Il regime delle spese di lite nelle controversie in materia di previdenza ed assistenza: il punto sull'art. 152 disp. att. c.p.c.
03 Aprile 2017
Premessa
Il regime delle spese di lite nelle controversie previdenziali e assistenziali è disciplinato in modo diverso rispetto a quanto previsto in generale per le fattispecie che seguono il rito ordinario e il rito lavoro: mentre, infatti, l'art. 91 c.p.c.dispone che la parte soccombente rimborsi le spese del giudizio alla controparte vittoriosa, nel processo previdenziale viene in rilievo una disciplina particolare, centrata sul diverso principio della esenzione dal pagamento di spese, diritti ed onorari per la parte che, pur risultando soccombente, si trovi nelle condizioni indicate dall'art. 152 disp. att. c.p.c., che sono oggetto di apposita autocertificazione. Si tratta, dunque, di una norma di favore emanata in considerazione della qualità del soggetto che agisce in giudizio (aspirante ad una prestazione previdenziale o assistenziale), in deroga alle regole ordinarie del processo civile - caratterizzato dal principio generale dell'onere della prova – secondo le quali la parte non può derivare da proprie dichiarazioni elementi di prova a proprio favore, al fine del soddisfacimento dell'onere di cui all'art. 2697 c.c.. Il presente contributo, passando in rassegna le più recenti pronunce della Suprema Corte in materia, analizza le principali questioni che attengono all'individuazione delle condizioni formali richieste per potere beneficiare dell'esonero dal pagamento delle spese processuali, ponendo in comparazione l'approccio adottato sul punto dalla giurisprudenza di legittimità e da quella di merito. Proprio dal concreto atteggiarsi degli oneri autocertificativi che gravano sulla parte interessata ad ottenere l'esonero scaturiscono, infatti, i principali aspetti problematici per l'operatività in concreto di tale disciplina. Quadro normativo
Per una corretta disamina della questione occorre prendere le mosse dal tenore letterale dell'art. 152 disp. att. c.p.c. La disposizione in commento, per quel che in questa sede interessa, prevede invero che nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali la parte soccombente, salvo comunque quanto previsto dall'art. 96 comma 1 c.p.c., non può essere condannata al pagamento delle spese, competenze ed onorari quando risulti titolare, nell'anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile ai fini IRPEF, risultante dall'ultima dichiarazione, pari o inferiore a due volte l'importo del reddito stabilito ai sensi degli artt. 76, commi da 1 a 3, e 77 del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Vengono, dunque, in rilievo i limiti reddituali previsti per l'ammissione al gratuito patrocinio. La norma prosegue stabilendo che l'interessato che, con riferimento all'anno precedente a quello di instaurazione del giudizio, si trova nelle condizioni sopra indicate deve formulare apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione nelle conclusioni dell'atto introduttivo ed impegnarsi a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell'anno precedente. Si tratta di una norma di portata generale applicabile, oltre che nei confronti dei tipici enti di previdenza ed assistenza, anche ai gestori di forme di previdenza sostitutive dell'assicurazione generale obbligatoria, fermo restando che in concreto i suoi principali risvolti applicativi si apprezzano nei giudizi di accertamento tecnico preventivo ex art. 445-bis c.p.c., allorquando si tratti cioè di verificare in giudizio la sussistenza del presupposto sanitario utile ai fini del riconoscimento di una delle prestazioni assistenziali indicate da detta norma. Tale beneficio è inoltre pacificamente riconosciuto non solo nei confronti di chi possa vantare l'effettiva esistenza del rapporto assicurativo o abbia comunque diritto all'assistenza pubblica, ma anche in favore di chi ne richieda l'accertamento e la costituzione in giudizio (si pensi alle domande di iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli) atteso che la ratio è quella di evitare che il timore della soccombenza sulle spese impedisca l'esercizio di diritti garantiti dalla Costituzione. Lo strumento dell'esonero, dunque, lungi dall'alterare la par condicio delle parti in giudizio, costituisce un meccanismo atto a neutralizzare la maggiore debolezza della parte privata, ponendosi pertanto come mezzo di ripristino dell'uguaglianza sostanziale. Resta