Notifica del decreto di condanna ex Legge Pinto secondo la giurisprudenza costituzionalmente orientata della Cassazione
02 Agosto 2017
Il differente regime rispetto a quello del ricorso monitorio ordinario
Il comma 2 dell'art. 5, legge c.d. Pinto stabilisce che il decreto che si è pronunciato sulla domanda di equa riparazione diventa inefficace se non tempestivamente notificato alla parte convenuta nell'indicato termine di trenta giorni dal deposito dello stesso in cancelleria, precisando c.p.c., che l'inefficacia preclude la possibilità di riproporre la domanda in sede monitoria. Questa preclusione alla riproposizione della domanda di ingiunzione volta ad ottenere la condanna dello Stato al pagamento dell'equa riparazione per irragionevole durata del processo costituisce una caratteristica peculiare del procedimento monitorio ex lege Pinto che non trova corrispondenza in quello “ordinario” regolato dagli artt. 633 e ss. c.p.c.. Difatti, come per l'ipotesi di rigetto (anche solo parziale) della domanda di ingiunzione, anche nel caso di inefficacia del decreto, la medesima istanza volta alla concessione del provvedimento monitorio può essere riproposta, senza alcuna preclusione né del dedotto, né del deducibile. Occorre ricordare che, con riferimento nel rito monitorio generale all'inefficacia del decreto ingiuntivo per tardiva notifica ex art. 644 c.p.c., è stato più volte ribadito, nella giurisprudenza di legittimità, il principio per il quale la notificazione del decreto ingiuntivo oltre il termine di quaranta giorni dalla pronuncia comporta, ai sensi dell'art. 644 c.p.c., l'inefficacia del provvedimento, vale a dire rimuove l'intimazione di pagamento con esso espressa e osta al verificarsi delle conseguenze che l'ordinamento vi correla, ma non tocca, in difetto di previsione in tal senso, la qualificabilità del ricorso per ingiunzione come domanda giudiziale, sicché, ove su detta domanda si costituisca il rapporto processuale, ancorché su iniziativa della parte convenuta (in senso sostanziale), la quale eccepisca quell'inefficacia, il giudice adito, alla stregua delle comuni regole del processo di cognizione, ha il potere-dovere non soltanto di vagliare la consistenza dell'eccezione (con le implicazioni in ordine alle spese della fase monitoria), ma anche di decidere sulla fondatezza della pretesa avanzata dal creditore ricorrente (Cass. n. 951/2013). In sostanza, a venire meno, nell'ipotesi di tardiva notificazione, è soltanto il decreto pronunciato con persistenza del dovere dell'autorità giudiziaria, in sede di opposizione, di valutare la fondatezza della domanda proposta dal ricorrente sin dalla fase monitoria. Anche in ragione delle radicali conseguenze in ordine all'impossibilità di riproporre la domanda di equa riparazione per l'ipotesi di intervenuta inefficacia del decreto ingiuntivo, la Suprema Corte ha ritenuto che, del tutto analogamente, in materia di equa riparazione per irragionevole durata del processo,l'inefficacia del decreto ingiuntivo reso ex art. 3, comma 5, della l. n. 89/2001, perché notificato oltre il termine previsto dall'art. 5, comma 2, di quest'ultima, deve essere fatta valere con l'opposizione di cui al successivo art. 5-ter, la quale, instaurando il contraddittorio tra le parti, impone alla corte di appello non solo di esaminare l'eccezione d'inefficacia di quel decreto ma anche di valutare la fondatezza, o meno, della domanda introdotta con il ricorso monitorio (Cass., n. 20695/2016). Proprio in ragione di ciò, sempre in sede di legittimità, si è evidenziato che, sebbene nel procedimento di equa riparazione per irragionevole durata del processo di cui alla l. n. 89/2001, come modificata dal d.l. n. 83/2012, conv., con modif., dalla l. n. 134/2012, la tardiva notifica del decreto emanato ai sensi dell'art. 3, comma 4, comporta l'inefficacia dello stesso e l'improponibilità della domanda indennitaria ex art. 5, comma 2, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del predetto sistema delineato dalla disciplina novellata, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, in quanto il ricorrente ha la possibilità di scegliere tra la proposizione dell'opposizione nel termine di cui all'art. 5-ter, e la sostanziale acquiescenza all'accoglimento parziale, che impone, tuttavia, di notificare ricorso e decreto nel termine di cui all'art. 5, comma 2 (Cass., 1° febbraio 2017, n. 2650). Decorrenza del termine per la notifica del decreto
