Compromesso per arbitrato estero e regolamento di giurisdizione

02 Maggio 2016

In presenza di una clausola compromissoria di arbitrato estero, l'eccezione di compromesso, attesa la natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario da attribuirsi all'arbitrato rituale in conseguenza della disciplina complessivamente ricavabile dalla legge 5 gennaio 1994, n. 5 e dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, deve ricomprendersi, a pieno titolo, nel novero di quelle di rito, dando così luogo ad una questione di giurisdizione e rendendo ammissibile il regolamento preventivo ex art. 41 c.p.c.
Massima

In presenza di una clausola compromissoria di arbitrato estero, l'eccezione di compromesso, attesa la natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario da attribuirsi all'arbitrato rituale in conseguenza della disciplina complessivamente ricavabile dalla l. 5 gennaio 1994, n. 5 e dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, deve ricomprendersi, a pieno titolo, nel novero di quelle di rito, dando così luogo ad una questione di giurisdizione e rendendo ammissibile il regolamento preventivo ex art. 41 c.p.c. . È peraltro tempestiva l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata nella comparsa di costituzione nel giudizio di opposizione ad ingiunzione di pagamento europea.

Il caso

La controversia origina dalla stipulazione tra la Aeradria S.p.a. e Ryanair dell'ASA-Airport Service Agreement in forza del quale la prima si obbligava a fornire una serie di servizi aeroportuali a condizioni economiche competitive in favore della Ryanair a fronte dell'impegno di quest'ultima di garantire il transito di un certo numero di passeggeri e l'apertura di nuove rotte internazionali presso lo scalo di Rimini. Venuto a scadenza il rapporto contrattuale, Aeradria chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Rimini ingiunzione di pagamento europea, poi opposta dalla Ryanair, per residui corrispettivi vantati per servizi vari resi in forza dell'ASA. Questa, dal canto suo, pregiudizialmente eccepiva con la comparsa di costituzione e risposta nel giudizio di opposizione il difetto di giurisdizione del giudice italiano, per la considerazione che l'art. 18 dell'ASA così prevedeva: «Le parti si impegnano a risolvere amichevolmente qualunque controversia nascente o connessa con il contratto, inclusa qualsiasi questione relativa all'esistenza, validità o risoluzione. Qualunque controversia non amichevolmente risolta sarà sottoposta e risolta definitivamente tramite arbitrato secondo le regole della London Court of International Arbitration Rules, essendo tali regole considerate come richiamate nel presente articolo. Il Collegio arbitrale sarà composto da un solo arbitro. La sede dell'arbitrato sarà Londra. La lingua che sarà utilizzata nel procedimento arbitrale sarà l'inglese».

La questione

Lo snodo cruciale dell'ordinanza che ci occupa è senz'altro l'affermazione che, in presenza di una clausola compromissoria per arbitrato estero, si pone una questione di difetto di giurisdizione del giudice italiano, pertanto deducibile con il regolamento preventivo di giurisdizione. Vedremo come, a fronte di una iniziale posizione della giurisprudenza favorevole all'ammissibilità del rimedio preventivo ex art. 41 c.p.c., in un momento successivo, in linea con la giurisprudenza delle Sezioni Unite sulla natura dell'arbitrato come atto di autonomia privata, si era consolidata l'opposta soluzione secondo cui la questione della deferibilità della controversia in arbitrato estero sarebbe non di giurisdizione bensì di merito. Questo orientamento viene superato con la pronuncia in commento che recepisce le motivazioni della precedente, antesignana, Cass. civ., n. 24153/2013.

Le soluzioni giuridiche

L'orientamento della giurisprudenza di legittimità in tal senso può dirsi senz'altro consolidato pur se, in effetti, a partire dal 2000, le Sezioni Unite hanno affermato il principio opposto che anche nell'arbitrato rituale la pronunzia arbitrale ha natura di atto di autonomia privata e correlativamente il compromesso si configura quale deroga alla giurisdizione. Pertanto, il contrasto sulla non deferibilità agli arbitri di una controversia per essere questa devoluta, per legge, alla giurisdizione di legittimità o esclusiva del giudice amministrativo costituisce questione, non già di giurisdizione in senso tecnico, ma di merito, in quanto inerente alla validità del compromesso o della clausola compromissoria. Se ne è tratta la conseguenza che rispetto a siffatta questione è inammissibile il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione di cui all'art. 41 c.p.c. sia nell'ambito del processo arbitrale che del giudizio d'impugnazione ex art. 828 c.p.c., essendo il relativo mezzo proponibile con esclusivo riferimento alle questioni di giurisdizione in senso tecnico giuridico riconducibili al paradigma dell'art. 37 c.p.c. (Cass. civ., sez. U., 3 agosto 2000, n. 527, ex multis in Riv. arbitrato, 2000, 699, con nota di Fazzalari). Nel solco della nota opzione negoziale effettuata dalle sezioni unite nel 2000, la giurisprudenza (Cass. civ., sez. U., ord. 22 luglio 2002 n. 10723) aveva affermato, in relazione alla devoluzione ad arbitri esteri, che tale questione non poteva mai configurarsi come di giurisdizione, bensì di merito. Infatti scegliendo la devoluzione per arbitri esteri si determinava una rinuncia ad ogni tipo di giurisdizione, sia italiana che straniera, in favore di una risoluzione della controversia con valore negoziale, sicché le questioni relative alla validità e operatività del compromesso o della clausola compromissoria per arbitrato estero, non riferendosi alla giurisdizione bensì al merito – e in special modo alla proponibilità della domanda – dovevano essere esaminate dal giudice adito in via preliminare rispetto alla verifica della giurisdizione; né a tale configurazione poteva considerarsi ostativo l'art. XI della Convenzione di New York.

Ma l'orientamento espresso dalle Sezioni Unite del 2000 è stato oggetto di un ripensamento e, poi, del tutto abbandonato dalla giurisprudenza del Supremo Collegio, in funzione della natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione giurisdizionale ordinaria che deve, secondo la Cassazione, assegnarsi all'arbitrato rituale in base alla complessiva disciplina derivante dalla legge e dalla conseguente riconducibilità dell'eccezione di arbitrato rituale all'interno di quelle rituali. Sicché mentre stabilire se la controversia spetta agli arbitri o al giudice ordinario è una questione di competenza, stabilire se una controversia rientri nella competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in questo ambito, a quella degli arbitri rituali, ovvero al giudice amministrativo o ad altro giudice speciale, configura una questione di giurisdizione. Il riferimento è, in particolare, all'ordinanza delle Sezioni Unite n. 24153 del 2013 che, oltre a ricomprendere l'eccezione di compromesso per arbitrato estero nel novero di quelle di rito, con conseguente ammissibilità della proposizione del regolamento di giurisdizione, ha precisato che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 4 e 11 l. n. 218 del 1995, il difetto di giurisdizione derivante dalla presenza di questa clausola compromissoria, può essere rilevato in ogni stato e grado del processo, purché il convenuto non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana e sempre purché ne abbia eccepito la carenza nel primo atto difensivo (Cass. civ., sez. U., 25 ottobre 2013, n. 24153, ex multis in Riv. Arb., 2015, 2, 307 (s.m.) con nota di Bergamini).

In particolare il ragionamento delle Sezioni Unite del 2013, recepito dall'ordinanza in commento, si è fondato sulla considerazione che di regola, la funzione giurisdizionale sui diritti si esercita davanti ai giudici ordinari, essendo tuttavia consentito alle parti, nell'esercizio di una scelta libera ed autonoma, di derogare a tale regola agendo "a tutela dei propri diritti" davanti a giudici privati, riconosciuti tali dalle legge, in presenza di determinate garanzie. L'autonomia delle parti si manifesta qui non già come atto di disposizione del diritto – come si verifica nell'arbitrato contrattuale – «ma come atto incidente sull'esercizio del potere di azione che a quel diritto è connesso. L'autonomia delle parti, nel settore dei diritti disponibili, opera come presupposto del potere, loro attribuito, di far decidere controversie ad arbitri privati, nelle forme e secondo le modalità stabilite dall'ordinamento giuridico» (Cass. civ., sez. U., n. 24153/2013 cit.). Dalla natura giurisdizionale, e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, dell'attività degli arbitri rituali consegue che, mentre lo stabilire se una controversia appartenga alla cognizione del giudice ordinario o degli arbitri si configura come questione di competenza mentre lo stabilire se una controversia appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario, e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile configura, invece, una questione di giurisdizione.

Dall'affermazione della natura giurisdizionale dell'arbitrato rituale segue de plano la stessa considerazione per l'arbitrato estero, per la cui natura giurisdizionale militano ulteriori elementi, con conseguente ammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione.

Questi ulteriori elementi vanno rinvenuti nel combinato disposto della l. n. 218 del 1995, art. 4, comma 2 e art. 11 che equiparano la deroga convenzionale alla giustizia italiana in favore di arbitrato estero alla deroga in favore di un giudice straniero, entrambe inserendo fra i limiti alla giurisdizione italiana definiti dal Titolo II della legge e perciò fra i casi di difetto di giurisdizione.