fermo il limite della manifesta infondatezza e temerarietà della lite. Per giurisprudenza costante il primo requisito consiste nell'assoluta mancanza di fondamento della richiesta, rilevabile, prima facie, quando sulla questione dibattuta sia intervenuta giurisprudenza consolidata e, nel giudizio successivamente instaurato, tale questione sia riproposta senza corredo di argomenti diversi da quelli esaminati nonché, per quanto specificamente riguarda il giudizio di appello, quando questo sia proposto contro una sentenza che abbia rigettato la domanda con argomenti chiari ed esaurienti, circa il totale e manifesto difetto dei presupposti di fatto e di diritto idonei a giustificare la pretesa; la temerarietà della lite consiste invece, in analogia con il concetto di responsabilità aggravata di cui al primo comma dell'art. 96 c.p.c., nella malafede, e cioè nella consapevolezza della non spettanza della prestazione richiesta, o nella colpa grave, e cioè nell'aver agito o insistito in una pretesa coscientemente infondata, senza il minimo esame della giustezza e della ragionevolezza della pretesa stessa (Cass. 6 giugno 2007 n. 13269) La non felice formulazione della norma pone, inoltre, problemi interpretativi in ordine all'individuazione dell'anno che occorre prendere in considerazione al fine di individuare il reddito rilevante ai sensi dell'art. 152 disp. att. c.p.c.Ciò in quanto la norma, da un lato (primo periodo), stabilisce che il beneficio dell'esonero dal pagamento delle spese spetta nel caso in cui il soccombente si trovi nelle condizioni reddituali sinora descritte «nell'anno precedente a quello della pronuncia» e, dall'altro (secondo periodo), impone alla parte che si trovi nelle medesime condizioni “nell'anno precedente a quello di instaurazione del giudizio”, di formulare apposita dichiarazione nelle conclusioni dell'atto introduttivo e di comunicare, fino a che il processo non sia definito, le «variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell'anno precedente». Si ritiene prevalentemente tra gli interpreti che al fine di usufruire del regime di favore, è sufficiente che il soccombente sia in possesso del requisito reddituale nell'anno precedente a quello della pronuncia, dal momento che è nel momento della decisione che sorge, a carico della parte soccombente, l'obbligo di rimborsare alla controparte le spese da questa sostenute ed è a partire da quel momento che la parte vittoriosa può porre in esecuzione il capo della sentenza di condanna al pagamento delle spese processuali. In altri termini, trattandosi di un beneficio eccezionale attribuito in considerazione della modestia della condizione reddituale del soggetto istante, si ritiene che il legislatore abbia inteso ancorarne la concessione alla concreta situazione di fatto esistente in un momento il più possibile vicino alla emanazione della sentenza che deve provvedere sulle spese del processo. In questa cornice normativa è intervenuta, a più riprese, la Corte di Cassazione che, nell'esegesi della norma in parola, ha fatto chiarezza sulla portata degli oneri formali posti a carico della parte interessata a fare domanda di esonero dal pagamento dei costi del giudizio per l'ipotesi di soccombenza, ingenerando un dibattito, per certi versi, tutt'ora aperto. Una pronuncia particolarmente significativa in tal senso, per i plurimi principi di diritto in essa formulati, è Cass. 26 luglio 2011 n. 16284 secondo cui, innanzitutto, l'art. 152 disp. att. c.p.c., laddove onera la parte ricorrente che versi nelle condizioni reddituali per poter beneficiare dell'esonero dagli oneri processuali in caso di soccombenza di rendere apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione, va interpretato nel senso che tale dichiarazione deve essere formulata con il ricorso introduttivo di primo grado ed esplica la sua efficacia, senza necessità di ulteriore reiterazione, anche nei gradi successivi, come si evince dagli espressi riferimenti legislativi "all'anno precedente a quello di instaurazione del giudizio" e alle "conclusioni dell'atto introduttivo" nonché dalla previsione del richiesto impegno di comunicare le variazioni reddituali eventualmente rilevanti "fino a che il processo non sia definito". L'evoluzione di tali condizioni reddituali – specificano i giudici di legittimità - non è tuttavia indifferente, cosicché, salvo sempre l'onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni dichiarate in