I limiti dell'overruling
01 Agosto 2017
Massima
La pronuncia delle Sezioni Unite che, componendo il contrasto sull'interpretazione di una norma processuale, opti per la conferma dell'orientamento prevalente, in applicazione del quale derivi, in danno di una parte, una decadenza o una preclusione che sarebbe invece esclusa alla stregua dell'orientamento minoritario, non configura un'ipotesi di “overruling” avente il carattere di imprevedibilità e, di conseguenza, non costituisce presupposto per la rimessione in termini della parte che sia incorsa nella preclusione o nella decadenza. Il caso
Con sentenza del Tribunale di Roma il Ministero dello sviluppo economico venne dichiarato tenuto, in via generica, a risarcire un folto gruppo di soggetti per il danno da costoro riportato a seguito del dissesto di due società fiduciarie soggette a controllo ministeriale. Nel giudizio di appello fu dichiarata l'interruzione conseguente al decesso di uno degli attori; il processo fu riassunto per iniziativa dell'appellante. L'istanza rivolta a far dichiarare l'estinzione del giudizio per la tardiva riassunzione fu disattesa, con sentenza non definitiva. E, con sentenza definitiva, la Corte di appello limitò la responsabilità del Ministero nei sensi che precisava nella motivazione. La sentenza non definitiva fu cassata con rinvio alla Corte territoriale per un nuovo giudizio; i ricorsi proposti avverso la sentenza definitiva furono dichiarati inammissibili, con compensazione delle spese. In sede di rinvio fu dichiarata l'estinzione del giudizio, conseguente alla affermata tardività della riassunzione del processo di appello. Venne, in proposito, richiamato il principio formulato dalle sezioni unite della Corte di cassazione (sent. 30 marzo 2008, 2443), per il quale la dichiarazione in udienza o, in sua mancanza, la notificazione, della morte della parte o della sua perdita di capacità produce in modo automatico l'effetto dell'interruzione del giudizio, con contestuale decorrenza del termine per la riassunzione: senza che abbia rilevanza il momento nel quale è adottato ed effettivamente conosciuto il provvedimento giudiziale dichiarativo dell'interruzione. Nella vicenda di specie il termine per la riassunzione era venuto a scadenza in base ad un computo avente decorrenza dal momento in cui era stata fatta dichiarazione in udienza dell'evento interruttivo. In particolare, fu affermato che non poteva avere rilevanza la mancata presenza di una delle parti (nella specie, il Ministero) all'udienza in cui era stata effettuata la formale dichiarazione dell'avvenuto decesso di una delle parti, non incidendo la disciplina dell'interruzione sulle garanzie difensive e dovendosi ritenere conosciute le ordinanze pronunciate in udienza per coloro che in essa avrebbero dovuto essere presenti. La sentenza di rinvio è stata impugnata con ricorso principale, con controricorsi e con ricorsi incidentali La questione
Le impugnazioni hanno posto all'esame della Corte di cassazione numerose questioni. Sinteticamente ricordiamo le più rilevanti, prima di riferire di quella che costituisce l'oggetto della presente nota. La Corte ha ricordato, a fronte di una eccezione in rito, che una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, come era stato asserito con il gravame, posto che tale vizio si configura soltanto in caso di mancato esame di domande o di eccezioni di merito (Cass. 12 gennaio 2016, n. 321; Cass. 6 dicembre 2004, n. 22860). Il collegio ha inoltre disatteso la censura riguardante l'identificazione del soggetto che aveva proposto a suo tempo l'eccezione di estinzione del giudizio. Il giudice di merito l'aveva riferita a tale Abbate Giuseppe più altri, non nominativamente indicati: e in proposito si sosteneva che per tal modo l'eccezione doveva intendersi formulata soltanto da costui. E' stata, ancora, dichiarata infondata la tesi secondo cui per l'interruzione del processo e il decorso del termine di riassunzione occorrono la conoscenza della causa che l'ha determinata e la conoscenza del provvedimento che ne fa dichiarazione; tesi smentita da Cass. Sezioni unite 30marzo 2008, n. 2443, e da Cass. 15 gennaio 2013, n. 773, le quali hanno ribadito che l'effetto automatico dell'interruzione non richiede, in particolare, la presenza dell'altra parte all'udienza. In tal senso era stato enunciato al giudice del rinvio il principio di diritto al quale attenersi, principio che era stato osservato. Con i motivi del ricorso principale che in questa sede presentano maggiore interesse si è denunciata la mancata pronuncia su una istanza di rimessione in termini (ai sensi dell'art. 184-bis c.p.c., in allora vigente), formulata con la comparsa