Il quantum nella liquidazione del “gratuito patrocinio”

02 Giugno 2016

Criteri cui l'autorità giudiziaria ha l'obbligo di attenersi nella liquidazione degli onorari e delle spese spettanti al difensore.
Massima

I criteri cui l'autorità giudiziaria ha l'obbligo di attenersi nella liquidazione degli onorari e delle spese spettanti al difensore, ai sensi del d.P.R. 115/2002, art. 82, devono ritenersi esaustivi, sicché il giudice, nell'applicare la tariffa professionale, non può invece fare riferimento anche ai criteri integrativi e adeguatori della tariffa medesima.

Il caso

Il difensore di un imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato presenta una istanza di liquidazione dell'onorario spettantegli nella quale chiede l'aumento previsto dall'art. 1, comma 2, lett. e, d.m. n. 127/2004 (c.d. tariffa forense), che consente di quadruplicare il compenso per le cause che richiedono un particolare impegno per la complessità dei fatti o per le questioni giuridiche trattate. Il presidente del Tribunale nega l'aumento richiesto e la Corte di appello conferma tale decisione. La Corte di cassazione, nel confermare a sua volta quest'ultima decisione, enuncia il principio sopra riportato.

La questione

La pronuncia in esame affronta la questione della possibilità di applicare nella liquidazione del compenso per il difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, sia nell'ambito del processo penale che nell'ambito di quello civile, gli aumenti previsti da criteri speciali della tariffa forense. Essa consente anche di riflettere sulla possibilità di estendere i principi affermati nel caso di specie ai criteri, contenuti nei d.m. relativi ai c.d. parametri forensi (si tratta dei d.m. 140/2012 e 55/2014), che consentono aumenti o riduzioni del compenso a seconda delle peculiarità e dell'esito del giudizio.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza è conforme all'orientamento già espresso da altre pronunce di legittimità (Cass. pen., sez. IV, 19 aprile 2007, n. 15847; Cass. pen., sez. U., 26 giugno 2008, n.25931; Cass. civ., sez. II, 2 febbraio 2011, n. 2455) che, valorizzando la locuzione usata dall'art. 82, comma 1, del d.P.R. 115/2002 («in ogni caso»), hanno escluso, per qualsiasi situazione ipotizzabile, la possibilità di superare, nella liquidazione del compenso del difensore della parte ammessa al patrocinio erariale, i valori medi previsti dalla tariffa professionale.

Tale soluzione può essere condivisa con riguardo allo specifico profilo esaminato dalla Suprema Corte, ovvero quello della complessità oggettiva del giudizio, trattandosi di una caratteristica alla quale lo stesso art. 82, comma 1, d.P.R. 115/2002, nel definire le modalità di liquidazione del corrispettivo spettante al difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, attribuisce rilievo attraverso il riferimento alla "natura dell'impegno professionale".

Occorre però verificare se essa sia valida anche dopo che con la riforma parametri sono stati introdotti nuovi criteri per la determinazione dei compensi forensi.

Innanzitutto la predetta disposizione ha subito l'abrogazione parziale sostitutiva ad opera dell'art. 9, comma 4, d.l. 1/2012, convertito con modificazioni nella legge 24 marzo 2012, n.27 ed entrato in vigore il 25 gennaio 2012, che ha anche abrogato la tariffa forense.

In conseguenza di tale modifica i riferimenti alle tariffe che erano contenuti nell'art. 82 d.P.R. 115/2002 sono stati sostituiti dai corrispondenti riferimenti ai parametri e quelli ad onorari e diritti sono stati sostituiti dal riferimento al compenso.

Quella disciplina ha dovuto essere poi essere integrata dall'art. 9 del d.m. 20 luglio 2012 n. 140 che ha introdotto, a decorrere dal 23 agosto di quell'anno, i c.d. parametri forensi.