ipotesi di contestazione, l'interessato deve dichiarare quelle variazioni che facciano venir meno le condizioni di esonero e, per converso, ove tali condizioni originariamente insussistenti si siano concretizzate nel prosieguo del giudizio, può rendere, se del caso anche nei gradi successivi, apposita dichiarazione nel senso richiesto dal succitato art. 152 disp. att. c.p.c. Da simili premesse discende allora che, ove la parte medesima non proceda nel successivo svolgimento della causa ad alcun aggiornamento, si deve presumere – in mancanza di puntuali contestazioni in proposito provenienti dalla parte avversaria – che la sua situazione reddituale sia rimasta al di sotto del limite e dunque il giudice è tenuto ad esonerarla dal rimborso delle spese senza alcuna necessità di ulteriori dichiarazioni provenienti dalla parte interessata. Per altro verso, l'ordinanza in parola ha anche il merito di aver chiarito che l'art. 152 disp. att. c.p.c., laddove onera la parte che intende beneficiare dell'esenzione in caso di soccombenza a rendere apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione "nelle conclusioni dell'atto introduttivo", va interpretato nel senso che della ricorrenza delle condizioni di esonero deve essere semplicemente dato conto nell'atto introduttivo del giudizio, cosicché “deve ritenersi l'efficacia della dichiarazione sostitutiva che, ancorché materialmente redatta su foglio separato, sia espressamente richiamata nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e ritualmente prodotta con il medesimo". Sviluppando gli spunti interpretativi contenuti nella statuizione appena richiamata, la giurisprudenza di legittimità successiva ha avuto poi modo di spiegare la dichiarazione sostitutiva di certificazione delle condizioni reddituali, da inserire nelle conclusioni dell'atto introduttivo, è inefficace se non è sottoscritta dalla parte, poiché a tale dichiarazione la norma connette un'assunzione di responsabilità non delegabile al difensore, stabilendo che l'interessato si impegna a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito (Cass. 2 luglio 2015 n. 13550). Ai fini della validità ed efficacia della dichiarazione in parola non è quindi sufficiente la sola sottoscrizione del difensore (cfr. ex multis Cass. 10 novembre 2016 n. 22952). Le ragioni sono facilmente intuibili: poiché la dichiarazione in questione è una dichiarazione sostitutiva di certificazione ed è da ritenere soggetta alle medesime conseguenze penali previste dall'art. 95 D.P.R. n. 115/2002per le analoghe dichiarazioni rese al fine di beneficiare del patrocinio a spese dello stato che risultino false o omissive, è solo la parte a potersi assumere la responsabilità della veridicità e completezza di quanto in essa affermato, sicché appare quanto mai opportuno richiamare l'attenzione della stessa sul contenuto e sulle conseguenze della dichiarazione che rende in relazione alla specifica causa. La Suprema Corte richiama, dunque, alla rigida osservanza della forma prescritta dall'art. 152 disp. att. c.p.c., pur riconoscendo la facoltà di rendere la dichiarazione suddetta in foglio separato, purché espressamente richiamato in ricorso. Specificazione questa di non poco momento, se solo si pensi alla possibilità di formare e depositare telematicamente il ricorso: tale modalità, infatti, non consente alla parte di sottoscrivere personalmente il documento, laddove invece è ben possibile richiamare espressamente nel ricorso, ancorché telematico, una dichiarazione cartacea – questa si firmata di proprio pugno dalla parte - e allegarla a mezzo scansione con le dovute formule di autenticazione da parte del difensore. Quanto al contenuto della dichiarazione sostitutiva, è stato altresì ulteriormente precisato che "l'interpretazione letterale elogico-finalistica della norma rende evidente che il legislatore non havoluto prevedere alcuna rigida formula per il soddisfacimento delsuddetto onere e soprattutto che si è limitato a subordinarel'esenzione esclusivamente alla tempestiva presentazione delladichiarazione suindicata, senza prevedere che, nell'ambito delladichiarazione stessa, debba essere contenuto anche l'impegno acomunicare le variazioni reddituali rilevanti. Di ciò si trova ulterioreconferma nel fatto che il rinvio al DPR n. 115/2002, art. 79 èlimitato ai commi 2 e 3 di tale articolo e non riguarda anche il comma1 ove - ai fini ivi previsti, di ammissione al patrocinio a spese delloStato - è