Il regime degli onorari del consulente tecnico d'ufficio nel procedimento arbitrale

23 Agosto 2017

Il contributo affronta il controverso tema del regime degli onorari del consulente tecnico d'ufficio nel procedimento arbitrale. In particolare, in assenza di una disciplina normativa sul punto, è rimesso all'interprete il compito di indagare l'applicabilità, anche in sede arbitrale, del regime di solidarietà passiva tra le parti in ordine alla corresponsione degli onorari dei consulenti tecnici d'ufficio consolidatosi nel procedimento ordinario.
La controversa natura dell'arbitrato

L'arbitrato è un Alternative Dispute Resolution (ADR) e come tale presuppone un rapporto giuridico contrattuale tra le parti e gli arbitri.

Pertanto, pregiudiziale ad ogni procedimento arbitrale è una convenzione arbitrale, ovvero un contratto autonomo ad effetti processuali. Tale convenzione può assumere le vesti di un compromesso ex art. 807 c.p.c. o di una clausola compromissoria ex art. 808 c.p.c..

La dottrina ricostruisce diversamente la natura giuridica di tale fattispecie contrattuale: secondo l'impostazione tradizionale si tratterebbe di un contratto di mandato, mentre secondo le impostazioni più recenti, per alcuni si tratterebbe di un contratto di locatio operis, per altri di un contratto dotato di una propria tipicità (Cfr. A. Bossi, La prassi dell'arbitrato rituale, pag. 116, Giappichelli editore).

Prescindendo da tali qualificazioni, l'aspetto maggiormente controverso dell'arbitrato rituale attiene alla natura giuridica del procedimento con ogni conseguenza in ordine all'applicabilità o meno al procedimento arbitrale di schemi propri del procedimento civile ordinario.

(Segue): La tesi privatistica del procedimento arbitrale

Secondo una prima tesi interpretativa, l'arbitrato rituale è un procedimento avente natura privatistica. In particolare, tale orientamento ha trovato autorevole affermazione a partire dalla nota pronuncia della Cass., Sez. Un., 3 agosto 2000 n. 527, con cui i giudici di legittimità hanno riconosciuto natura di atto di autonomia privata alla pronunzia arbitrale, definendo così il procedimento arbitrale (rituale) come attinente ad un istituto ontologicamente alternativo alla giurisdizione statuale in quanto fondato sulla rinunzia all'azione giudiziaria.

Secondo questa impostazione, quindi, gli arbitri non svolgono una funzione sostitutiva della giurisdizione, né sono qualificabili come organi giurisdizionali dello Stato.

La ricostruzione in chiave esclusivamente privatistica del lodo arbitrale (nell'arbitrato rituale) nasce principalmente dalla preoccupazione che soltanto una siffatta ricostruzione metta l'istituto a riparo dal rischio di incostituzionalità ex art. 102 Cost., così come osservato da autorevole dottrina in quanto «poiché l'arbitrato è un valore irrinunciabile della moderna esperienza giuridica, per salvarlo nella vigenza della Costituzione del 1948, occorre ricostruirlo in chiave rigorosamente privatistica».

(Segue): la tesi giurisdizionale del procedimento arbitrale

L'impostazione testé richiamata è di recente stata messa in dubbio e di fatto superata dalla giurisprudenza di legittimità a partire dall'ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. Un., 25 ottobre 2013 n. 24153 .

I giudici di legittimità, con la citata ordinanza, obliterando gli argomenti accolti dalla sentenza n. 527/2000 della stessa Corte di Cassazione giungono ad affermare la natura giurisdizionale e sostitutiva dell'arbitrato rituale rispetto alla funzione del giudice ordinario.

