polonia; Grande Camera, sentenza 18 ottobre 2006, Hermi contro Italia; sentenza 8 febbraio 2005, Miller contro Svezia; sentenza 25 luglio 2000, Tierce e altri contro San Marino; sentenza 27 marzo 1998, K.D.B. contro Paesi Bassi; sentenza 29 ottobre 1991, Helmers contro Svezia; sentenza 26 maggio 1988, Ekbatani contro Svezia).

D'altronde, sfuggono all'esame del giudice di legittimità gli aspetti in rapporto ai quali l'esigenza di pubblicità delle udienze è più avvertita, quali l'assunzione delle prove, l'esame dei fatti e l'apprezzamento della proporzionalità tra fatto e sanzione (al riguardo, sentenza 10 febbraio 1983, Albert e Le Compte contro Belgio; sentenza 23 giugno 1981, Le Compte, Van Leuven e De Meyere contro Belgio; nonché, più di recente, Grande Camera, sentenza 11 luglio 2002, Göç contro Turchia).

Le altre critiche rivolte alla riforma da parte dei processualcivilisti, poi, riguardano l'evanescenza e contraddittorietà dei criteri in base ai quali la scelta del rito, camerale o in pubblica udienza, deve essere compiuta.

Secondo quel documento «il novellato comma 2 dell'art. 375 c.p.c. non indica chi abbia il potere di valutare l'opportunità della trattazione del ricorso alla udienza pubblica: se questa scelta implichi una decisione della Corte, nella sua composizione collegiale, ovvero del relatore, ovvero del presidente del collegio, o del presidente della sezione. In base alla prima soluzione, è evidente che la riforma appesantisce il compito della corte, perché il collegio dovrebbe preventivamente valutare se il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio o se debba essere trattato all'udienza e, poi, decidere su di esso. Sarebbe imposta una doppia valutazione».

Sennonché, si è già spiegato, innanzi, che la scelta del rito ad opera del collegio può intervenire solo all'esito dell'adunanza camerale dell'«apposita sezione», ossia la Sesta civile, qualora il collegio non condivida la sommaria valutazione fatta dal Presidente, su proposta del relatore, così come accade oggi.

La differenza con la disciplina vigente è tutta nel modo di investire il collegio di sesta: non più con la relazione redatta ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., bensì con il rilievo nel corpo del provvedimento di fissazione della ragione di inammissibilità (o delle altre ragioni che giustificano il procedimento camerale in sesta: manifesta fondatezza o infondatezza o altro) alla stregua di quanto avveniva con la «Struttura unificata», creata in sede organizzativa sulla falsariga del procedimento camerale penale.

Il procedimento, poi, si ripete nella sezione ordinaria: nel provvedimento di fissazione, però, occorre la specificazione dell'esistenza di «una particolare rilevanza della questione di diritto» soltanto ai fini della celebrazione della pubblica udienza. Negli altri casi, infatti, la regola è quella dell'adunanza camerale non partecipata e, nella selezione dei ricorsi, sebbene il decreto di fissazione sia atto del Presidente, non è esclusa la delega ai consiglieri, come già oggi accade presso la sesta sezione civile e la settima sezione penale.

Se si guardasse al funzionamento della Settima sezione penale e alla disciplina dettata dall'art. 611 c.p.p., molti dubbi del lettore verrebbero immediatamente dissipati.

Ulteriori profili pratici: camera di consiglio dell'apposita sezione

Parte della dottrina intervenuta a commento della nuova disciplina ha correttamente evidenziato che la modifica si giustifica per avere compreso il legislatore che la dilatazione del contraddittorio che comportava l'”ordinanza opinata” era tale da prevedere «un progetto di decisione da presentare come una sorta di proposta contrattuale alle parti» e ciò significava aggravamento, e quindi inefficienza, della funzione giurisdizionale, «non è necessaria per tutelare i diritti delle parti private, essendo queste munite di difensore tecnico». Talché, il nuovo articolo 380-bis c.p.c. «ha “potato” nella massima misura quello che era, in effetti, un meccanismo ridondante» (Graziosi, op. cit.).

Non appaiono condivisibili, invece, le critiche svolte dalla stessa parte della dottrina al meccanismo di accesso alla pubblica udienza. Addirittura, infatti, viene sospettata di dubbia costituzionalità la difformità di accesso: da un lato è imposta l'udienza pubblica dal provvedimento della sesta sezione civile che non ritiene sussistenti le ipotesi di cui all'art. 375, nn. 1 e 5, c.p.c. e, dall'altro, il presidente della sezione semplice può fissare la pubblica udienza soltanto qualora ravvisi nella causa una questione nomofilattica.

Ciò, si afferma, «potrebbe creare qualche perplessità sotto il profilo costituzionale dell'uguaglianza, in riferimento alla fruizione del rito che ora fornisce il maggior grado di contraddittorio, cioè il rito della pubblica udienza, il quale, oltre al contraddittorio cartolare - non è stato toccato l'articolo 378 c.p.c. -, sfocia in una discussione cui deve (a differenza del rito camerale nuovo, dove, come si vedrà, ne ha la mera facoltà) partecipare il pubblico ministero» (Graziosi, op. cit.).

L'osservazione, per vero, coglie nel segno soltanto nella misura in cui evidenzia che in tal modo l'art. 375, comma 2, cod. proc. civ., pone sullo stesso piano la circostanza che il ricorso sia stato rimesso dall'apposita sezione di cui all'art. 376 in esito alla camera di consiglio che non ha definito il giudizio e la valutazione del presidente della sezione semplice circa la particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale occorre pronunciare.