Le radicali conseguenze dell'inefficacia del decreto pronunciato sul ricorso di equa riparazione rispetto a quelle determinate dall'inefficacia del provvedimento monitorio ex art. 644 c.p.c. rendono ragione delle perplessità espresse sulla previsione, anche da parte dell'art. 5, secondo comma, legge Pinto, della decorrenza del termine di trenta giorni per la notifica dello stesso dal momento della pronuncia e non già da quello di comunicazione al ricorrente. In particolare, si è osservato che la disciplina in questione può suscitare, pur in presenza di una fattispecie generale di rimessione nei termini processuali come quella oggi contemplata dall'art. 153, secondo comma, c.p.c., dubbi di legittimità costituzionale alla luce, peraltro, dei consolidati principi affermati dalla Corte Costituzionale in tema di decorrenza del termine per la riassunzione del procedimento interrotto ex art. 305 c.p.c. (cfr. De Santis Di Nicola, Ragionevole durata del processo e rimedio effettivo. La riforma della legge Pinto, Napoli 2012, 294 ss., il quale richiama, tra le altre, Corte Cost. 21 gennaio 2010, n. 17, in Corr. Giur., 2010, 610, con nota di Murino, la quale ha ritenuto non è fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 305 c.p.c., censurato, in riferimento agli art. 3, 24 e 111, comma 2, Cost., nella parte in cui fa decorrere dalla data dell'interruzione del processo per intervenuta dichiarazione di apertura di fallimento ex art. 43, comma terzo, della l.fall., e non dalla data di effettiva conoscenza dell'evento interruttivo, il termine per la riassunzione del processo ad opera di parte diversa da quella dichiarata fallita (ovvero diversa dai soggetti che comunque hanno partecipato al procedimento per la dichiarazione di fallimento), essendo da tempo acquisito il principio per cui nei casi di interruzione automatica del processo il termine per la riassunzione decorre non già dal giorno in cui l'evento interruttivo è accaduto, bensì dal giorno in cui esso è venuto a conoscenza della parte interessata alla riassunzione medesima, la norma censurata non viola gli indicati parametri ove sia interpretata nel senso che, anche nell'ipotesi di interruzione automatica del processo per fallimento di parte costituita, fa decorrere il termine per la riassunzione, ad opera della parte interessata, dalla data di effettiva conoscenza dell'evento interruttivo). Anche sotto tale profilo, peraltro, i rischi paventati sono stati scongiurati da un'interpretazione costituzionalmente orientata della Suprema Corte la quale ha recentemente chiarito che, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, il termine di trenta giorni per la notifica del decreto di accoglimento della domanda decorre, sebbene l'art. 5, comma 2, della l. n. 89/2001, faccia riferimento al deposito, dalla data di comunicazione dello stesso alla parte istante, atteso che il comma 4 della medesima norma ne prevede la comunicazione “altresì” al Procuratore Generale della Corte dei conti ed ai titolari dell'azione disciplinare e tenuto conto del disposto dell'art. 5 nella formulazione originaria, nonché della circostanza che, a differenza di quanto avviene nell'ipotesi di inefficacia ex art. 644 c.p.c., nel caso di tardività della notifica la domanda non è riproponibile ex art. 5, comma 2, della stessa l. n. 89/2001 (Cass., sez. II, 21 marzo 2017, n. 7185).
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