In particolare, osservano i Giudici Supremi cha a tale conclusione non osta il disposto di cui all'art. 102 Costituzione, così come da tempo chiarito dalla stessa Corte Costituzionale a partire dalla sentenza 14 luglio 1977 n. 127, secondo cui va valorizzato il rapporto di complementarietà individuato tra il comma 1 e il comma 2 dell'art. 102, talché il monopolio della giurisdizione statale, non va inteso in senso assoluto, ma nel quadro del divieto di istituzione di giudici straordinari o speciali, benpotendo la libera scelta delle parti (intesa come uno dei modi di disporre anche in senso negativo del diritto di cui all'art. 24 Cost., comma 1, derogare al precetto contenuto nell'art. 102 Cost..

Da quanto precede, prosegue la Corte di Cassazione, «si può trarre la conclusione che come regola la funzione giurisdizionale sui diritti si esercita davanti ai giudici ordinari, essendo tuttavia concesso alle parti, nell'esercizio di una libera ed autonoma scelta, di derogare a tale regola agendo “a tutela dei propri diritti” davanti a giudici privati riconosciuti tali dalle legge in presenza di determinate garanzie».

Garanzie approntate dall'ordinamento anche alla luce dei principi e delle caratteristiche che informano il procedimento arbitrale a seguito delle riforme di cui alla L. n. 25/1994 e al D.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40:

  • introduzione contro il lodo arbitrale della revocazione straordinaria e dell'opposizione di terzo, sia ordinaria che revocatoria;
  • concentrazione in capo alla Corte d'Appello della competenza funzionale a conoscere dell'impugnazione per nullità;
  • assimilazione in toto alla domanda giudiziale attribuita all'atto introduttivo dell'arbitrato, quanto alla prescrizione e alla trascrizione delle domande giudiziali;
  • ammissibilità dell'intervento volontario di terzi nel giudizio arbitrale (art. 816-quinques c.p.c.);
  • possibilità per gli arbitri di rimettere alla Corte Costituzionale una questione di legittimità costituzionale, ai sensi della l. 11 marzo 1953 n.87 (art. 819-bis, comma 1, n.3, c.p.c. ).

Tesi, quella della natura giurisdizionale dell'arbitrato rituale, che trova conferma anche nella coeva sentenza C. cost., 19 luglio 2013, n. 223, ad avviso della quale «con la riforma attuata con il D.Lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, il legislatore ha introdotto una serie di norme che confermano l'attribuzione alla giustizia arbitrale di una funzione sostitutiva pubblica».

Il compenso del consulente d'ufficio: il soggetto passivo

Malgrado l'affermarsi della teoria della giurisdizionalizzazione, il procedimento arbitrale ed il procedimento ordinario non sono tra loro perfettamente sovrapponibili e conoscono ancora oggi numerosi aspetti di differenziazione.

In questo scenario, si muove il presente lavoro in ordine alla ricostruzione del regime degli onorari del consulente tecnico d'ufficio nell'ambito di un procedimento arbitrale con particolare riguardo all'individuazione del soggetto tenuto al pagamento dei compensi dei nominati consulenti tecnici.

Al riguardo va subito chiarito che il codice di rito nulla dispone sul punto.

L'art. 816-ter in tema di consulenza tecnica d'ufficio si limita a prevedere che gli arbitri possono farsi assistere da uno o più consulenti tecnici. L'individuazione del regime della consulenza tecnica in sede arbitrale è quindi rimessa integralmente all'opera dell'interprete.

(Segue): Il compenso del consulente tecnico d'ufficio nel procedimento ordinario

Come noto, il codice di procedura civile prevede un corredo di disposizioni volte a disciplinare l'attività del consulente tecnico d'ufficio, quale figura ausiliaria del giudice nell'ambito del procedimento ordinario: ai sensi dell'art. 63 c.p.c. egli è obbligato, salvi giusti motivi di astensione, ad assumere l'incarico; ex art. 193 c.p.c presta giuramento davanti al giudice istruttore; assume la qualifica di pubblico ufficiale; risponde penalmente del proprio operato ex art. 373 c.p. e ottiene la liquidazione del proprio compenso ai sensi del D.P.R. n. 115/2002.

In relazione alle spese connesse alla consulenza tecnica d'ufficio nel procedimento ordinario, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha pacificamente riconosciuto in via interpretativa un regime di solidarietà passiva ex art. 1292 c.c. a carico delle parti.

Con sentenza 12 novembre 2015, n. 23133 la Corte di Cassazione ha ribadito che «l'attuale e consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione è nel senso di affermare che, poiché la consulenza tecnica d'ufficio rappresenta non un mezzo di prova in senso proprio, ma un ausilio per il giudice e, quindi, un atto necessario del processo che l'ausiliare pone in essere nell'interesse generale della giustizia e comune delle parti in virtù di un mandato neutrale, il regime del pagamento delle spettanze del medesimo prescinde dalla ripartizione dell'onere delle spese tra le parti contenuto in sentenza, che avviene sulla base del principio della soccombenza e, concernendo unicamente il rapporto fra dette parti, non è opponibile all'ausiliario; da ciò consegue che le parti sono solidalmente responsabili del pagamento delle relative competenze anche dopo che la controversia, durante la quale il consulente ha espletato il suo incarico, sia stata decisa con sentenza, sia definitiva sia non ancora passata in giudicato, a prescindere dalla ripartizione di dette spese nella stessa stabilita e, quindi, altresì, ove tale ripartizione sia difforme da quella in precedenza adottata con il decreto di liquidazione emesso dal giudice» (Cass., Sez. II, 15 settembre 2008, n. 23586; Cass., Sez. I, 7 dicembre n. 22962 del 7 dicembre 2004;Cass., Sez. 1, n. 6199 dell'8 luglio 1996; Cass., Sez. 1, n. 573 del 2 marzo 1973).

La conclusione sopra espressa trova la sua scaturigine negli elementi normativi inerenti alla nomina e all'incarico del consulente tecnico d'ufficio, tali da far ritenere che il consulente assuma un ruolo di natura pubblicistica in quanto chiamato a partecipare a un vero e proprio procedimento avente pieno carattere giurisdizionale e che l'attività da esso svolta, intesa ad integrare le cognizioni del giudice, deve presumersi finalizzata al conseguimento di un superiore interesse di giustizia.

(Segue): Il compenso del consulente tecnico d'ufficio nel procedimento arbitrale

Alla luce delle superiori premesse, al fine di fissare il regime degli onorari del consulente tecnico in un procedimento arbitrale, si tratta di comprendere se le coordinate ermeneutiche inerenti alla responsabilità solidale passiva delle parti nel procedimento ordinario possano trovare applicazione anche in seno ad un procedimento arbitrale rituale.

Stante la lacuna normativa, l'opera degli interpreti ha fatto emergere due distinti orientamenti.

Secondo una prima ed invero isolata pronuncia dei giudici di merito, condivisa da parte della dottrina «il professionista ha diritto al pagamento delle spese e dell'onorario verso le parti del giudizio» (Trib. Roma 2 Maggio 1995, rinvenibile la sola massima).

Secondo una diversa impostazione ermeneutica avallata più recentemente dalla Corte di Cassazione (Cass., sez. I, 21 febbraio 2014 n. 6736) in materia di arbitrato rituale il consulente tecnico d'ufficio ha titolo di chiedere il pagamento del proprio compenso esclusivamente agli arbitri, a cui spetta ex art. 814 c.p.c. il diritto a ottenere il rimborso dalle parti.

Ad avviso dei giudici di legittimità, il consulente d'ufficio nel procedimento arbitrale non assume la qualifica di pubblico ufficiale e la sua attività non ha carattere pubblicistico non essendo finalizzata al conseguimento di un interesse superiore di giustizia.

Pur espressamente riconoscendo la natura giurisdizionale dell'arbitrato rituale, la Corte ritiene che non siano rinvenibili nel rapporto che connota la presenza di consulenti tecnici d'ufficio nel giudizio arbitrale le caratteristiche proprie del consulente d'ufficio in sede ordinaria, nascendo, il predetto rapporto esclusivamente «da un incarico conferito dagli arbitri, a loro volta legati alle parti da un negozio giuridico di natura privatistica».