Là dove appare evidente che la valutazione di un intero collegio, che fa seguito alla proposta del relatore condivisa dal presidente (o coordinatore) dell'apposita sezione, circa la necessità di un pubblico dibattito e della “non evidenza” della decisione (criterio che deve informare la trattazione presso l'apposita sezione) non poteva che essere apprezzata dal Legislatore come criterio “naturale” per la trattazione in pubblica udienza. La diversità del presupposto è evidente e scioglie qualsiasi dubbio di disparità di trattamento anche ove si voglia argomentare dalla sommarietà della valutazione che consente al presidente dell'apposita sezione (ma su proposta del relatore) di indirizzare il ricorso alla sezione semplice.

Qui tutto inizia daccapo.

Ulteriori profili pratici: camera di consiglio della sezione semplice

Si è visto innanzi che il presidente della sezione semplice, su presentazione del ricorso a cura del cancelliere, fissa l'udienza o l'adunanza della camera di consiglio e nomina il relatore.

Sul punto l'art. 377, comma 1, c.p.c. è rimasto del tutto invariato rispetto al testo previgente.

Si è anche evidenziato, sopra, che è stato aggiunto un terzo comma in virtù del quale il primo presidente, il presidente della sezione semplice o il presidente della sezione di cui all'art. 376, comma 1, quando occorre, ordina con decreto l'integrazione del contraddittorio o dispone che sia eseguita la notificazione dell'impugnazione a norma dell'art. 332, ovvero che essa sia rinnovata. Ciò – appare evidente – per evitare quanto avveniva in passato: fissazione dell'udienza pubblica (o dell'adunanza) e successivo provvedimento interlocutorio di integrazione del contraddittorio o di rinnovazione della notifica, con notevole dispendio di attività e tempo.

E' a questo nuovo decreto del presidente che si riferisce la nuova rubrica dell'art. 377 c.p.c. «Fissazione dell'udienza o dell'adunanza in camera di consiglio e decreto preliminare del presidente».

La dottrina, invece, ha enfatizzato questa nuova denominazione del provvedimento del presidente che, anche prima, era e non poteva essere altro che un decreto (Cass., 13 maggio 1968 n. 1479 e, fra le ultime, Cass., 18 marzo 2010, n. 6626).

Quello che la rubrica ora chiama decreto “preliminare” – ed è la novità – è il decreto di integrazione o rinnovazione della notifica di cui si è detto; provvedimento revocabile e modificabile dal collegio in esito all'udienza o all'adunanza o anche in via preliminare.

Dunque, nessun argomento può essere tratto dalla rubrica per desumerne una particolare natura del provvedimento presidenziale, che resta, come era, un decreto (per una diversa opinione cfr. Graziosi, op. cit., il quale evidenzia «la sostanza di cognizione del provvedimento del presidente» in quanto qualificato "decreto preliminare").

Dubbi della pratica. Mutamento del rito o rinvio dell'adunanza?

Si è diffusa tra gli operatori l'opinione che il collegio della sezione semplice, in esito all'adunanza in camera di consiglio, possa disporre una sorta di mutamento del rito, rimettendo la causa alla pubblica udienza.

E' stata anche avanzata l'ipotesi che i difensori possano presentare preventivamente un'istanza per la fissazione in pubblica udienza, così come era previsto nel progetto Vaccarella (Graziosi, op. cit.).

Ora, mentre sulla prima questione, la dottrina ha correttamente interpretato le nuove norme nel senso che «il collegio non ha poi il potere di mutarla, perché non ha - a differenza del collegio della sesta sezione, per quanto questo lo eserciti attraverso il presidente, "omessa ogni formalità", portando peraltro la causa in un'altra sezione (art. 376, primo comma, secondo periodo, e 375, secondo comma, c.p.c.) - il potere di rimettere la causa all'udienza pubblica davanti a sezione semplice, residuandogli soltanto, per fare accedere a udienza pubblica, la remissione alle sezioni unite ex art. 374, secondo comma, c.p.c.» (Graziosi, op. cit.); sulla seconda questione è solo possibile affermare che nessuna disposizione impedisce ai difensori di presentare una simile istanza. E' ovvio, però, che essa non potrà vincolare le decisioni del presidente e la sua presentazione, salvo le ipotesi in cui essa segnali l'esistenza di una questione a valenza nomofilattica alla stregua di quella che può essere presentata per sollecitare la rimessione alle Sezioni unite (art. 374 c.p.c.), potrà solo creare un ulteriore aumento degli adempimenti di cancelleria.

E' da condividere, invece, l'opinione per la quale non appare configurabile neppure uno spazio per le parti per presentare istanza di revoca/modifica del decreto preliminare (Graziosi, op. cit.).

Non condivisibile, invece, appare l'affermazione per la quale la scelta del rito prevista nel modo sopra visto, sulla base di una valutazione sommaria e monocratica, creerebbe criticità sul piano dell'art. 3 Cost., sempre che sia possibile far valere una concreta lesione al diritto di difesa per non essere stato tutelato integralmente sotto il profilo del contraddittorio (Graziosi, op. cit.).

La parte che ha ragione ha interesse a che ciò sia riconosciuto dal giudice.

Se ciò avviene con ordinanza o con sentenza la parte è priva di interesse a dolersene.

Quanto alle ipotesi in cui si manifestino jus superveniens o il revirement di un orientamento giurisprudenziale fino ad allora qualificabile certa lex e la memoria scritta mediante la quale si realizza senza più replica orale il contraddittorio non abbia potuto considerarli (Graziosi, op. cit.) è da ritenere che il rilievo officioso delle questioni di diritto nuove potranno giustificare la fissazione di una nuova adunanza camerale da parte del collegio (con ovvia comunicazione alle parti) come in tutti i casi di rilievo officioso disciplinati dall'art. 384 c.p.c. e non si comprende perché in tali ipotesi non possa essere ripetuto il contraddittorio cartolare.

Le Sezioni unite, peraltro, hanno già avuto occasione di precisare – vigente l'originario art. 375 c.p.c. – che nel giudizio di cassazione, la trattazione del ricorso in udienza pubblica (art. 379 c.p.c.) non impedisce che lo stesso, una volta rinviato a nuovo ruolo, sia dal presidente fissato per la trattazione nell'adunanza della camera di consiglio (art. 377, primo comma, c.p.c.), qualora ricorra una delle ipotesi previste dall'art. 375 c.p.c. per la pronuncia in camera di consiglio (Cass., Sez. Un., 13 aprile 2005, n. 7552).

Qui il “mutamento” del rito segue il percorso inverso a quello auspicato dall'opinione sopra criticata.

In precedenza la stessa S.C. aveva avuto modo di evidenziare che l'avvenuta fissazione della trattazione di un'istanza di regolamento preventivo di giurisdizione in udienza pubblica - anziché, come prescritto dall'art. 375 c.p.c., in camera di consiglio - è pienamente legittima, in quanto non determina alcun pregiudizio ai diritti di azione e difesa delle parti, considerato che l'udienza pubblica rappresenta, anche nel procedimento davanti alla Corte di cassazione, lo strumento di massima garanzia di tali diritti, consentendo ai titolari di questi di esporre compiutamente i propri assunti (come è reso palese dall'adeguato termine stabilito per la comunicazione del giorno fissato per l'udienza medesima e dalla possibilità di deposito di memorie illustrative), nell'osservanza più piena del principio del contraddittorio, anche nei confronti del rappresentante del procuratore generale, sulle cui conclusioni è consentito svolgere osservazioni scritte. Peraltro, per effetto della trattazione dell'istanza di regolamento in udienza pubblica resta inciso il legame istituito dal citato art. 375 c.p.c. fra il rito camerale e la prescrizione dell'ordinanza come forma del provvedimento conclusivo, con la conseguenza che alla decisione dell'istanza di regolamento deve essere, in tal caso, attribuita la forma della sentenza, dal combinato disposto degli artt. 131, primo comma, e 279 c.p.c. essendo consentito enucleare, quale principio generale dell'ordinamento processuale (e salve le deroghe che risultino espressamente stabilite dalla legge), la prescrizione di una forma siffatta per i provvedimenti collegiali che, all'esito della pubblica udienza di discussione, comportano la definizione del giudizio davanti al giudice adito (Cass., Sez. Un., 10 luglio 2003 n. 10841).

La conclusione che si trae dai precedenti e dalla lettura delle nuove norme appare evidente: non esiste alcuna sanzione per l'erronea (o inopportuna) trattazione in udienza pubblica di ciò che va trattato in sede camerale e lo stesso principio, alla luce delle pronunce della CEDU sopra richiamate, deve ritenersi che si applichi al caso inverso.

Pubblica udienza e contraddittorio “misto”

La dottrina ha evidenziato che la pubblica udienza di contraddistingue, più che per l'oralità, per il fatto che consente tre gradi di contraddittorio: agli atti introduttivi (ricorso, controricorso ed eventuale ricorso incidentale), segue lo scambio delle memorie e, nell'udienza di discussione, il contraddittorio orale nel quale ora le parti concludono dopo le requisitorie del pubblico ministero. «Gli stadi sono dunque tre, e il contraddittorio può definirsi misto tra cartolare e orale» (Graziosi, op. cit.).

Ciò a differenza che nel procedimento camerale presso la sesta civile – nel quale restano le memorie ma manca il contraddittorio orale e il P.G. non riceve comunicazione dell'avviso di udienza – e in quello dinanzi alla sezione semplice – nel quale oltre alle memorie è possibile che il P.G. depositi requisitorie scritte. Sì che esisterebbero tre diverse gradazioni di contraddittorio.

E' da ricordare, infine, che il vigente art. 76 Ord. Giud. (come modificato dal d.l. n. 69/2013) prevede che il pubblico ministero presso la Corte di cassazione interviene e conclude in tutte le udienze dinanzi alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di cui all'art. 376, primo comma, primo periodo, c.p.c. e redige requisitorie scritte nei casi stabiliti dalla legge.

Quindi redige requisitorie scritte nell'ipotesi di cui all'art. 380-ter c.p.c. (regolamenti di competenza e di giurisdizione) e nel procedimento camerale dinanzi alle sezioni semplici (art. 380-bis.1 c.p.c.).

Lo “smistamento” dei ricorsi (meglio: la scelta del rito)

Le considerazioni finora svolte dovrebbero rendere evidenti le ragioni di non condividibilità di quanto affermato da parte autorevole della dottrina, secondo cui sulla base della nuova disciplina «lo smistamento tra trattazione in pubblica udienza è rimesso a una valutazione di "opportunità", ai sensi del nuovo art. 375, comma 2, c.p.c.; questa valutazione è attribuita dall'art. 377, comma 3, c.p.c., al "primo presidente", al "presidente della sezione semplice" e al "presidente della sezione" "filtro"; la nuova disposizione ignora il caso in cui i presidenti non siano di accordo, né regola i modi e le forme per risolvere gli eventuali conflitti. Si tratta, comunque, di una mera valutazione preliminare, perché appare ovvio che la decisione finale, anche su tale questione, spetta al collegio. Ai sensi del nuovo 380-bis c.p.c., infatti, il "presidente" provvede su proposta del relatore e la Corte può decidere di rimettere la causa in pubblica udienza» (Costantino, Suprema corte: una cura sbagliata che incide sui diritti, in Guida al diritto, n. 47/2016, 12).