di costituzione in appello. Si è sostenuto che la ricordata decisione delle Sez. Un. 2443/2008 (seguita da Cass. 773/2013) aveva dato luogo ad un c.d. overruling, in quanto, nell'affermare la regola dell'irrilevanza della presenza della (contro)parte all'udienza in cui è effettuata la dichiarazione del decesso o della perdita di capacità cagionanti l'interruzione, aveva sovvertito un orientamento assolutamente consolidato che invece richiedeva una tale presenza quale condizione per la decorrenza del termine di riassunzione del processo. In conseguenza si chiedeva alla Corte di dare atto dell'omessa pronuncia sulla richiesta di rimessione in termini o, in subordine, di dare atto che sussistevano i presupposti per la concessione della rimessione in termini. Nel dettaglio le ragioni del riccorrente. Più precisamente, il ricorrente ha affermato che esisteva, prima della decisione a Sezioni unite 2443/2008 (intervenuta nel corso del processo), un orientamento consolidato per il quale l'effetto interruttivo della morte o della perdita di capacità della parte costituita in giudizio si verifica non con la dichiarazione in udienza dell'evento, bensì quando gli interessati alla riassunzione vengono a formale e legale conoscenza del fatto: sia per essere stato, il loro procuratore, presente all'udienza o per avere essi avuto notizia dalla notificazione informativa ricevuta. Si è citata a sostegno dell'affermazione la pronuncia di Cass. 19 maggio 2014, n. 10968. Sull'assunto di un overruling determinato dalla citata decisione delle Sezioni unite, si è rilevato che la Corte di merito aveva omesso di pronunciarsi sull'istanza di rimessione in termini che era stata richiesta in relazione a tale inopinato mutamento interpretativo. E, per il caso in cui si fosse ritenuto che l'istanza di rimessione era stata implicitamente rigettata, si è denunciata la violazione e la falsa applicazione degli artt. 111 Costituzione, 184-bis e 153 c.p.c. in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. In proposito si è chiesto di dare atto che con la decisione 7443/2008 la Corte di cassazione, senza menzionare il problema della presenza in udienza del procuratore della parte interessata, aveva ribaltato, con i caratteri dell'overruling, l'orientamento assolutamente consolidato che condizionava alla presenza in udienza del procuratore della parte o, in mancanza, alla successiva notifica, la decorrenza dei termini di riassunzione: con l'affermazione secondo cui erano esistiti i presupposti per rimettere in termini, ai sensi delle norme citate, la parte che aveva chiesto la riassunzione del processo fidando in un computo del termine calcolato conformemente al detto precedente orientamento. Le soluzioni giuridiche
La Corte ha premesso alla sua motivazione alcune considerazioni. Si intende per overruling, essa ha affermato, un mutamento della propria interpretazione, ad opera del giudice della nomofilachia, che porti a ritenere esistente, in danno di una parte del giudizio, una decadenza o una preclusione prima escluse; e che opera come una interpretazione correttiva, con l'effetto di rendere irrituale un atto compiuto secondo l'orientamento precedente. Ove l'overruling si connoti del carattere dell'imprevedibilità (in quanto interviene in modo inopinato e repentino sul consolidato orientamento pregresso), si giustifica una scissione tra il comportamento posto in essere, risultante, ex post, non conforme alla corretta regola processuale e l'effetto, di decadenza o di preclusione, che dovrebbe derivarne: deve, cioè, escludersi l'operatività della decadenza o della preclusione derivante dal mutamento interpretativo nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente nella consolidata interpretazione della regola stessa. In proposito la Corte ha fatto riferimento esplicito alle motivazioni della sentenza delle Sez. Un. 11 luglio 2011, n. 15144. Così enunciata la premessa, in sentenza si è affermato che con riguardo alla questione proposta, e cioè alla sussistenza di una subordinazione della decorrenza del termine per la riassunzione del processo interrotto alla circostanza della presenza in udienza del procuratore della parte contro interessata, non si poneva affatto una questione di overruling, come addebitato alla sentenza delle Sez. Un. 30 marzo 2008, n. 7443. Questa pronuncia aveva, più semplicemente, scelto di preferire l'orientamento maggioritario espresso su tale questione rispetto a quello minoritario, senza determinare alcun repentino ribaltamento di orientamenti esegetici. La prevalente giurisprudenza si era espressa nel senso che, nell'ipotesi di eventi interruttivi a carico della parte costituita in giudizio a mezzo di procuratore, l'interruzione del processo si verifica dal momento in cui il procuratore della parte dichiara in udienza l'evento interruttivo che ha colpito il proprio assistito o, in mancanza di dichiarazione, lo notifica alle altre parti, con la conseguenza che da tali momenti inizia a decorrere il termine per la riassunzione. Soltanto un'opinione minoritaria si era manifestata nel senso della decorrenza del termine dal giorno dell'emissione dell'ordinanza dichiarativa dell'interruzione e della necessità, se di essa veniva data lettura in udienza, della presenza del procuratore della parte interessata alla riassunzione; o, in difetto di tale lettura o di tale presenza, dal giorno in cui detta parte riceve conoscenza in forma legale dell'evento interruttivo. La scelta delle Sezioni unite di seguire l'orientamento prevalente non aveva dunque dato luogo ad un overruling intervenuto in modo imprevedibile e repentino su un orientamento univoco ed affermato; ma si era risolta nella conferma e nel consolidamento di tale orientamento prevalente. La Corte ha specificamente contestato l'assunto del ricorrente posto a fondamento delle sue richieste. Le pronunce antecedenti all'asserito ribaltamento interpretativo non avevano espresso un orientamento univoco e consolidato. Cass. 17 gennaio 2002, n. 440, si era limitata ad equiparare alla notifica della dichiarazione o certificazione dell'evento interruttivo la lettura in udienza dell'ordinanza di interruzione determinata dal decesso del procuratore costituito, in presenza della parte interessata alla riassunzione; Cass. 25 maggio 2007, n. 12245, si era limitata a richiamare la pronuncia precedente; Cass. 18 giugno 1986, n. 4069, e Cass. 29 aprile 2003, n. 6654, avevano considerato irrilevante la presenza del procuratore all'udienza ai fini della decorrenza del termine di riassunzione; a sua volta, la sentenza 19 maggio 2014, n. 10968, richiamata nel ricorso, presentava la peculiarità di essere stata emessa in un caso in cui mancavano entrambe le parti, all'udienza; ed aveva rilevato che il giudice avrebbe dovuto rinviare l'udienza ai sensi del combinato disposto degli artt. 181 e 309 c.p.c. ovvero, avuta notizia della morte del procuratore di una delle parti, disporre che dell'ordinanza dichiarativa dell'interruzione in assenza delle parti fosse data comunicazione al procuratore della parte appellante. La Corte ha dunque rigettato il ricorso, con compensazione delle spese. Osservazioni
Il nostro ordinamento non riconosce alle decisioni del giudice il valore di un precedente idoneo a costituire una regola giuridica per i casi riconducibili a quello deciso. Nel tempo, però, l'esigenza di ancorare una diluviale legislazione a principi sufficientemente certi per la sua applicazione hanno posto la Corte di cassazione nella particolare posizione di organo alle cui pronunce si rivolgono teorici e pratici per desumerne un punto di riferimento. Alla Corte di cassazione, del resto, è affidato proprio il compito di assicurare con le sue pronunce l'uniforme interpretazione della legge; e la sua autorevole posizione contestualmente attribuitale, di organo unificante delle giurisdizioni civile, penale, amministrativa e tributaria, l'ha collocata in un ruolo di centrale ed ultima voce esplicativa del diritto positivo. L'evoluzione legislativa del nostro ordinamento processuale civile, in specie, ha contribuito a determinare questa situazione con norme che, via via, hanno accentuato la funzione di nomofilachia accentratrice del supremo consesso e l'autorevolezza delle sue decisioni. Può dunque comprendersi come il mutamento di giurisprudenza (il così detto revirement) rispetto ad un modo di intendere determinate norme, e le conseguenze da desumerne, possa costituire un evento di interesse per gli studiosi e per i pratici del processo. E che esso possa anche costituire un accadimento pernicioso per chi sull'orientamento ripudiato, e sino ad allora seguito, aveva confidato e costruito la tesi sostenuta in giudizio. Il mutamento di indirizzo interpretativo pone la parte di fronte ad una situazione imprevista e impensata, contraria alle ragionevoli attese create proprio dall'organo massimo della giurisprudenza: e non dovuta, comunque, a negligenza o imperizia difensiva della parte stessa. Quella del mutamento degli indirizzi interpretativi è una evenienza che non può essere evitata, salvo impedire il maturare delle riflessioni e il percorso evolutivo del diritto. Ma le questioni che ne sorgono assumono una speciale gravità quando il mutamento conduce a ritenere perfezionata, e ormai sussistente, una decadenza che secondo l'orientamento precedente non sarebbe maturata. L'effetto irreversibile del nuovo modo di pensare viene a pregiudicare la parte che perde una facoltà o un potere che pacificamente in precedenza le era riconosciuto. Si spiega dunque come, nel contesto di un processo che deve essere “giusto”, si sia giunti alla presa di posizione di Cass. Sez. Un. 15144/2011, per la quale, ove il mutamento di giurisprudenza si connoti del carattere dell'imprevedibilità, per aver inciso in modo inopinato e repentino su un consolidato orientamento pregresso, si impone un temperamento dell'effetto di preclusione e di decadenza, altrimenti ingiustamente punitivo. Deve dunque escludersi, si è affermato, l'operatività della preclusione o della decadenza derivante dall'overruling nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente (e cioè non oltre il momento di oggettiva conoscibilità dell'arresto nomofilattico correttivo, da verificarsi in concreto) nella consolidata precedente interpretazione della regola ripudiata, la quale aveva creato l'apparenza di una regola conforme al diritto. Le Sezioni unite avvertivano che il rimedio doveva essere reperito in strumenti da modulare in correlazione alle peculiarità delle situazioni processuali interessate dall'overruling. Il rimedio della rimessione in termini, per compiere l'atto precluso, che esse suggerivano, era già stato indicato da Cass. 17 giugno 2010, n. 14267, ed è stato utilizzato, ad esempio, da Cass. 17 dicembre 2014, n. 26541, a proposito del mutamento di indirizzo (dovuto a Cass. Sez. Un. n. 29290/2008) che aveva ritenuto (contro la pluridecennale giurisprudenza precedente) valida ed efficace la notifica a più parti, presso un unico procuratore, di una sola copia dell'atto di appello. Il principio emerso dalla pronuncia delle Sezioni unite 15144/2011 è stato più volte richiamato, con risultati difformi, in vari ambiti del diritto. Possono ricordarsi, per un sintetico esempio della grande varietà di situazioni nelle quali ad esso è stato fatto riferimento, i seguenti casi.
Fattispecie nelle quali l'overruling è stato riconosciuto e dichiarato:
Fattispecie nelle quali l'overruling è stato negato:
Come si è accennato, la questione dell'overruling, da tenersi distinta dal semplice revirement di orientamento interpretativo, è sorta per la ricerca di uno strumento che riconducesse ad equità il processo a fronte del verificarsi di inopinate decadenze e preclusioni a carico della parte fiduciosa in un indirizzo giurisprudenziale consolidato e improvvisamente sconfessato. Tuttavia, alla nozione dell'overruling è stato fatto riferimento in situazioni totalmente diverse da questa, che l'aveva giustificata, e che devono rimanere circoscritte all'ambito del semplice revirement. Già la più volte ricordata sentenza delle Sez. Un. n. 15144/2011 conteneva un monito avverso una indebita estensione dell'applicazione dei principi in tema di overruling. Essa, infatti, affermava, a proposito del ricorso per cassazione proposto facendo affidamento su una consolidata giurisprudenza di legittimità successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo, che la parte in quel caso era incorsa in un errore scusabile e aveva diritto di essere rimessa in termini: ma che un analogo diritto non sarebbe esistito ove la pretesa azionata fosse stata compiutamente conosciuta dal giudice competente secondo le norme vigenti al momento dell'introduzione della controversia, come all'epoca generalmente interpretate, atteso che in tale ipotesi il ricorrente, senza poter lamentare alcuna lesione al suo diritto di difesa, già pienamente esercitato, avrebbe mirato ad ottenere un nuovo pronunciamento sul merito della questione. Questo, a nostro parere, è il punto nevralgico della questione in tema di overruling. Se esso comporta un pregiudizio all'esercizio del diritto a difendersi, perché improvvisamente una parte si vede privata, retroattivamente, di una facoltà sulla quale aveva fatto affidamento, in tal senso sostenuta dalla giurisprudenza corrente, si giustifica il ritorno ad una fase pregressa con la concessione di un termine a compiere l'attività preclusa. Se per overruling si intende la sanatoria di motivazioni o di argomentazioni riferite ad indirizzi sconfessati, ma all'epoca considerati ortodossi, si è al di fuori della nozione configurata dalle Sezioni unite e si entra in quella dei salvataggi dal rischio, immanente nell'applicazione del diritto alla realtà multiforme delle vicende reali, che il giudice cambi il proprio modo di pensare (magari su suggerimento dei difensori delle parti) in merito all'interpretazione di una norma giuridica. Rischio, questo, che deve essere accettato e che fa parte della libertà di giudizio riconosciuta al giudice. |