Nel procedimento arbitrale, il consulente tecnico assume una veste esclusivamente privatistica, anche avuto riguardo alla circostanza che, secondo l'orientamento prevalente, gli arbitri non necessitano del consenso delle parti al fine di disporre la consulenza tecnica d'ufficio.

Ne consegue che i consulenti tecnici sono legati agli arbitri da un rapporto di opera intellettuale e questi ultimi alle parti da un rapporto di mandato, in forza del quale ai sensi dell'art. 1719 c.c., le parti stesse hanno l'obbligo di somministrare agli arbitri i mezzi necessari per l'esecuzione del mandato e per l'adempimento delle obbligazioni contratte in proprio nome, tra cui anche quella nei confronti del consulente.

Corollario è che il consulente tecnico ha diritto di agire per la corresponsione degli onorari maturati in ragione dell'opera prestata unicamente nei confronti degli arbitri, secondo le forme ordinarie, avendo chiarito la giurisprudenza che al consulente tecnico d'ufficio è precluso avvalersi del procedimento ex art. 814 c.p.c., riservato esclusivamente a beneficio degli arbitri. (Trib. Mantova 9 maggio 2013).

Così ragionando, la Corte annovera tra le spese procedimentali i costi di un'eventuale consulenza tecnica d'ufficio, analogamente ai costi connessi all'attività del segretario (Cass. civ., sez. II, 28 luglio 2004, n. 14182), di cui gli arbitri potranno, loro si, chiedere la ripetizione nei confronti della parti ai sensi dello speciale procedimento di cui al secondo comma dell'art. 814 c.p.c..

Conclusioni

Dall'indagine condotta emerge che il regime di solidarietà passiva a carico delle parti consolidatasi in giurisprudenza in ordine al compenso del consulente tecnico d'ufficio nel procedimento ordinario non possa trovare applicazione analogica nel procedimento arbitrale, malgrado ormai il pacifico riconoscimento della natura giurisdizionale del procedimento per arbitrato rituale.

Non è da escludere un revirement giurisprudenziale che faccia leva sull'acquisita natura giurisdizionale del procedimento per arbitrato rituale; revirement che però non potrebbe prescindere da un ripensamento dell'intero ruolo del consulente tecnico d'ufficio in seno al procedimento arbitrale.

Ad oggi però c'è da prendere atto dell'inquadramento offerto dalla giurisprudenza ed operare in conformità allo stesso non cadendo nell'errore di applicare al procedimento arbitrale (rituale) schemi propri del procedimento civile ordinario.

Gli arbitri all'atto del conferimento dell'incarico in favore del consulente tecnico d'ufficio, ad oggi, sono chiamati a prestare la massima cautela per evitare rischi di una loro esposizione patrimoniale diretta. Infatti, come visto, in aderenza all'inquadramento giuridico fatto proprio dai giudici di legittimità gli arbitri saranno chiamati a sostenere in prima persona i costi della consulenza tecnica salvo poi chiederne la ripetizione alle parti, sopportando l'eventuale rischio di insolvenza di queste ultime.

Prudenza impone quindi agli arbitri di concordare con i consulenti, all'atto della loro nomina, gli onorari per lo svolgimento della loro attività, di condividere con le parti gli onorari dei consulenti e quindi di procedere alla liquidazione dei compensi dei consulenti in via anticipata al deposito della perizia e del lodo.

A riguardo può essere di supporto la prassi ormai consolidata dei regolamenti arbitrali di alcune delle principali istituzioni arbitrali che includono gli onorari dei consulenti tecnici tra i costi del procedimento arbitrale e prevedono la liquidazione degli stessi anticipatamente al deposito del lodo con facoltà di disporre il pagamento di fondi iniziali e/o acconti nel corso del procedimento.

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