Non si vede, soprattutto, come il primo presidente, il presidente della sezione semplice e il presidente della sesta sezione (in realtà, il coordinatore della competente sottosezione) possano entrare in conflitto se il ricorso passa dalla cancelleria centrale direttamente alle Sezioni unite che concerne materie attribuite ad esse (es. motivi di giurisdizione o impugnazione di sentenza del Tribunale Superiore delle acque e così via). Altrimenti, in relazione alla materia cui si riferisce, il fascicolo è trasmesso alla competente sottosezione, il cui coordinatore, su proposta del relatore da lui nominato, fisserà l'adunanza ovvero rimetterà il ricorso alla sezione semplice e qui il presidente titolare fisserà l'adunanza salvo che ricorrano le ipotesi innanzi specificate di fissazione della pubblica udienza. Ipotesi – si ripete – che prevedono una via obbligata alla pubblica udienza (rimessione alla sezione semplice da parte del collegio dopo l'adunanza di sesta) e una via eventuale: se il ricorso implica la decisione di una questione di diritto di particolare importanza «e» il presidente, per tale ragione, ritenga opportuna la fissazione dell'udienza pubblica.

L'opportunità, in sé, è il caso di precisare, non costituisce criterio che giustifica il rito della pubblica udienza.

Aspetti critici della disciplina transitoria

Si è già anticipato, innanzi, che il secondo comma dell'art. 1-bis, del decreto legge come convertito, reca una disposizione transitoria in virtù della quale la riforma del procedimento di cassazione si applica non solo ai ricorsi depositati dopo l'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge ma anche ai ricorsi pendenti per i quali non è stata ancora fissata l'udienza o l'adunanza in camera di consiglio.

Attenta dottrina (Pagni, Relazione all'incontro di studi organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura, Legittimità e merito nella deflazione processuale: bilanci e prospettive di riforma e autoriforma; i parametri Cedu, Roma, 11 novembre 2016) ha segnalato la possibile compromissione del diritto di difesa che può discendere dall'applicazione della nuova disciplina ai ricorsi pendenti.

Si è ipotizzato il caso (non infrequente, nella pratica) dell'intimato che non intenda contraddire notificando il controricorso, riservandosi di farlo in sede di discussione, anche se in tal modo rinuncia anche alla possibilità di depositare memoria scritta (art. 370 c.p.c.).

La parte che abbia fatto affidamento su tale ultima possibilità rischia di apprendere casualmente che il ricorso è stato deciso con ordinanza in camera di consiglio, magari con esito negativo per essa.

Sennonché, occorre preliminarmente chiarire che la facoltà ora detta resta in ogni caso compromessa qualora la parte non abbia cura di verificare quotidianamente l'avvenuta fissazione dell'udienza o dell'adunanza in camera di consiglio. Verifica oggi resa più agevole dall'accesso al registro informatico ma che una volta richiedeva l'accesso quotidiano presso la cancelleria.

Infatti, l'avviso di udienza o di fissazione dell'adunanza è dovuto soltanto alle parti costituite.

Ad evitare sorprese, la parte intenzionata a difendersi soltanto in sede di discussione orale normalmente deposita tempestivamente in cancelleria una procura speciale per consentire alla cancelleria di comunicare l'avviso e poter così partecipare all'udienza (Cass., Sez. Un., 11 aprile 1981 n. 2114; Cass., sez. V, 30 settembre 2011 n. 20029; Cass., Sez. Un., 13 giugno 2014 n. 13431).

Da quanto ora esposto discende che, in difetto di tempestivo deposito della procura speciale, la parte che abbia optato per la detta linea difensiva e che rischia comunque che l'udienza si tenga senza avere diritto alla comunicazione della data dell'udienza, non potrà dolersi della mancata comunicazione dell'adunanza in camera di consiglio in applicazione della nuova disciplina né, posto che sia in condizioni di conoscere la data dell'adunanza, potrà depositare memoria, dovendo imputare al proprio precedente comportamento processuale gli effetti della sopravvenuta disciplina processuale.

Resta da osservare che non è ipotizzabile una richiesta di restituzione in termini per depositare una memoria, considerato che ciò sarebbe inibito dall'art. 370 c.p.c., in questa parte immutato.

Altro notevole inconveniente discende dalla giurisprudenza ormai consolidata secondo la quale la produzione dell'avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia del ricorso per cassazione spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale ai sensi dell'art. 149 c.p.c., o della raccomandata con la quale l'ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell'avvenuto compimento delle formalità di cui all'art. 140 c.p.c., è richiesta dalla legge esclusivamente in funzione della prova dell'avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio e, dunque, dell'avvenuta instaurazione del contraddittorio. Ne consegue che l'avviso non allegato al ricorso e non depositato successivamente può essere prodotto fino all'udienza di discussione di cui all'art. 379 c.p.c., ma prima che abbia inizio la relazione prevista dal primo comma della citata disposizione, ovvero fino all'adunanza della corte in camera di consiglio di cui all'art. 380-bis c.p.c., anche se non notificato mediante elenco alle altre parti ai sensi dell'art. 372, secondo comma, c.p.c.. In caso, però, di mancata produzione dell'avviso di ricevimento, ed in assenza di attività difensiva da parte dell'intimato, il ricorso per cassazione è inammissibile, non essendo consentita la concessione di un termine per il deposito e non ricorrendo i presupposti per la rinnovazione della notificazione ai sensi dell'art. 291 c.p.c.; tuttavia, il difensore del ricorrente presente in udienza o all'adunanza della corte in camera di consiglio può domandare di essere rimesso in termini, ai sensi dell'art. 184-bis c.p.c., per il deposito dell'avviso che affermi di non aver ricevuto, offrendo la prova documentale di essersi tempestivamente attivato nel richiedere all'amministrazione postale un duplicato dell'avviso stesso, secondo quanto previsto dall'art. 6, primo comma, l. n. 890/1982 (Cass., Sez. Un., 14 gennaio 2008, n. 627).