specificamente indicato il contenuto dell'istanzadell'interessato, contenuto espressamente sanzionato conl'inammissibilità e comprendenteanche l'impegno ad effettuare la comunicazione delle variazionireddituali rilevanti” (Cass. 3 agosto 2016 n. 16132). Secondo la Suprema Corte è inoltre da escludere che la mancata, specifica indicazione della entità del reddito del nucleo familiare, renda la dichiarazione in questione inidonea all'esonero dalle spese. Anche sotto tale aspetto, il significato normativo da attribuire alla circostanza che il legislatore, nel delineare l'onere autocertificativo a carico dell'interessato, si sia limitato a richiamare i commi secondo e terzo dell'art. 79 DPR n. 115 del 2002 e non anche il comma primo, è da intendersi nel senso della non necessità di tale specifica indicazione e ciò, in una chiara ottica di semplificazione delle condizioni per l'accesso alla tutela giurisdizionale, del tutto coerente con la ratio ispiratrice della disciplina in tema di esonero dalle spese e con la esigenza di piena tutela di diritti costituzionalmente garantiti, quali quelli relativi alle prestazioni assistenziali e previdenziali (Cass. 29 novembre 2016 n. 24303) Costituisce, infine, assunto pacifico in sede di legittimità quello secondo cui tra le spese che non possono essere poste a carico dell'assicurato soccombente – a meno che la pretesa non risulti manifestamente infondata e temeraria – vanno ricomprese quelle relative alla consulenza tecnica d'ufficio, e ciò, secondo gli interpreti, sia per una ragione strettamente letterale – atteso che la disposizione in commento parla genericamente di spese, senza ulteriore specificazione, oltre che di competenze e onorari - sia per motivi di carattere sostanziale, in considerazione cioè del fatto che si tratta di costi necessitati dallo svolgimento di un'attività istruttoria richiesta dalla parte, ma rimessa in ultima istanza alla discrezionalità del giudice. Ne consegue che, in caso di soccombenza, se ricorrono le condizioni reddituali di cui all'art. 152 disp. att. c.p.c., nella statuizione sulle spese, quelle di consulenza vanno poste a carico dell'Inps (cfr. da ultima Cass. 5 agosto 2016 n. 16515). Ad analoghe conclusioni perviene anche Cass. 6 settembre 2016 n. 17644 secondo cui l'onere delle spese di consulenza tecnica d'ufficio non si sottrae alla comune disciplina delle spese processuali e pertanto le stesse, a norma dell'art. 152 disp. att. c.p.c., non possono gravare sul soccombente nei confronti del quale sussistano le condizioni per l'esonero previste dalla richiamata disposizione. Gli orientamenti della giurisprudenza di merito
Decisamente più rigorista, rispetto all'approccio interpretativo seguito in sede di legittimità, è la giurisprudenza di merito che, non di rado, contesta la validità sul piano formale delle dichiarazioni ex art. 152 disp. att. c.p.c.formulate in giudizio, negando pertanto l'operatività in concreto dell'esonero. Si ritiene, innanzitutto, non idonea allo scopo una dichiarazione sostitutiva di certificazione formulata in foglio separato ed allegata al fascicolo di parte che non venga in alcun modo richiamata nel corpo del ricorso, in quanto l'onere di formulare la conclusione nell'atto introduttivo ha la specifica funzione di assicurare che la consistenza della situazione reddituale dichiarata dalla parte ricorrente sia immediatamente conoscibile anche dagli enti pubblici convenuti, attraverso la notifica del ricorso, affinché essi possano compiere tempestivamente ogni utile accertamento al riguardo e sollecitare eventualmente il giudice a richiedere la produzione della documentazione necessaria ad accertare la veridicità di quanto indicato in tale dichiarazione, secondo quanto previsto dall'art. 79, comma 3, del D.P.R. n. 115/2002 (Corte Appello Napoli 23 novembre 2009). Ancora, viene giudicata non valida una dichiarazione che si limiti ad attestare la generica ricorrenza delle condizioni di cui all'art. 152 disp. att. c.p.c.senza la specifica determinazione del reddito complessivo. Tali conclusioni sono motivate dal fatto che se il criterio che deve ispirare l'accertamento circa la validità della dichiarazione è quello dell'astratta punibilità per dichiarazioni non conformi al vero, è evidente che la parte non può limitarsi a dichiarare genericamente che il reddito rientra nei limiti di legge ma deve fare espresso riferimento ad un reddito ben determinato ed esplicitamente riferito