Quella norma interferiva in parte con l'art. 130 del d.P.R. 115/2002 poiché, a differenza di quest'ultima, pareva consentire l'inosservanza della regola generale della dimidiazione che aveva esteso espressamente anche al giudizio penale (l'art. 105 d.P.R. 115/2002, infatti, non la prevedeva).

Si era quindi di fronte alla apparente anomalia di una norma sottordinata (il d.m.) che sembrava modificare quella sovraordinata (il d.P.R ).

Essa però poteva essere facilmente risolta considerando che il dimezzamento secco previsto dall'art. 130 d.P.R. era funzionale all'applicazione obbligatoria della tariffa ed era coerente con il testo originario dell'art. 82 d.P.R., che stabiliva un meccanismo rigido di determinazione del compenso, in base al quale si applicavano i valori medi della tariffa obbligatoria, dimezzati.

In tale quadro normativo restava il riferimento al dimezzamento «di regola» di cui all'art. 9 del d.m. 140/2012, espressione che significava che il dimezzamento era operato, sotto la clausola «salvo che non»,cioè salvo che il giudice non ritenesse motivatamente di non disporre il dimezzamento stesso.

Va peraltro considerato che, sebbene la sequenza sopra esposta fosse giuridicamente ineccepibile, in concreto, l'amministrazione, senza il dimezzamento finale, non effettuava alcun pagamento, con la conseguenza che il giudice doveva comunque procedervi per non danneggiare il difensore della parte ammessa. La già evidenziata estrema elasticità dei parametri consentiva però di superare l'ostacolo e di operare la liquidazione al livello superiore («i valori medi»), senza tener conto della possibilità di scendere al di sotto («non …superiori ai valori medi», ex art. 82, comma 1, d.P.R. 115/2002).

D'altro canto, il criterio della «concreta incidenza degli atti assunti» fissato dall'art. 9, d.m. 140/2012 consentiva, in linea teorica, di discostarsi dal valore medio nei casi in cui l'attività difensiva fosse stata particolarmente pregevole ed efficace o, all'opposto, inefficace o di scarso livello qualitativo.

Il quadro fin qui ricostruito è mutato ulteriormente a seguito della entrata in vigore, il 3 aprile del 2014, del d.m. 10 marzo 2014 n. 55, che ha dato attuazione alla previsione di cui all'art. 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012 n. 247Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense»), introducendo i nuovi parametri forensi e sostituendo il d.m. 140/2012.

In tale regolamento infatti non è più presente una disposizione specifica per i processi con parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, cosicchè il criterio per la liquidazione del compenso per l'avvocato di tale parte è tornato ad essere solo quello dell'art. 82, comma 1, d.P.R. 115/2002.

Del resto a seguito del sensibile incremento che, con la riforma parametri, hanno subito i valori medi di liquidazione, l'esigenza di contenimento della spesa pubblica che tale disposizione mira ad assicurare si è rafforzata.

È necessario chiedersi però se il criterio della «concreta incidenza degli atti difensivi» di cui all'art. 82, comma 1, d.P.R. 115/2002 possa essere ora integrato con i parametri previsti dall'art. 4 del d.m. 55/2014, a cominciare da quelli di cui al primo comma, primo periodo (caratteristiche, urgenza, pregio dell'attività prestata, importanza, natura, difficoltà dell'affare, risultati conseguiti, quantità e numero e complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate), che non siano menzionati dallo stesso art. 82, con la conseguenza che il giudice potrebbe discostarsi in aumento dal valore medio di liquidazione.

La risposta non può che essere negativa se si ritiene che il principio affermato dalla Cassazione con la pronuncia in esame valga anche rispetto alla disciplina dei parametri, che sul punto non pare difforme da quella della tariffa forense abrogata.