In sostanza le due Sezioni Unite, l'attuale, che opera un rinvio tout court alle motivazioni della precedente, e la pronuncia del 2013, recepiscono le condivisibili ed efficaci opinioni dottrinali che avevano evidenziato come, se si ritenesse la natura negoziale dell'arbitrato estero, la relativa eccezione sarebbe di merito e non di rito, con la conseguenza che la pronuncia del giudice statuale sulla validità o invalidità, efficacia o inefficacia dell'accordo compromissorio spiegherebbe, per i suoi effetti di giudicato sostanziale, un «insuperabile vincolo potenzialmente destinato alla esportazione in altri ordinamenti» (così Cass. civ., sez. U., n. 24153/2013). Con la conseguenza che l'affermazione secondo cui l'eccezione fondata sull'accordo compromissorio per arbitrato estero non rappresenta, per il giudice italiano, una eccezione di difetto di giurisdizione è, «intrinsecamente errata», perché non può essere vero in assoluto ... che con quel patto le parti hanno «rinunciato ad ogni tipo di giurisdizione sia essa italiana o straniera». Per poter verificare, infatti, se in effetti vi sia stata questa rinuncia si dovrebbe volta per volta, analizzare l'ordinamento straniero in cui l'arbitrato è destinato a radicarsi ed il lodo è destinato a produrre i suoi effetti originari. Del resto già la dottrina, alla quale le Sezioni Unite fanno riferimento, aveva evidenziato come sia senz'altro «vero che per pronunziarsi sulla validità, efficacia ed operatività della clausola compromissoria il giudice adito ricorre spesso a regole appartenenti al diritto sostanziale, ma è altrettanto vero che ciò accade egualmente allorché debba giudicare sulla sua potestà giurisdizionale a fronte di una deroga convenzionale a favore di giudici stranieri… senza che si formi di norma al riguardo alcun giudicato ex art. 2909 c.c. sulla mera questione pregiudiziale di merito (validità dell'accordo) che si pone come premessa per la soluzione di una questione pregiudiziale di rito, facente da filtro per l'accesso all'unico vero accertamento di merito… destinato solo esso a fare stato come giudicato materiale» (Consolo, L'arbitrato con sede estera, la natura della relativa eccezione e l'essenziale compito che rimane affidato al regolamento transnazionale della giurisdizione italiana (parte seconda), in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2009, 969).

La Corte si pone, quindi, condivisibilmente nel solco dell'analisi della dottrina che aveva sottolineato come vi sia una analogia logico-funzionale tra l'analisi preventiva compiuta dal giudice ex art. 2 della Convenzione di New York e quella indicata dalla l. n. 218 del 1995, art. 7 in tema di cd. litispendenza internazionale; infatti, una volta sollevata da una delle parti l'eccezione relativa alla sussistenza di un patto compromissorio per arbitrato estero, al giudice italiano deve essere consentito di sospendere il procedimento pendente innanzi a sé, procedimento che poi potrebbe essere riassunto, con salvezza degli effetti della domanda originaria, ove il giudizio arbitrale estero non si concluda con una pronuncia idonea a produrre i suoi effetti nel nostro ordinamento. A questa ricostruzione, a parere della Corte, non si oppone l'art. 11 della Convenzione dal quale si deve viceversa desumere che spetta al giudice adito, in via preliminare e senza efficacia di giudicato, verificare la validità, operatività ed applicabilità della clausola arbitrale per arbitrato estero e, ove tale verifica abbia esito positivo, rimettere le parti innanzi agli arbitri. Con la conseguenza che soltanto nel caso in cui il giudice adito ritenga la propria giurisdizione, la conseguente decisione sulla validità del patto, rivestirà efficacia di giudicato.

Osservazioni

Dando quindi per assodato che in presenza di clausola compromissoria per arbitrato estero si verta in un'ipotesi di difetto di giurisdizione, deducibile con ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, resta da ricordare come nell'ordinanza in commento si aderisca alla tesi che qualifica come rituale l'arbitrato estero. In primo luogo perché questa soluzione sarebbe conforme al sistema delineato dalla l. n. 25/1994; in secondo luogo perché la distinzione tra l'arbitrato rituale ed irrituale non è comune in ambito internazionale, con la conseguenza che le disposizioni dirette a regolamentare un istituto che esplica i suoi effetti al di fuori delle «mura» interne, e dirette a trovare applicazione ad ogni arbitrato che come tale sia inquadrabile nell'ambito internazionale, rendono necessario superare la distinzione tra l'arbitrato rituale ed irrituale. È del resto questa la dominante interpretazione dei giudici di legittimità che hanno più volte affermato come in ambito internazionale perda ogni rilevanza la distinzione tra arbitrato rituale ed irrituale, più propriamente riferibile ai soli arbitrati interni (Cass. civ., 30 settembre 2013, n. 22338; Cass. civ., 16 gennaio 2004, n. 544 - richiamata in motivazione dalla Corte nell'ordinanza in commento- Cass. civ., 14 settembre 2004, n. 18460).