Eccezione di compromesso: natura processuale, modi e termini

05 Maggio 2016

L'eccezione di compromesso ha natura processuale e deve essere eccepita nella comparsa di risposta e nel rispetto del termine fissato ex art. 166 c.p.c.
Massima

L'eccezione di compromesso ha natura processuale, inerendo questione di competenza, peraltro non rilevabile d'ufficio in quanto di natura non funzionale, perlomeno nei casi nei quali non afferisce a diritti indisponibili, e deve essere eccepita nella comparsa di risposta e nel rispetto del termine fissato ex art. 166 c.p.c., a pena di decadenza e conseguente radicamento presso il giudice adito del potere di decidere in ordine alla domanda proposta.

Il caso

Taluni soci di una s.r.l. adiscono il giudice ordinario, impugnando una delibera assembleare delle detta società, ed il convenuto, altro socio della medesima s.r.l., si costituisce tardivamente all'udienza di prima comparizione eccependo, per quanto qui rileva evidenziare, l'esistenza di una convenzione di arbitrato rituale.

Conseguentemente, il giudice adito, con ordinanza depositata il 15 ottobre 2014, dichiara la propria incompetenza, in favore del collegio arbitrale, escludendo la tardività dell'eccezione perché riflettente una questione non processuale ma di merito.

All'ordinanza di cui innanzi segue istanza di regolamento di competenza, proposta dagli attori ed accolta dalla S.C. che, in applicazione del principio di diritto di cui in massima, dichiara la competenza del giudice ordinario.

La questione

La questione in esame concerne la natura della eccezione di compromesso, se sostanziale o processuale (inerente la competenza), e, quindi, i modi ed i termini sollevarla innanzi al giudice ordinario, compresa la possibilità per il decidente di rilevarla d'ufficio.

Le soluzioni giuridiche

La tesi fatta propria dal giudice di merito, innanzi succintamente esposta, sembrerebbe argomentata dalla natura negoziale e non giurisdizionale dell'arbitrato rituale, conseguenza dell'arresto giurisprudenziale di legittimità formatosi a seguito della sentenza n. 527 del 2000, emessa dalle S.U. (Cfr., Cass. civ., sez. un., sent., 3 agosto 2000 n. 527).

Le citate S.U del 2000 precisano, difatti, che anche nell'arbitrato rituale, la pronunzia arbitrale ha natura di atto di autonomia privata e correlativamente il compromesso si configura quale deroga alla giurisdizione. Pertanto, prosegue la S.C. con riferimento al caso ad essa sottoposto, il contrasto sulla non deferibilità agli arbitri di una controversia per essere questa devoluta, per legge, alla giurisdizione di legittimità o esclusiva del giudice amministrativo costituisce questione, non già di giurisdizione in senso tecnico, ma di merito, in quanto inerente alla validità del compromesso o della clausola compromissoria.

La giurisprudenza di legittimità, sulla scia della riconosciuta natura negoziale dell'arbitrato rituale e fino al “revirement” attuato da Cass. civ., sez. un., ord., 25 ottobre 2013 n. 24153, argomentava nei termini fatti propri dall'ordinanza annullata dalla S.U. con la decisione in commento.

In materia di arbitrato, precisava la detta giurisprudenza, la questione conseguente all'eccezione di compromesso sollevata dinanzi al giudice ordinario, adito nonostante che la controversia fosse stata deferita ad arbitri, attiene al merito e non alla competenza, in quanto i rapporti tra giudici ed arbitri non si pongono sul piano della ripartizione del potere giurisdizionale tra giudici ed il valore della clausola compromissoria consiste proprio nella rinuncia alla giurisdizione ed all'azione giudiziaria.

Ne consegue, dal detto differente assunto, per un verso, che la relativa eccezione dà luogo ad una questione di merito, riguardante l'interpretazione e la validità del compromesso o della clausola compromissoria, e costituisce, pertanto, un'eccezione propria ed in senso stretto, avente ad oggetto la prospettazione di un fatto impeditivo dell'esercizio della giurisdizione statale, con la conseguenza che deve essere proposta dalle parti nei tempi e nei modi propri delle eccezioni di merito (Cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. VI-II, ord.,12 dicembre 2011 n. 26635).

Per altro verso, sempre dalla detta ritenuta natura negoziale, si argomentava che, ancorché formulata nei termini di decisione di accoglimento o rigetto di un'eccezione d'incompetenza, la decisione con cui il giudice, in presenza di un'eccezione di compromesso, risolvendo la questione così posta, chiude o non chiude il processo davanti a sé va riguardata come decisione pronunziata su questione preliminare di merito, impugnabile con l'appello e non ricorribile in cassazione con regolamento di competenza, neppure ove il giudice ordinario, in presenza di una causa connessa presso di lui pendente, introdotta con domanda riconvenzionale ed in violazione dell'art. 819-bis c.p.c., abbia negato l'inammissibilità della domanda principale anziché riconoscerla, poiché deferita alla decisione degli arbitri(Cfr., Cass. civ., sez. II, sent., 19 febbraio 2003 n. 2501).

La sentenza in commento, invece, conclude in termini diametralmente opposti a quelli di cui innanzi, enunciando il principio di diritto di cui in massima, prendendo espressamente in esame l'“overruling” in materia processuale, attuato dalle citate S.U. nel 2013, circa la natura non negoziale ma giurisdizionale del lodo rituale e, quindi, del relativo arbitrato.

Per le S.U. da ultimo citate, difatti, l'attività degli arbitri rituali, in particolare, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla l. 5 gennaio 1994, n. 25 e dal d.lg. 2 febbraio 2006, n. 40, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicché lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, qualificandosi la relativa eccezione come di rito e non di merito, mentre il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, dà luogo ad una questione di giurisdizione, anche essa possibile oggetto di eccezione di rito e non di merito.

Osservazioni

Le argomentazioni della sentenza in esame sembrerebbero condivisibili nella parte in cui chiariscono che la questione di diritto di cui innanzi è investita dall'“overruling” del 2013, riguardando la questione sottesa all'eccezione di compromesso alla competenza e, quindi, essendo essa di natura processuale e non di merito.

Dalla riconosciuta natura processuale dell'eccezione e dalla ritenuta funzione giurisdizionale dell'arbitrato rituale, sostitutiva di quella del giudice ordinario, consegue che, muovendo dal disposto di cui all'art. 38 c.p.c. che fa riferimento alla comparsa di risposta tempestivamente depositata, l'eccezione di compromesso deve essere sollevata nella comparsa di risposta e nel termine fissato ex art. 166 c.p.c., a pena di decadenza e conseguente radicamento presso il giudice adito del potere di decidere in ordine alla domanda proposta.

Il riferimento all'art. 38 c.p.c. e, quindi, anche al suo terzo comma, potrebbe far ritenere che la questione in esame, come detto processuale in quanto inerente la competenza, sia rilevabile d'ufficio, afferendo ad una competenza inderogabile alla stregua di una sorta di competenza funzionale frutto della volontà delle parti della convenzione arbitrale (tesi, quest'ultima, fatta propria della Procura Generale nel processo conclusosi con la sentenza in commento).

Per converso, come chiarito dalla S.C. con la sentenza in esame, è proprio il fondamento dell'arbitrato nella volontà delle parti, che lo rende compatibile con gli artt. 24 e 102 Cost., che fa propendere per la soluzione opposta a quella di cui innanzi e, quindi, per l'irrilevabilità d'ufficio da parte del giudice ordinario, perlomeno nel caso di diritti disponibili (ferme restando le differenti tesi in merito alla deperibilità ad arbitri di delibere assembleari inerenti diritti non disponibili).

Le parti, difatti, sono libere di scegliere se affidare la controversia agli arbitri e, quindi, anche di adottare condotte processuali tacitamente convergenti verso l'esclusione della competenza di questi ultimi, con l'introduzione di un giudizio ordinario, da un lato, e la mancata proposizione dell'eccezione di arbitrato, dall'altro, assurgendo, il principio fissato dall'art. 806 c.p.c. («le parti possono far decidere da arbitri le controversie fra loro insorte») il carattere di principio generale, costituzionalmente garantito, dell'intero ordinamento (Cfr., Cass. civ., sez. un., n. 24153/2013; C. Cost., 14 luglio 1977 n. 127).

La natura giurisdizionale dell'arbitrato rituale e, quindi, processuale dell'eccezione di compromesso, con quanto ne consegue in merito a forme e termini per farla valere, non esclude però un sindacato sulla convezione arbitrale da parte del giudice in merito alla portata di essa, al fine di verificare se trattasi di deferimento ad arbitri rituali o irrituali, necessaria anche per individuare il regime di impugnabilità del relativo lodo.

La S.C. difatti precisa che La questione concernente la portata di una clausola compromissoria per arbitrato rituale, rispetto ad un'altra, intercorrente tra le stesse parti, per arbitrato irrituale, anche a seguito dell'ordinanza delle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 25 ottobre 2013 n. 24153), non integra una questione di “competenza”, bensì di merito, la cui soluzione richiede l'interpretazione della clausola secondo gli ordinari canoni ermeneutici, dettati per l'interpretazione dei contratti, con conseguente impossibilità da parte della S.C. di esaminare, anche d'ufficio, quale giudice del “fatto processuale”, le clausole compromissorie per stabilire quale sia il giudice competente a decidere della controversia (Cfr., Cass. civ., sez. I, ord., 3 marzo 2016 n. 5426).

La stessa S.C., però, con altra sentenza, precisa che al fine di qualificare l'arbitrato come rituale o irrituale, la Corte di cassazione opera come giudice del fatto ed ha, dunque, il potere di accertare direttamente, attraverso l'esame degli atti e degli elementi acquisiti al processo, la volontà delle parti espressa nella clausola compromissoria, in quanto la relativa qualificazione incide sull'ammissibilità dell'impugnazione della decisione arbitrale, esclusa nel caso di arbitrato irrituale (Cfr., Cass. civ., sez. I, 18 novembre 2015n. 23629).

Nell'esercizio di tale attività di accertamento, il criterio discretivo tra le due figure consiste nel fatto che nell'arbitrato rituale le parti vogliono la pronuncia di un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all'art. 825 c.p.c., con le regole del procedimento arbitrale, mentre nell'arbitrato irrituale esse intendono affidare all'arbitro la soluzione di controversie solo attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla loro stessa volontà (Cfr., Cass. civ., sez. I, 18 novembre 2015 n. 23629).

Così argomentando, la citata Cass. civ., sez. I, 18 novembre 2015 n. 23629, precisa che, proprio alla stregua di tali principi, deve essere interpretata la clausola compromissoria, dovendosi comunque tenere conto, quale criterio sussidiario di valutazione ex art. 1362 c.c., della condotta complessiva tenuta dalle parti nelle trattative, nella formazione dei quesiti, nello stesso corso del procedimento arbitrale e successivamente alla pronuncia del lodo.

È infine il caso di evidenziare che, qualora, all'esito del procedimento ermeneutico avente ad oggetto la portata del patto compromissorio, residuassero dubbi in ordine all'effettiva scelta dei contraenti, per Cass. civ., sez. I, sent., 7 aprile 2015 n. 6969, anche con riferimento alla disciplina applicabile prima della introduzione dell'art. 808-ter c.p.c. ad opera del d.lg. 2 febbraio 2006, n. 40, essi andrebbero risolti nel senso della ritualità dell'arbitrato, tenuto conto della natura eccezionale della deroga alla norma per cui il lodo ha efficacia di sentenza in ragione della natura giurisdizionale dell'arbitrato rituale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario.

Guida all'approfondimento

VERDE G., Arbitrato e giurisdizione: le Sezioni Unite tornano all'antico, in Dir. proc. civ., 2014, n. 1, pag. 91 e ss..

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