Intimazione e accompagnamento dei testi
16 Maggio 2016
Inquadramento
La fase istruttoria, successivamente alla pronuncia giudiziale ammissiva della prova per testimoni, si compone di un complesso reticolato di oneri in capo alle parti processuali e di obblighi in capo al soggetto chiamato a ricoprire l'ufficio di testimone, corredati da sanzioni di varia natura. La parte processuale che ha richiesto l'audizione di testi avrà, innanzitutto, l'onere di intimare i testi ammessi per l'udienza fissata dal giudice per l'assunzione della prova. Le modalità di intimazione del teste sono disciplinate dagli artt. 103 disp. att. c.p.c. e art. 250 c.p.c.. Il teste, in particolare, dovrà essere chiamato a comparire almeno 7 giorni prima dell'udienza fissata mediante notificazione di un atto contenente le indicazioni minime necessarie all'identificazione degli estremi della controversia nella quale è chiamato a rendere il proprio ufficio e l'avvertimento delle conseguenze della mancata comparizione senza giustificato motivo. Oltre alle tradizionali modalità di invio dell'intimazione a mezzo di ufficiale giudiziario, sono state di recente introdotte modalità di intimazione semplificata che prevedono l'invio, da parte del difensore, di copia dell'atto mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, a mezzo posta elettronica certificata o telefax. L'avvenuta intimazione del teste non pone la parte al riparo dal rischio della decadenza dall'assunzione, essendo la stessa tenuta alla comparizione all'udienza fissata per l'assunzione della prova e, in assenza del teste, alla esibizione o produzione dell'atto di intimazione. Ciò in relazione al disposto di cui agli artt. 208 c.p.c. e art. 104 disp. att. c.p.c., che prevedono meccanismi di decadenza, rilevabili d'ufficio dal giudice, per i casi in cui la parte ad istanza della quale debba iniziarsi o proseguirsi la prova non si presenti all'udienza ovvero non abbia ritualmente intimato il teste. Tali meccanismi appaiono, nell'ottica della piena tutela del diritto di difesa, temperati dalla facoltà della parte non onerata dell'intimazione di chiedere l'assunzione di testi in assenza dell'intimante o dei testi non intimati.
Le posizioni giuridiche passive del soggetto chiamato a ricoprire l'ufficio di testimone sono, viceversa, riconducibili in termini di obblighi, corredati da sanzioni di vario tipo. Quanto al profilo della comparizione in giudizio, il teste che, senza giustificato motivo, non compaia, sarà tenuto al pagamento di una pena pecuniaria e, già dalla prima udienza, secondo l'art. 255 c.p.c., come modificato dalla l. 69/2009, potrà essere accompagnato coattivamente a mezzo della forza pubblica.
In evidenza
I tempi e le modalità di intimazione dei testimoni in sede civile sono dettati dal combinato disposto degli artt. 103 disp. att. c.p.c. e art. 250 c.p.c., oggetto di recenti modifiche finalizzate alla semplificazione delle modalità di comunicazione dell'intimazione, con adeguamento alle nuove e più snelle forme di comunicazioni telematiche ed elettroniche. Onerato dell'intimazione del teste è, normalmente, la parte che nei propri scritti difensivi ne ha richiesto l'audizione, a seguito di provvedimento ammissivo del giudice che, ai sensi dell'art. 245 c.p.c., abbia espressamente indicato il nominativo del teste da escutere, sulla base dell'elenco contenuto negli atti difensivi, ovvero abbia indicato soltanto il numero massimo di testi da escutere, lasciando alla parte libertà di scelta, nell'alveo dei nominativi indicati. Laddove il teste da escutere sia comune alle parti, graverà su ambedue le parti l'onere di intimazione del teste posto che, in caso di mancata intimazione confidando nell'altrui intimazione, ambedue le parti intimanti rischiano di incorrere nelle sanzioni decadenziali. L'onere di intimazione è, come anticipato, funzionalmente connesso alla decadenza dall'intimazione, disciplinata dall'art. 104 disp. att. c.p.c., rilevabile d'ufficio da parte del giudice ed evitabile dall'opzione della controparte processuale di intimare il teste, manifestando interesse all'audizione dello stesso. Sulla base di questa disposizione parte della giurisprudenza di merito ha individuato un onere di contestuale intimazione del teste in capo alla parte che ha dedotto la prova ed alla controparte che ne abbia interesse la quale, qualora intenda far escutere il teste in ogni caso e comunque, indipendentemente dalla condotta del deducente, deve provvedere all'intimazione del teste ai sensi dell'art. 104 disp. att. c.p.c., a pena di decadenza (Trib. Parma, 7 gennaio 2002, in Giur. it., 2002, 2305, con nota di Miozzo). Tale orientamento non appare condivisibile posto che, se è vero che la manifestazione di interesse ad escutere il teste non intimato e la conseguente determinazione giudiziale di provvedere all'escussione del teste comporta l'insorgere di un onere di intimazione in capo al soggetto non originariamente deducente, tale onere non può dirsi contestuale alla prima intimazione, a pena di decadenza, non ravvisandosi nel disposto di cui all'art. 104 disp. att. c.p.c. alcuna indicazione in tal senso. Nel caso in cui il teste da assumere non sia originariamente ricompreso nelle liste testi di parte ma sia un teste da escutersi a seguito di determinazione d'ufficio da parte del giudice – ad esempio, quale teste di riferimento ai sensi dell'art. 257, comma 1, c.p.c., ovvero teste intimato ai sensi dell'art. 421 c.p.c. – sarà il giudice ad indicare il soggetto onerato dell'intimazione ovvero, in assenza di intimazione, l'onere graverà sulla parte processuale più diligente. L'atto di intimazione, corredato dai dati necessari all'identificazione della causa e del giorno dell'escussione, nonché dall'avvertimento che, in caso di mancata comparizione senza giustificato motivo, la parte potrà essere condannata al pagamento di una pena pecuniaria ricompresa tra euro 100 ed euro 1.000,00, andrà comunicato, su richiesta delle parti interessate, dall'ufficiale giudiziario a mani proprie o a mezzo posta in busta chiusa e sigillata all'interessato, secondo quanto previsto dall'art. 255, comma 1, c.p.c.. Ai fini del corretto assolvimento dell'obbligo imposto alla parte deducente non è da considerarsi sufficiente l'inoltro all'ufficiale giudiziario della richiesta di citazione dei testi, occorrendo viceversa che tale atto sia completo dei dati necessari a che l'intimazione raggiunga il teste. La mancata utile intimazione dipendente dall'incompletezza degli indirizzi forniti all'ufficiale giudiziario, ovvero la non corrispondenza a quelli reali sarà, pertanto, ascrivibile alla parte intimante, con conseguente pronuncia di decadenza da parte del giudice (App. Bari, sez. III, 1 marzo 2012, n. 226, in www.giurisprudenzabarese.it). A seguito della modifica introdotta dal d.l. 35/2005, conv. in l. 80/2005, successivamente modificato dalla l. 182/2011, l'intimazione al testimone ammesso su richiesta delle parti private a comparire in udienza può essere effettuata dal difensore stesso, senza la mediazione dell'ufficiale giudiziario, attraverso l'invio di copia dell'atto, mediante lettera raccomandata, con avviso di ricevimento, a mezzo posta elettronica certificata o a mezzo telefax. In caso di spedizione dell'atto da notificare con lettera raccomandata, il difensore deposita nella cancelleria del giudice copia dell'atto inviato, attestandone la conformità all'originale, assieme all'avviso di ricevimento, non appena ne abbia la disponibilità. In assenza di indicazioni normative, specificamente destinate alla regolamentazione della notificazione a mezzo PEC, è preferibile ritenere che a mezzo della stessa possa provvedersi alla sola notificazione di atti a testimoni muniti di casella di posta elettronica certificata, risultante da pubblici registri (ad. es. REGINDE, INI-PEC etc.) e che l'atto di intimazione, generato in formato digitale e non quale copia digitalizzata di atto cartaceo, non debba essere corredato da alcuna attestazione di conformità, risultando sufficiente la produzione giudiziale della certificazione dei pubblici elenchi dai quali estrarre l'indirizzo PEC del destinatario e la relata di notifica. Oltre che completa nei suoi elementi identificativi minimi, l'intimazione dovrà essere tempestiva, pervenendo ai testimoni almeno sette giorni prima dell'udienza cui gli stessi sono chiamati a comparire. Trattandosi di termine previsto per consentire al teste un adeguato lasso temporale funzionale all'organizzazione dei propri impegni, in vista dell'espletamento di un ufficio obbligatorio, non può applicarsi il principio della scissione del momento perfezionativo della notificazione, elaborato dalla Corte costituzionale in materia di notificazione degli atti giudiziari, dovendosi ritenere che le formalità di notificazione risultino tutte compiutamente espletate nel termine di cui all'art. 104 disp. att. c.p.c., non potendosi, in caso contrario, compiuta la fattispecie dell'intimazione testimoniale quanto, semmai, un suo tentativo (Trib. Modena, sez. II, 26 novembre 2010, n. 1842). La decadenza dalla prova testimoniale
L'istituto della decadenza dalla prova testimoniale è disciplinato dagli artt. 104 disp. att. c.p.c. (mancata intimazione del teste ad opera del richiedente), così come riformulato dalla l. 69/2009, e art. 208 c.p.c. (mancata comparizione della parte che ha chiesto la prova). Attraverso la riformulazione dell'art. 104 disp. att. c.p.c., con particolare riferimento al comma 1, il legislatore ha preso posizione in merito alla vexata quaestio del meccanismo di rilevabilità della decadenza dalla prova testimoniale in caso di omessa o irrituale intimazione, optando per un regime di rilevabilità ex officio, temperato dalla facoltà di audizione del teste non intimato su richiesta della controparte, in omaggio a evidenti esigenze di economia processuale ed a quella di uniformazione del regime della decadenza previsto dalla disposizione complementare di cui all'art. 208 c.p.c.. Quest'ultima disposizione normativa disciplina l'ipotesi in cui la parte su istanza della quale deve iniziarsi o proseguirsi la prova non compaia all'udienza preposta all'assunzione della prova, evenienza in cui il giudice istruttore «la dichiara decaduta dal diritto di farla assumere, salvo che l'altra parte non ne chieda l'assunzione». La giurisprudenza pressoché unanime, pur in assenza di inequivoci riferimenti, ha sancito il principio secondo cui la sanzione della decadenza dalla prova, in caso di mancata presentazione della parte, può essere dichiarata d'ufficio dal giudice e non su eccezione della parte comparsa, restando irrilevante che tale eccezione venga effettivamente sollevata (Cass. civ., sez. III, 13 luglio 2011, n. 15368). È stato, inoltre, precisato che la pronuncia di decadenza dalla prova per effetto del suo mancato espletamento, possa essere legittimamente contenuta nel provvedimento di chiusura dell'istruzione ed invito rivolto alle parti alla precisazione delle conclusioni, assumendo così la forma della decadenza tacita o implicita (Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2005, n. 11394). Il secondo comma della norma prevede che la possibilità di revoca della pronuncia di decadenza quando si riconosca che la mancata comparizione della parte è stata cagionata da causa non imputabile. La causa non imputabile, il cui accertamento compete al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da congrua ed adeguata motivazione, deve consistere in un fatto esterno alla sfera di controllo della parte o del difensore, specificamente allegato e spiegato nella sua efficienza causale. Tale causa non può, ad ogni modo, risolversi in una mancanza di diligenza professionale, ovvero in un difetto di organizzazione della propria attività professionale da parte del difensore (Cass. civ., sez. I, 13 luglio 2006, n. 15908). La norma di cui all'art. 208 c.p.c. è stata ritenuta applicabile anche al rito del lavoro introdotto dalla L. 533/1973, essendo coerente con i principi di speditezza ed onere della partecipazione attiva delle parti al processo, ai quali tale rito è ispirato (Cass. civ., sez. lav., 23 novembre 2012, n. 20777). L'art. 104 disp. att. c.p.c. disciplina la diversa ipotesi della omessa intimazione del teste, annettendovi conseguenze decadenziali parimenti rilevabili d'ufficio da parte del giudice. Il significato dell'omissione dell'intimazione del teste va precisato con riferimento alla norma di cui all'art. 103 disp. att. c.p.c., con particolare riferimento ai suoi requisiti di completezza e tempestività, in precedenza analizzati. Se, difatti, è pacifico che rientri nell'alveo della omessa intimazione il difetto assoluto di notificazione, da parte del richiedente, della chiamata a comparire per l'udienza preposta all'assunzione indicata dal giudice istruttore, è dubbio se nel concetto di omessa intimazione, presupposto di fatto della decadenza dall'assunzione, rientri l'atto notificato posteriormente al termine di sette giorni, calcolato a ritroso dall'udienza per l'assunzione, o l'atto carente del contenuto precettivo previsto dall'art. 103, comma 3, disp. att. c.p.c.. A fronte di una tesi rigoristica abbracciata da talune corti di merito (v., ad esempio, Trib. Verona, 5 maggio 2003, in Giur. Merito, 2003, 2374), secondo cui la decadenza prevista dall'art. 104 disp. att. c.p.c., troverebbe applicazione non solo nell'ipotesi di omessa notificazione dell'atto di intimazione al teste, ma anche nell'ipotesi di notificazione dell'atto incompleto nel suo contenuto ovvero avvenuta con inosservanza del termine previsto dal comma 1 dell'art. 103 disp. att. c.p.c., si registra una ferma e condivisibile presa di posizione della Cassazione, nel senso che non incorrerebbe in alcuna decadenza la parte che intima un teste a comparire in un termine inferiore a quello previsto, cui va ragionevolmente estesa l'ipotesi di notificazione tempestiva di una intimazione che difetti del contenuto necessario, così come esplicitato dal comma 3 novellato dell'art. 103 disp. att. c.p.c. (Cass. civ., sez. II, 11 agosto 1997, n. 7477).
La fattispecie di decadenza per omessa intimazione mira a regolamentare le sole ipotesi di intimazione di testi da compiersi a cura della parte interessata (id est del richiedente), e non già nel caso di testi la cui audizione sia disposta d'ufficio, nel quale l'intimazione potrebbe essere demandata ad una delle parti, o alla parte più diligente. In questo caso, difatti, in caso di mancata intimazione, prevalendo l'interesse pubblico all'audizione del teste su quello dispositivo, non può che concludersi per l'assenza di profili decadenziali a carico delle parti.
La modifica apportata dall'art. 53, comma 4, l. 69/2009, introduttiva di un nuovo primo comma nell'art. 104 disp. att. c.p.c., agisce sotto un duplice profilo. In primo luogo, viene espressamente sancita la rilevabilità d'ufficio della decadenza, in caso di omissione di intimazione del teste a comparire dinanzi al giudice «senza giusto motivo». Sotto questo profilo, nello stabilire apertis verbis il meccanismo officioso di rilevabilità, il legislatore compie un passo avanti rispetto all'art. 208 c.p.c., così come riformulato dall'art. 26 l. 353/1990, riguardo al quale la natura officiosa del potere di rilevazione era stata desunta per via interpretativa, sulla base dell'eliminazione dell'inciso, presente nel comma 2, che condizionava la declaratoria all' «istanza della parte comparsa». Il meccanismo di rilevamento per le due ipotesi di decadenza dalla prova viene, dunque, pienamente parificato. La scelta appare condivisibile, posto che la medesima sanzione processuali in ambedue i casi consegue al comportamento inerte del soggetto che ha richiesto la prova, che nel caso di cui all'art. 208 c.p.c. si traduce nella mancata comparizione all'udienza fissata per l'assunzione, mentre in quello di cui all'art. 104 disp. att. c.p.c., si traduce nell'omessa intimazione del teste. L'equiparazione delle due fattispecie di decadenza è completata dalla previsione, inserita nel nuovo comma 1 dell'art. 104 disp. att. c.p.c., secondo cui la pronuncia di decadenza è impedita dalla circostanza che «l'altra parte dichiari di avere interesse all'audizione». La differenza con l'analoga previsione dell'art. 208 c.p.c., al di là di quelle di natura esclusivamente linguistica, attiene all'ulteriore meccanismo di svolgimento della prova nel caso in cui la parte non richiedente dichiari di avere interesse all'audizione. Mentre nel caso dell'art. 208 c.p.c., il teste è stato citato ed è comparso all'udienza, nella quale si registra tuttavia l'assenza della parte richiedente, ed a seguito della dichiarazione di volontà della parte comparsa può farsi luogo all'assunzione del teste, nel caso di cui all'art. 104 disp. att. c.p.c. l'attività processuale successiva alla dichiarazione di volontà di assunzione è più articolata. Non avendo, difatti, il richiedente provveduto ad intimare il teste, sarà necessaria la fissazione di un'ulteriore udienza, ed una nuova intimazione. Appare, di ragione, in questi casi onerare della nuova intimazione del teste, che pure è stato inizialmente indicato da controparte e dovrà essere interrogato sull'altrui capitolato, la parte che ha manifestato interesse all'assunzione. La novella riguardante l'art. 104 disp. att. c.p.c. si pone, dunque, non soltanto in linea con le finalità acceleratorie e deflattive della riforma, ma altresì sulla scia del principio di ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 Cost., che produce la traslazione di precetti processuali, sino a qualche tempo fa rientranti nel dominio esclusivo delle parti, nell'alveo dell'ordine pubblico processuale. Resta inteso che la decadenza dalla prova per mancata intimazione del teste, qualsiasi sia la tesi seguita in ordine al meccanismo di rilevabilità, non vada pronunziata quando il teste non intimato sia spontaneamente comparso all'udienza per rendere la deposizione, prevalendo in questo caso l'interesse all'acquisizione della prova su quello del rispetto delle regole che presiedono allo svolgimento dell'istruttoria. La posizione giuridica del testimone in sede civile è indiscutibilmente caratterizzata dall'obbligatorietà del relativo ufficio, fatte salve le norme che configurano fattispecie in cui il testimone può astenersi dal rendere deposizione testimoniale (la cd. facoltà di astensione, prevista dall'art. 249 c.p.c.), e quelle in cui al testimone era addirittura fatto divieto di deporre (il cd. divieto di testimoniare, previsto dal non più vigente art. 247 c.p.c.), sia con riferimento al dovere di comparizione davanti al giudice che a quello di rendere una deposizione completa e veridica. La condotta del teste renitente, ovvero che non compaia dinanzi al giudice a rendere la deposizione, è, per espressa disposizione codicistica, coercibile attraverso la traduzione coattiva del testimone, con l'ausilio delle forze dell'ordine. La mancata comparizione del teste, per poter dar luogo all'ordine di accompagnamento coattivo, deve, tuttavia, essere caratterizzata da assenza di giustificato motivo. Il legittimo impedimento che consente al teste di eludere provvisoriamente l'obbligatorietà della comparizione si articola nell'intervento di un fattore, esterno alla sfera di controllo del soggetto, ed indipendente dal comportamento del medesimo, che gli impedisca di comparire all'udienza, pur facendo ricorso ad un ordinario sforzo diligente. In caso di impedimento determinato da patologia fisica, configurerà giustificato motivo di mancata comparizione della parte o del testimone quella patologia che, ad esempio, determini un serio ed oggettivo ostacolo alla comparizione (ad. es. per ricovero del soggetto, o per incapacità di deambulazione), mentre non lo è quella patologia che produca un semplice disagio a recarsi in aula, ovviabile attraverso un ordinario sforzo diligente. La necessità di una valutazione caso per caso della serietà dell'impedimento fa sì che la documentazione giustificativa dello stesso debba essere redatta rispettando i canoni minimi di completezza ed analiticità, con necessità di specifica indicazione della tipologia e natura dell'impedimento a comparire. Ne consegue ulteriormente che il certificato medico che contenga la semplice attestazione dell'impossibilità del teste a comparire, in relazione ad una patologia psicofisica non specificamente indicata, non possa essere ritenuto sufficiente allo scopo. Allo stesso modo, l'attestazione dell'impedimento a comparire da parte di un sanitario in relazione ad una determinata patologia, non impedisce al giudice di compiere una valutazione circa l'effettiva insuperabilità dell'impedimento attraverso un ordinario conato di diligenza, ed eventualmente disattendere la valutazione del medico circa la capacità impediente della stessa. In caso di adduzione di impedimenti ulteriori (es. motivi di ordine personale o familiare, motivi di ordine professionale o lavorativo), sarà devoluto all'organo giurisdizionale l'equo contemperamento tra le superiori esigenze dell'amministrazione della giustizia e quelle di ordine individuale del soggetto chiamato a presenziare personalmente al processo o rendere l'ufficio di testimone, e da tale decisione scaturirà la decisione in ordine all'aggiornamento dell'udienza, alla comminazione della sanzione pecuniaria, ed all'ordine di accompagnamento coattivo. Analoga comparazione di contrapposti interessi deve essere effettuata quando il testimone adduca di essere stabilmente o temporaneamente dimorante in luogo distante dalla sede dell'ufficio giudiziario dinanzi al quale è stato invitato a comparire, ed eventualmente chieda di essere sentito tramite audizione delegata o rogatoria internazionale. In tal caso la valutazione della legittimità dell'impedimento addotto sarà devoluto al prudente apprezzamento del giudice, che potrà tenere conto delle indicazioni di principio offerte dalla norma di cui all'art. 203 c.p.c., che prescrive, quale criterio orientativo ma non vincolante, quello della residenza del teste all'interno della circoscrizione giudiziaria della quale faccia parte il tribunale dinanzi al quale egli sia chiamato a rendere la deposizione. Il contestuale impegno del soggetto in altro procedimento giudiziario, a vario titolo, è stato in giurisprudenza concepito quale situazione configurante legittimo impedimento a comparire nell'altro procedimento. Nel caso di ritenuta giustificatezza dell'impedimento, a seconda della tipologia e della natura transitoria o permanente dello stesso, il giudice deciderà se operare un semplice differimento dell'udienza, al fine di favorire la comparizione del teste non comparso, se recarsi personalmente a sentire il teste presso la sua abitazione o il suo ufficio, ovvero disporre l'audizione mediante prova delegata o rogatoria internazionale (cfr. art. 255, comma 2, c.p.c.). Il sistema contemplato dall'art. 255 c.p.c. prevede, dunque, la possibilità di disporre l'accompagnamento coattivo sin dalla prima udienza, in caso di assenza di giustificazione dell'impedimento, ovvero di ritenuta ingiustificatezza dell'impedimento, con totale discrezionalità del giudice nel disporre un differimento dell'udienza con nuova intimazione del teste, ovvero ordinare l'accompagnamento coattivo. In tale ultimo caso la legge conferisce un ulteriore potere di scelta, tra l'esecuzione immediata dell'accompagnamento coattivo, nella prassi particolarmente rara, ovvero l'esecuzione differita dell'ordine, con fissazione di una nuova udienza preposta all'audizione del teste accompagnato dalle forze dell'ordine. La pena pecuniaria prevista dalla norma partecipa della duplice ed alternativa natura di sanzione privata, connotata da funzione incentivante, e di multa. La stessa, discrezionalmente quantificata dal giudice tra un minimo di 100 ed un massimo di 1.000 euro può, difatti, essere comminata indipendentemente dall'ordine di accompagnamento coattivo. Nel caso in cui essa venga comminata senza disporre l'accompagnamento coattivo del teste ingiustificatamente assente, avrà prevalente funzione di incentivazione del teste a comparire, essendo in evidenza connotata, nella prospettiva del teste, da efficacia di deterrente di una nuova ingiustificata assenza, dalla quale potrebbe derivare la comminazione di una nuova sanzione e l'ordine di accompagnamento coattivo. Nel diverso caso in cui la stessa sia comminata congiuntamente all'ordine di accompagnamento coattivo, la capacità di incentivazione alla comparizione del testimone sarà in toto assorbita dalla portata coercitiva della traduzione forzosa del testimone, di tal che prevalente risulterà la funzione puramente afflittiva della condanna con parziale recupero, in capo allo Stato, attraverso il versamento che il testimone dovrà effettuare in favore della Cassa delle Ammende, di una parte dei costi sostenuti dall'amministrazione della giustizia per l'esecuzione dell'ordine. La sanzione pecuniaria è comminata con ordinanza che deve ritenersi, in conformità con i principi generali, revocabile dal giudice che l'ha emessa, sussistendone le condizioni. Così, ad esempio, nel caso in cui, dopo aver comminato una sanzione pecuniaria al teste non comparso senza inviare alcuna giustificazione, questi compaia e dimostri di essere stato nell'impossibilità non soltanto di comparire ma altresì di inviare una giustificazione, il giudice potrà revocare l'ordinanza di condanna alla pena pecuniaria. Le novità legislative della l. 69/2009 riguardano la fattispecie di ulteriore mancata comparizione non sorretta da giustificato motivo, che presuppone una precedente scelta nel senso di differire l'udienza di prova e disporre una nuova intimazione del teste a comparire. In questo caso, la sfera di discrezionalità del giudice sarà confinata alla valutazione della serietà dell'impedimento eventualmente addotto dal teste. In caso di assenza di giustificazione alcuna, o di inconsistenza della giustificazione addotta, il giudice sarà obbligato a disporre l'accompagnamento coattivo del teste ritualmente intimato, contestualmente condannandolo al pagamento di una sanzione pecuniaria, il cui limite minimo (200 euro, a fronte di 1.000 euro quale limite massimo) è più ampio di quella prevista nella prima parte della disposizione. La pena pecuniaria, in quanto seguita dall'accompagnamento coattivo, parteciperà, dunque, della sola funzione afflittiva tipica della multa, esulando qualsiasi funzione incentivante della comparizione, assorbita dalla portata coercitiva dell'ordine di accompagnamento tramite forza pubblica. L'eliminazione della sfera di discrezionalità nel disporre l'accompagnamento coattivo è significativamente ispirata a principi di accelerazione processuale, intendendosi evitare il rischio di una pluralità di differimenti, disposti in attesa della comparizione del teste renitente.
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