E' certo che, se nulla è mutato quanto alla pubblica udienza, per il procedimento camerale è venuta meno la possibilità di produzione dell'avviso di ricevimento in sede di adunanza camerale.

Parte della dottrina, peraltro, ha ipotizzato una soluzione “molto creativa” – a non volere rivedere la giurisprudenza che appunto abilitava le parti alla produzione di quelle prove fino all'adunanza, ove si ritenesse che tanto aggraverebbe ulteriormente la posizione dei difensori, già privati dell'udienza – prevedendo un onere di deposito di quelle prove “in tempo utile a consentire alla controparte di organizzarsi e replicare con la memoria entro i cinque giorni antecedenti l'adunanza” (De Stefano, Prime riflessioni sul procedimento civile per cassazione a seguito delle modifiche di cui al d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito dalla l. 25 ottobre 2016, n. 197, Relazione svolta al corso SSM del 24 novembre 2016).

La soluzione, peraltro, comporterebbe l'applicazione analogica dell'art. 378 c.p.c. – dettato per l'udienza pubblica – all'adunanza in camera di consiglio. Ma è pur sempre una soluzione, specie nella fase transitoria.

Profili conclusivi

Sembra utile concludere richiamando quanto evidenziato da autorevole dottrina, secondo cui, poiché già dal 2001, tutti i ricorsi avrebbero potuto essere trattati in camera di consiglio, posto che la pubblica udienza avrebbe potuto essere esclusa per i ricorsi manifestamente fondati, per quelli manifestamente infondati, per quelli inammissibili e per quelli improcedibili, mentre era già esclusa per la decisione dei regolamenti di giurisdizione e di competenza, per la revocazione delle sentenze della Corte e per la correzione degli errori materiali; e poiché già dal 2006, salvo quelli riservati alle sezioni Unite, tutti i ricorsi devono passare dalla Sezione sesta, che decide in camera di consiglio, «il dibattito sui vantaggi e sugli svantaggi della pubblica udienza e del rito camerale non sembra abbia grande senso in riferimento all'ultima riforma; quest'ultima non ha apportato significativi elementi di novità sul piano pratico» (Costantino, op. cit., 10).

Assolutamente non condivisibile, però, è l'assunto sottinteso a tale conclusione. Ossia che le parti hanno in ogni caso diritto di chiedere di essere sentite anche nel procedimento camerale, pena l'incompatibilità con la CEDU. Ciò che sin dall'inizio di questo scritto è stato escluso.

Sempre a mo' di notazione finale giova evidenziare che, secondo la dottrina, la relazione scritta «consentiva alle parti di conoscere prima le ragioni in base alle quali il ricorso poteva essere dichiarato inammissibile, improcedibile, manifestamente infondato o manifestamente fondato e replicare per iscritto sugli aspetti messi in evidenza dal relatore. Per effetto della riforma, invece, le parti non potranno conoscere preventivamente l'orientamento del relatore» (Costantino, op. cit., 11).

Da ciò deriverebbe un vulnus al diritto di difesa.

Sennonché a tale notazione è facile replicare che, solo nell'anno 2015, la Cassazione civile ha dichiarato inammissibile il ricorso, con sentenza pronunciata all'esito della pubblica udienza, ben n. 2010 volte (da Italgiure web). In nessun caso alle parti era stata preannunciata, si presume, la ragione di inammissibilità, non essendo prevista la notificazione della relazione scritta del relatore.

Nomofilachia negativa e nomofilachia positiva

Va ricordato che l'art. 360-bis c.p.c., introdotto con la riforma del 2009, codifica la distinzione tra nomofilachia negativa e nomofilachia positiva teorizzata in dottrina, funzioni che prima si dividevano tra apposita sezione e sezione semplice-sezioni unite, mentre ora sono ripartite tra apposita sezione e sezione semplice in adunanza da un lato e sezione semplice in pubblica udienza e sezioni unite dall'altro (per le notazioni che seguono v. già Didone, Il giudizio di legittimità dopo le riforme, in Le riforme del processo civile, Milano, 2014, § 34).

In proposito occorre muovere dal tuttora vigente art. 65 ord. giud. – il quale, com'è stato puntualizzato in dottrina, “ai limita a ripetere ancora, quasi testualmente, l'art. 122 dell'ordinamento giudiziario del ‘65” (FAZZALARI, Il giudizio civile di cassazione, Milano, 1960, 36, nota 107) – che, nel descrivere le attribuzioni della Corte Suprema di cassazione, precisa che questa, «quale organo supremo della giustizia, assicura l'‘esatta osservanza' e l'‘uniforme interpretazione della legge', l'unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regola i conflitti di competenza e di attribuzioni, ed adempie gli altri compiti ad essa conferiti dalla legge».

Nella prima parte della disposizione è descritta la funzione di nomofilachia come ripartita in due distinte attività «diverse, complementari, ed ambedue necessarie: una negativa (l'esatta osservanza), volta a togliere efficacia al singolo atto contrario alla legge; ed una positiva (‘l'uniforme interpretazione'), volta a dettare un criterio cui possano ispirarsi le future decisioni”, consistendo l'“unità del diritto oggettivo” sia nella “esatta osservanza della legge» che nella «sua uniforme interpretazione» (Luiso, Il vincolo delle Sezioni semplici al precedente delle Sezioni unite, in Giur. It., 2003, 821, nt. 8).

Se, peraltro, “la funzione positiva è assolta anche da una o poche pronunce della Suprema Corte, la funzione negativa deve necessariamente poter riguardare tutte le sentenze ricorribili” e, “se non è possibile ridurre drasticamente il numero dei ricorsi da decidere, è tuttavia possibile semplificare l'attività della Corte, facendo leva sul diverso contenuto dell'attività necessaria per la decisione”, evidente essendo che “altro è il tipo di attività, e l'impegno che questa attività comporta, laddove si tratti di effettuare (e di motivare!) scelte complesse e delicate; altro è il tipo di attività, e l'impegno che questa attività comporta, laddove si tratti di applicare scelte in precedenza fatte” (Luiso, op. loc. ult. cit.,).

Con l'introduzione del “vincolo” delle sezioni semplici al principio affermato dalle Sezioni unite i magistrati componenti le prime si trovano “di fronte all'alternativa di conformarsi al precedente oppure di motivare le ragioni del dissenso”. Nondimeno, nel primo caso non avranno necessità di ripetere nel merito tutte le ragioni contenute nel precedente delle Sezioni unite e “potranno emettere pronunce estremamente sintetiche (sul tipo delle ordinanze di manifesta infondatezza della Corte costituzionale), nelle quali, dato atto che non vi sono ragioni per discostarsi dal precedente, potranno rigettare o accogliere il ricorso semplicemente richiamando quel precedente”, con possibilità di decisione di un numero superiore di ricorsi a parità di lavoro, perché è certamente “uno spreco dedicare all'applicazione del precedente lo stesso impegno che si rende necessario per crearlo” e l'assenza di nuovi argomenti rende non necessaria una nuova motivazione (Proto Pisani, Su alcuni problemi organizzativi della Corte di Cassazione: contrasti di giurisprudenza e tecniche di redazione della motivazione, in Foro it., 1988, V, 31).

Tabella di raffronto

MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA CIVILE

TESTO VIGENTE

NUOVO TESTO

Art. 375

Pronuncia in camera di consiglio

I. La Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio quando riconosce di dovere:

1) dichiarare l'inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto, anche per mancanza dei motivi previsti dall'art. 360;

2)ordinare l'integrazione del contraddittorio o disporre che sia eseguita la notificazione dell'impugnazione a norma dell'art. 332 ovvero che sia rinnovata;

3) provvedere in ordine all'estinzione del processo in ogni caso diverso dalla rinuncia;

4) pronunciare sulle istanze di regolamento di competenza e di giurisdizione;

5) accogliere o rigettare il ricorso principale e l'eventuale ricorso incidentale per manifesta fondatezza o infondatezza.

Art. 375

Pronuncia in camera di consiglio

I. La Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio quando riconosce di dovere:

1) dichiarare l'inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto, anche per mancanza dei motivi previsti dall'art. 360;

2) abrogato

3) abrogato

4) pronunciare sulle istanze di regolamento di competenza e di giurisdizione;

5) accogliere o rigettare il ricorso principale e l'eventuale ricorso incidentale per manifesta fondatezza o infondatezza.

II. La Corte, a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio in ogni altro caso, salvo che la trattazione in pubblica udienza sia resa opportuna dalla particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale deve pronunciare, ovvero che il ricorso sia stato rimesso dall'apposita sezione di cui all'art. 376 in esito alla camera di consiglio che non ha definito il giudizio.

Art. 376

Assegnazione dei ricorsi alle sezioni

I. Il primo presidente, tranne quando ricorrono le condizioni previste dall'art. 374, assegna i ricorsi ad apposita sezione, che verifica se sussistono i presupposti per la pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell'art. 375, comma 1, numeri 1) e 5). Se la sezione non definisce il giudizio, gli atti sono rimessi al primo presidente, che procede all'assegnazione alle sezioni semplici.

II. La parte, che ritiene di competenza delle sezioni unite un ricorso assegnato a una sezione semplice, può proporre al primo presidente istanza di rimessione alle sezioni unite, fino a dieci giorni prima dell'udienza di discussione del ricorso.

III. All'udienza della sezione semplice, la rimessione può essere disposta soltanto su richiesta del pubblico ministero o d'ufficio, con ordinanza inserita nel processo verbale.

Art. 376

Assegnazione dei ricorsi alle sezioni

I. Il primo presidente, tranne quando ricorrono le condizioni previste dall'art. 374, assegna i ricorsi ad apposita sezione, che verifica se sussistono i presupposti per la pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell'art. 375, comma 1, numeri 1) e 5). Se, a un sommario esame del ricorso, la suddetta sezione non ravvisa tali presupposti, il presidente, omessa ogni formalità, rimette gli atti alla sezione semplice.

II. La parte, che ritiene di competenza delle sezioni unite un ricorso assegnato a una sezione semplice, può proporre al primo presidente istanza di rimessione alle sezioni unite, fino a dieci giorni prima dell'udienza di discussione del ricorso.

III. All'udienza della sezione semplice, la rimessione può essere disposta soltanto su richiesta del pubblico ministero o d'ufficio, con ordinanza inserita nel processo verbale.

Art. 377

Fissazione dell'udienza o dell'adunanza in camera di consiglio

I. Il primo presidente, su presentazione del ricorso a cura del cancelliere, fissa l'udienza o l'adunanza della camera di consiglio e nomina il relatore per i ricorsi assegnati alle sezioni unite. Per i ricorsi assegnati alle sezioni semplici provvede allo stesso modo il presidente della sezione.