Al contempo però la conclusione cui giunge la Suprema Corte non pare di ostacolo all'applicazione di parametri che tengono conto di alcune variabili del giudizio, come quello che prevede la possibilità di aumentare il compenso per l'avvocato che abbia assistito più parti, che si trovino nella stessa posizione processuale (purché esse siano state tutte ammesse al patrocinio pubblico) o che abbia assistito una parte nei confronti di più parti (art. 4, comma 2, primo e secondo periodo, d.m. 55/2014).

Diversamente opinando, infatti, nei processi con pluralità di parti, il difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato e vittoriosa subirebbe un trattamento deteriore rispetto a quello del difensore della parte parimenti vittoriosa che non si trovasse in quella condizione.

Del resto se non può dubitarsi della applicabilità del parametro di cui al comma 3, che comporta una riduzione del valore medio di liquidazione altrettanto deve dirsi per la percentuale di aumento prevista dalla norma succitata.

Vale la pena precisare poi che l'ambito di applicazione dei due parametri succitati non è limitato alla liquidazione delle spese giudiziali ma ricomprende anche la liquidazione del compenso nel rapporto tra avvocato e cliente ed esso ha carattere speciale rispetto a quelli elencati al comma 1 dell'art. 4.

Sempre con riguardo ai parametri che rilevano ai fini della liquidazione del compenso spettante al difensore nei confronti del cliente (ammesso al patrocinio erariale), è opportuno chiarire che non rileva nella liquidazione del compenso spettante al difensore di parte ammessa al patrocinio erariale, la diposizione di cui al comma 9 dell'art. 4 nella parte in cui prevede la riduzione del compenso del 50 % nel caso di responsabilità processuale aggravata, poiché su di esso prevale la norma speciale di cui all'art. 136, comma 2, d.P.R. n. 115/2002 che impone la revoca del provvedimento che ha ammesso il patrocinio a carico dello Stato in caso di condanna della parte non abbiente per mala fede o colpa grave.

Per contro risulta compatibile con il criterio della concreta incidenza degli atti difensivi la previsione di cui alla seconda parte del comma 9 dell'art. 4, che stabilisce la stessa riduzione del 50 % se il giudizio si sia concluso con una pronuncia di inammissibilità, di improponibilità o di improcedibilità, atteso che questi esiti non integrano necessariamente delle ipotesi di lite temeraria.

Ancora, dovrà ammettersi la possibilità di ricorrere al parametro che comporta un aumento del compenso in caso di esito conciliativo della controversia (art. 4, comma 6), dal momento che l'evidente finalità deflativa che tale disposizione mira a realizzare riguarda a fortiori il processo con parte ammessa al beneficio erariale.

Del resto non potrebbe obiettarsi in contrario che tale conclusione comporta un aggravio di costi per lo Stato, poiché la tesi opposta conduce a risultati anche più onerosi. Essa infatti finisce per disincentivare soluzioni conciliative delle predette controversie e per favorire la loro prosecuzione determinando, nella prospettiva dei tre gradi di giudizio, costi anche più elevati del predetto aumento.

Valorizzando il carattere speciale del parametro in esame poi può escludersi che esso contrasti con il disposto dell'art. 82 ,comma 1, del d.P.R. 115/2002 che si riferisce ad un giudizio in cui non si verifichi una simile evenienza.

Con riguardo alle ipotesi sopra citate la dimidiazione andrà operata dopo l'applicazione degli aumenti o delle diminuzioni al valore medio di liquidazione.

Guida all'approfondimento

Scarselli, Modifiche alla legge 30 luglio 1990, n. 217, recante istituzione del patrocinio a spese dello Stato, in Nuove leggi civ. comm., 2002, 199-204;

Vaccari, I parametri comportamentali: un contributo alla definizione della natura dell'obbligazione del professionista legale, in Corr. giur., 2015, 531-538;

Vaccari, Il patrocinio a spese dello Stato, Giuffrè, 2015, 22-25;

Colavitti, I nuovi parametri: una regolazione specifica e più liberale per la professione forense, in www.giustiziacivile.com.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario