Reclamo tra natura endoprocessuale e natura devolutiva

Francesco Agnino
02 Novembre 2016

Il reclamo cautelare avvia un nuovo ed autonomo giudizio, eventuale sia rispetto al ricorso cautelare che alla causa di merito, con la conseguenza che i relativi atti introduttivi non soggiacciono all'obbligo di deposito telematico.
Massima

Il reclamo cautelare avvia un nuovo ed autonomo giudizio, eventuale sia rispetto al ricorso cautelare che alla causa di merito, con la conseguenza che i relativi atti introduttivi non soggiacciono all'obbligo di deposito telematico.

Il caso

Con ordinanza cautelare, il giudice rigettava l'istanza di sequestro conservativo proposto in corso di causa fino all'importo di euro 2.200.000: la situazione complessiva della debitrice non appariva, all'epoca del finanziamento, di squilibrio finanziario tale da rendere applicabile l'art. 2467 c.c., considerato che molte esposizioni erano a lungo termine.

Viene proposto reclamo; il Collegio, nel rigettarlo, rilevava tuttavia che non era inammissibile. Tramite il reclamo, infatti, viene investito della questione un organo diverso dal giudice istruttore (il collegio), aprendosi un subprocedimento collegato al precedente. Ciò può avvenire sia in caso di ricorso “ante causam”, sia in ipotesi di ricorso (e relativo reclamo), in corso di causa dove, pur essendo le parti già costituite, si apre comunque una nuova fase. II reclamo consente quindi l'avvio di un giudizio nuovo ed autonomo, eventuale rispetto al ricorso cautelare ed alla causa di merito.

La questione

La questione in esame è la seguente: il reclamo cautelare soggiace all'obbligo di deposito telematico?

Le soluzioni giuridiche

L'introduzione del processo civile telematico ha profondamente innovato il processo civile, in un'ottica modernizzatrice, al fine di ridurre le lungaggini ed i costi per adeguarlo alle mutate esigenze della società civile e dell'economia italiana. Conseguentemente, l'entrata in vigore delle nuove disposizioni normative e delle c.d. "regole tecniche" ha visto fiorire i primi orientamenti giurisprudenziali di merito sulle principali questioni e criticità sorte in sede di interpretazione delle singole disposizioni.

Alcune norme dell'ordinamento processuale consentono il deposito in forma telematica dell'atto introduttivo del giudizio, atteso che ex art. 16-bis l. 17 dicembre 2012, n.221, a decorrere dal 30 giugno 2014, nei procedimenti civili dinanzi al Tribunale, il deposito degli atti processuali con modalità telematiche riguarda solo le parti precedentemente costituite, non essendo contemplato il deposito telematico degli atti introduttivi del giudizio (Trib. Torino, 20 luglio 2014; Trib. Torino, 15 luglio 2014, dichiarativa dell'inammissibilità del ricorso ex art.702-bis c.p.c. depositato telematicamente in cancelleria; in senso conforme Trib. Foggia, 10 aprile 2014).

Ex art. 16-bis d.l. n. 179/2012 (e ss. mod.), infatti: «a decorrere dal 30 giugno 2014 nei procedimenti civili o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici».

Ne consegue che, fermi restando i casi di obbligatorietà del deposito telematico previsti dall'art. 16-bis, è sempre in facoltà delle parti depositare telematicamente gli atti introduttivi o di costituzione in giudizio.

Nella pronuncia in commento, il collegio veneziano non aderisce all'orientamento che qualifica il reclamo come «atto endoprocessuale» (Trib. Torino, ord., 6 marzo 2015; Trib. Foggia, 15 maggio 2015), considerandolo atto che apre una nuova fase e come tale non sottoposto all'obbligo di deposito telematico.

In particolare, la giurisprudenza che sanziona con l'inammissibilità il reclamo non depositato telematicamente muove della circostanza che il reclamo non avvia un nuovo ed autonomo giudizio, ma innesta una fase eventuale relativa al medesimo giudizio avviato con il ricorso cautelare. La decisione maturata al suo esito, inoltre, è passibile di ulteriori modifiche in caso di sopravvenienze nel corso del giudizio di merito. Si è rilevato in tal senso che «il legislatore del 1990 ha introdotto il nuovo istituto del reclamo contro i provvedimenti cautelari, configurandolo, più che come una vera e propria impugnazione, come una sorta di prosecuzione del giudizio cautelare unitario; ciò in funzione di una nuova pronuncia nell'esercizio degli stessi poteri da parte di un giudice che è diverso da quello che ha pronunciato il primo provvedimento, solo perché opera in una composizione sempre collegiale per lo più nell'ambito dello stesso ufficio giudiziario; e tutto ciò con l'attribuzione alla nuova pronuncia della portata di sostituirsi alla prima» (Trib. Foggia, 15 maggio 2015).

Al contrario deve evidenziarsi che l'opzione espressa dal legislatore con la l. n. 80 del 2005 è chiaramente a favore della natura devolutivo-sostitutivo del reclamo, aperto all'allegazione dello ius novorum. Coerentemente alla possibilità di allegare fatti nuovi, il novellato comma 4 dell'art. 669-terdecies c.p.c. - riproducendo l'analoga previsione già introdotta dall'art. 23, comma 5, del d.lgs. n. 5 del 2003 nell'ambito del rito societario - dispone che: «il Tribunale può sempre assumere nuove informazioni e acquisire nuovi documenti».

La diversità della formula, rispetto a quella utilizzata dall'art. 669-sexies, comma 1, c.p.c. (che fa riferimento agli “atti di istruzione”) non giustifica tuttavia una minor ampiezza dei poteri istruttori del collegio (dotato di piena potestà cautelare) rispetto a quelli esercitabili dal giudice a quo. Ciò tanto più in considerazione della nuova prospettiva di poter conseguire un provvedimento ante causam idoneo – se a carattere anticipatorio – a svolgere una funzione non più soltanto cautelare, ma totalmente satisfattiva dell'interesse sostanziale perseguito dal ricorrente, sia pure attraverso un accertamento a cognizione sommaria, privo dell'autorità del giudicato, ma ugualmente suscettibile di produrre effetti permanenti ove alcuna parte assuma l'iniziativa di instaurare il successivo giudizio di merito.

Deve ritenersi, pertanto, che il giudice del reclamo, nel rispetto di quanto devoluto alla parte attraverso i motivi di reclamo (effetto parzialmente devolutivo, in applicazione analogica dell'art. 346 c.p.c.), abbia la possibilità di integrare eventuali lacune dell'istruttoria sulla domanda cautelare nonché, in mancanza di specifiche preclusioni, di accogliere nuove istanze istruttorie relative a circostanze sopravvenute o anche a fatti in precedenza non dedotti, procedendo al compimento di quegli atti di istruzione che reputi «indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini» della richiesta misura cautelare (e del reclamo), con applicazione analogica del comma 1 dell'art. 669-sexies c.p.c..

Il giudice veneto aderisce ad altro formante giurisprudenziale (Trib. Asti, 15 marzo 2015; Trib. Trani, 20 ottobre 2015) ad avviso del quale il ricorso per reclamo cautelare ha natura di atto introduttivo del relativo giudizio, essendo il deposito di tale atto finalizzato ad introdurre un nuovo giudizio sulla domanda cautelare, con effetti sostitutivi del provvedimento impugnato, a consentire al reclamante di costituirsi, chiedendo la fissazione dell'udienza ed instaurando il contraddittorio.

Da ciò discende che il reclamo dà avvio ad una nuova fase di modo che non soggiace all'obbligo del deposito telematico.

Va segnalata, peraltro, l'esistenza di una tesi intermedia secondo cui, ferma restando la qualificazione del reclamo come atto «endoprocessuale» soggetto al deposito telematico, l'eventuale deposito in cartaceo è comunque ammissibile, dovendo ritenersi egualmente conseguito, in tal modo, lo scopo di adire il giudice competente, senza pregiudizio dei diritti della parte reclamata (Trib. Torino, 26 gennaio 2015; Trib. Ancona, 28 maggio 2015).

Osservazioni

La questione postasi oggi con riferimento al reclamo cautelare può ripresentarsi in tutti i procedimenti di natura bifasica o in quei giudizi (di carattere sommario) caratterizzati dalla presenza di eventuali “appendici”, o subprocedimenti volti, lato sensu, al riesame del provvedimento concesso dal giudice della prima fase.

Si pensi, ad esempio, al deposito dell'atto per l'«inizio del giudizio di merito» ex art. 669-octies c.p.c.; al deposito dell'atto di «prosecuzione» del giudizio di merito possessorio ex art. 703, comma 4, c.p.c.; al deposito degli atti della fase istruttoria dei giudizi di separazione o divorzio; a quello degli atti introduttivi e di costituzione nel giudizio di opposizione alla fase sommaria del c.d. “Rito Fornero” ex art. 1, comma 5, l. n. 92/2012. In relazione a ciascuna di tali ipotesi, prima di postulare la sussistenza dell'obbligo di deposito telematico dei relativi atti, occorre stabilire se la fase procedimentale successiva alla prima possa considerarsi meramente prosecutoria dell'unico giudizio instaurato con il ricorso originario e se, di conseguenza, la costituzione originariamente effettuata dalle parti nella prima fase possa continuare a spiegare effetti.

La recente introduzione (v. art. 19 d.l. 27 giugno 2015 n. 83) della facoltà di deposito telematico anche dell'atto introduttivo o del primo atto difensivo in qualsiasi procedimento dinanzi al tribunale o alla Corte d'appello (v. art. 16-bis, comma 1-bis, d.l. 179/2012), suggerirà tuttavia alle parti di prediligere sempre, nel dubbio, la forma digitale, ormai valida tanto per gli atti c.d. “endoprocessuali” quanto per quelli introduttivi o di costituzione.