II. Dell'udienza è data comunicazione dal cancelliere agli avvocati delle parti almeno venti giorni prima.

Art. 377

Fissazione dell'udienza o dell'adunanza in camera di consiglio e decreto preliminare del presidente

I. Il primo presidente, su presentazione del ricorso a cura del cancelliere, fissa l'udienza o l'adunanza della camera di consiglio e nomina il relatore per i ricorsi assegnati alle sezioni unite. Per i ricorsi assegnati alle sezioni semplici provvede allo stesso modo il presidente della sezione.

II. Dell'udienza è data comunicazione dal cancelliere agli avvocati delle parti almeno venti giorni prima.

III. Il primo presidente, il presidente della sezione semplice o il presidente della sezione di cui all'art. 376, comma 1, quando occorre, ordina con decreto l'integrazione del contraddittorio o dispone che sia eseguita la notificazione dell'impugnazione a norma dell'art. 332, ovvero che essa sia rinnovata.

Art. 379

Discussione

I. All'udienza il relatore riferisce i fatti rilevanti per la decisione del ricorso, il contenuto del provvedimento impugnato e, in riassunto, se non vi è discussione delle parti, i motivi del ricorso e del controricorso.

II. Dopo la relazione il presidente invita gli avvocati delle parti a svolgere le loro difese.

III. Quindi il pubblico ministero espone oralmente le sue conclusioni motivate.

IV. Non sono ammesse repliche, ma gli avvocati delle parti possono nella stessa udienza presentare alla Corte brevi osservazioni per iscritto sulle conclusioni del pubblico ministero.

Art. 379

Discussione

I. All'udienza il relatore riferisce i fatti rilevanti per la decisione del ricorso, il contenuto del provvedimento impugnato e, in riassunto, se non vi è discussione delle parti, i motivi del ricorso e del controricorso.

II.Dopo la relazione il presidente invita il pubblico ministero a esporre oralmente le sue conclusioni motivate e, quindi, i difensori delle parti a svolgere le loro difese.

III. Non sono ammesse repliche.

Art. 380-bis

Procedimento per la decisione sull'inammissibilità del ricorso e per la decisione in camera di consiglio

I. Il relatore della sezione di cui all'art. 376, comma 1, primo periodo, se appare possibile definire il giudizio ai sensi dell'art. 375, comma 1, numeri 1) e 5), deposita in cancelleria una relazione con la concisa esposizione delle ragioni che possono giustificare la relativa pronuncia.

II. Il presidente fissa con decreto l'adunanza della Corte. Almeno venti giorni prima della data stabilita per l'adunanza il decreto e la relazione sono notificati agli avvocati delle parti i quali hanno facoltà di presentare memorie non oltre cinque giorni prima, e di chiedere di essere sentiti, se compaiono.

III. Se il ricorso è dichiarato ammissibile, il relatore nominato ai sensi dell'art. 377, comma 1, ultimo periodo, quando appaiono ricorrere le ipotesi previste dall'art. 375, comma 1, numeri 2) e 3), deposita in cancelleria una relazione con la concisa esposizione dei motivi in base ai quali ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio e si applica il comma 2.

IV. Se ritiene che non ricorrono le ipotesi previste dall'art. 375, comma 1, numeri 2) e 3), la Corte rinvia la causa alla pubblica udienza.

Art. 380-bis

Procedimento per la decisione in camera di consiglio sull'inammissibilità o sulla manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso

I.Nei casi previsti dall'art. 375, comma 1, numeri 1) e 5), su proposta del relatore della sezione indicata nell'art. 376, comma 1, il presidente fissa con decreto l'adunanza della Corte indicando se è stata ravvisata un'ipotesi di inammissibilità, di manifesta infondatezza o di manifesta fondatezza del ricorso.

II. Almeno venti giorni prima della data stabilita per l'adunanza, il decreto è notificato agli avvocati delle parti, i quali hanno facoltà di presentare memorie non oltre cinque giorni prima.

III. Se ritiene che non ricorrano le ipotesi previste dall'art. 375, comma 1, numeri 1) e 5), la Corte in camera di consiglio rimette la causa alla pubblica udienza della sezione semplice.

Art. 380-bis.1

Procedimento per la decisione in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice

I.Della fissazione del ricorso in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice ai sensi dell'art. 375, comma 2, è data comunicazione agli avvocati delle parti e al pubblico ministero almeno quaranta giorni prima. Il pubblico ministero può depositare in cancelleria le sue conclusioni scritte non oltre venti giorni prima dell'adunanza in camera di consiglio. Le parti possono depositare le loro memorie non oltre dieci giorni prima dell'adunanza in camera di consiglio. In camera di consiglio la Corte giudica senza l'intervento del pubblico ministero e delle parti.

Art. 380-ter

Procedimento per la decisione sulle istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza

I. Nei casi previsti dall'art. 375, comma 1, numero 4), il presidente, se non provvede ai sensi dell'art. 380-bis, comma 1, richiede al pubblico ministero le sue conclusioni scritte.

II. Le conclusioni ed il decreto del presidente che fissa l'adunanza sono notificati, almeno venti giorni prima, agli avvocati delle parti, che hanno facoltà di presentare memorie non oltre cinque giorni prima e di chiedere di essere sentiti, se compaiono, limitatamente al regolamento di giurisdizione.

III. Non si applica la disposizione delcomma 5 dell'art. 380-bis.

Art. 380-ter

Procedimento per la decisione sulle istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza

I. Nei casi previsti dall'art. 375, comma 1, numero 4), il presidente richiede al pubblico ministero le sue conclusioni scritte.

II. Le conclusioni e il decreto del presidente che fissa l'adunanza sono notificati, almeno venti giorni prima, agli avvocati delle parti, che hanno facoltà di presentare memorie non oltre cinque giorni prima della medesima adunanza.

III. In camera di consiglio la Corte giudica senza l'intervento del pubblico ministero e delle parti.

Art. 390

Rinuncia

I. La parte può rinunciare al ricorso principale o incidentale finché non sia cominciata la relazione all'udienza, o siano notificate le conclusioni scritte del pubblico ministero nei casi di cui all'art. 380-ter.

II. La rinuncia deve farsi con atto sottoscritto dalla parte e dal suo avvocato o anche da questo solo se è munito di mandato speciale a tale effetto.

III. L'atto di rinuncia è notificato alle parti costituite o comunicato agli avvocati delle stesse, che vi appongono il visto.

Art. 390

Rinuncia

I. La parte può rinunciare al ricorso principale o incidentale finché non sia cominciata la relazione all'udienza, o sino alla data dell'adunanza camerale, o finché non siano notificate le conclusioni scritte del pubblico ministero nei casi di cui all'art. 380-ter.

II. La rinuncia deve farsi con atto sottoscritto dalla parte e dal suo avvocato o anche da questo solo se è munito di mandato speciale a tale effetto.

III. L'atto di rinuncia è notificato alle parti costituite o comunicato agli avvocati delle stesse, che vi appongono il visto.

Art. 391

Pronuncia sulla rinuncia

I. Sulla rinuncia e nei casi di estinzione del processo disposta per legge, la Corte provvede con sentenza quando deve decidere altri ricorsi contro lo stesso provvedimento, altrimenti provvede il presidente con decreto.

II. Il decreto o la sentenza che dichiara l'estinzione può condannare la parte che vi ha dato causa alle spese.

III. Il decreto ha efficacia di titolo esecutivo se nessuna delle parti chiede la fissazione dell'udienza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione.

IV. La condanna non è pronunciata, se alla rinuncia hanno aderito le altre parti personalmente o i loro avvocati autorizzati con mandato speciale.

Art. 391

Pronuncia sulla rinuncia

I. Sulla rinuncia e nei casi di estinzione del processo disposta per legge la Corte provvede con ordinanza in camera di consiglio, salvo che debba decidere altri ricorsi contro lo stesso provvedimento fissati per la pubblica udienza. Provvede il presidente, con decreto, se non è stata ancora fissata la data della decisione.

II. Il decreto, l'ordinanza o la sentenza che dichiara l'estinzione può condannare la parte che vi ha dato causa alle spese.

III. Il decreto ha efficacia di titolo esecutivo se nessuna delle parti chiede la fissazione dell'udienza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione.

IV. La condanna non è pronunciata, se alla rinuncia hanno aderito le altre parti personalmente o i loro avvocati autorizzati con mandato speciale.

Art. 391-bis

Correzione degli errori materiali e revocazione delle sentenze della Corte di cassazione

I. Se la sentenza o l'ordinanza pronunciata ai sensi dell'art. 375, comma 1, numeri 4) e 5) pronunciata dalla Corte di cassazione è affetta da errore materiale o di calcolo ai sensi dell'art. 287 ovvero da errore di fatto ai sensi dell'art. 395, numero 4, la parte interessata può chiederne la correzione o la revocazione con ricorso ai sensi degli artt. 365 e ss. da notificare entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza, ovvero di un anno dalla pubblicazione della sentenza stessa.

II. La Corte decide sul ricorso in camera di consiglio nell'osservanza delle disposizioni di cui all'art. 380-bis.

III. Sul ricorso per correzione dell'errore materiale pronuncia con ordinanza.

IV. Sul ricorso per revocazione pronuncia con ordinanza se lo dichiara inammissibile, altrimenti rinvia alla pubblica udienza.

V. La pendenza del termine per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con ricorso per cassazione respinto.

VI. In caso di impugnazione per revocazione della sentenza della Corte di cassazione non è ammessa la sospensione dell'esecuzione della sentenza passata in giudicato, né è sospeso il giudizio di rinvio o il termine per riassumerlo.

Art. 391-bis

Correzione degli errori materiali e revocazione delle sentenze della Corte di cassazione

I. Se la sentenza o l'ordinanza pronunciata dalla Corte di cassazione è affetta da errore materiale o di calcolo ai sensi dell'art. 287, ovvero da errore di fatto ai sensi dell'art. 395, numero 4), la parte interessata può chiederne la correzione o la revocazione con ricorso ai sensi degli artt. 365 e ss. La correzione può essere chiesta, e può essere rilevata d'ufficio dalla Corte, in qualsiasi tempo. La revocazione può essere chiesta entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla notificazione ovvero di sei mesi dalla pubblicazione del provvedimento.

II. Sulla correzione la Corte pronuncia nell'osservanza delle disposizioni di cui all'art. 380-bis, commi 1 e 2.

III. Sul ricorso per correzione dell'errore materiale pronuncia con ordinanza.

IV. Sul ricorso per revocazione, anche per le ipotesi regolate dall'art. 391-ter, la Corte pronuncia nell'osservanza delle disposizioni di cui all'art. 380-bis, commi 1 e 2, se ritiene l'inammissibilità, altrimenti rinvia alla pubblica udienza della sezione semplice.

V. La pendenza del termine per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con ricorso per cassazione respinto.

VI. In caso di impugnazione per revocazione della sentenza della Corte di cassazione non è ammessa la sospensione dell'esecuzione della sentenza passata in giudicato, né è sospeso il giudizio di rinvio o il termine per riassumerlo.

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