all'intero nucleo familiare. Diversamente, si svuoterebbe di significato la responsabilità penale assunta dalla parte la quale, in caso di accertato superamento dei limiti reddituali, non sarebbe mai punibile per una dichiarazione resa in forma generica con riferimento alle condizioni di legge piuttosto che all'effettivo ammontare del reddito, per l'impossibilità di provare il dolo del dichiarante (Tribunale di Napoli 31 marzo 2014). Deve inoltre segnalarsi la presenza di un nutrito numero di arresti in cui si sostiene che il regime delle spese di consulenza prescinde dall'art. 152 disp. att. c.p.c., con la conseguenza che, in caso di rigetto della domanda, le spese di consulenza dovrebbero essere poste a carico della parte soccombente, quindi anche del ricorrente che si trovi nelle condizioni per beneficiare dell'esonero di cui all'art. 152 disp. att..c.p.c. In altre pronunce si legge, invece, che il compenso dovuto al consulente è posto solidalmente a carico di tutte le parti, atteso che l'attività posta in essere dal professionista è finalizzata alla realizzazione del superiore interesse della giustizia, che invece non rileva nei rapporti interni tra le parti (Tribunale di Napoli Nord 21 febbraio 2016). In ogni caso, l'inoperatività dell'esenzione per difetto dei presupposti formali richiesti dalla norma, rende applicabile la disciplina di cui all'art. 92 c.p.cche consente comunque la compensazione delle spese in presenza di soccombenza reciproca o di altre gravi ed eccezionali ragioni. Ebbne, tali ragioni vengono individuate “nelle condizioni socioeconomiche della parte ricorrente come allegate in ricorso, benché non ritualmente ai sensi dell'applicazione dell'art. 152 disp att. c.p.c.” (Tribunale di Napoli 11 marzo 2014) o ancora nella circostanza che al ricorrente sia stata riconosciuta in sede giudiziale una percentuale invalidante di gran lunga superiore a quella riscontrata in sede amministrativa (Tribunale di Napoli Nord 6 marzo 2015). Ovviamente resta ferma la possibilità di compensare le spese anche nel caso in cui la parte privata sia vittoriosa: si legge, ad esempio, in alcune pronunce “sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese per intero, atteso che risulta confermato il giudizio della commissione medica, avendo il c.t.u. individuato una decorrenza del requisito sanitario successiva alla data della visita medica. L'accoglimento del ricorso deriva pertanto unicamente dall'aggravamento verificatosi in un momento successivo a quello in cui il procedimento amministrativo attivato dall'istante con la domanda richiamata in ricorso è stato portato a termine. In tale ottica, ferma la piena legittimità dell'operato delle pp.aa. interessate, la parte, anziché instaurare un procedimento giurisdizionale, ben avrebbe potuto proporre una nuova istanza in sede amministrativa per chiedere una nuova valutazione alla luce dell'intervenuto aggravamento” (Tribunale di Napoli 10 luglio 2011).
In conclusione
L'excursus giurisprudenziale compiuto sollecita alcune riflessioni finali. Alle soluzioni proposte dalla Corte di Cassazione - ferma nell'affermare che la disposizione in punto di esonero dal pagamento delle spese non impone all'interessato di formulare la dichiarazione sostitutiva secondo uno schema rigido e predeterminato, sintomo della condivisibile volontà di non tradire la ratio legis, che è quella di favorire la tutela giudiziale dei diritti – si frappongono sovente, come innanzi segnalato, approcci interpretativi delle corti di merito per così dire più disincantati, accomunati dallo sforzo di scoraggiare la proposizione di giudizi infondati e pretestuosi, avuto riguardo anche ai peculiari connotati pubblicistici che caratterizzano le controversie in argomento. Non può non prendersi atto, infatti, che, in un contesto oramai patologico, domina l'idea di fare comunque causa agli enti previdenziali, perché tanto, pure qualora la domanda non venisse accolta, il rischio di una condanna alle spese è meramente teorico. Ora, se è pur vero che il nostro sistema del contenzioso previdenziale ed assistenziale è finalizzato ad assicurare adeguata tutela giudiziale alle parti deboli – e trattasi, ad avviso di chi scrive, di teleologia irrinunciabile in uno stato di diritto – non può sottacersi che esso ha anche il macroscopico difetto di favorire, suo malgrado, la proliferazione di un contenzioso talora privo di fondamento, se non addirittura temerario e/o penalmente rilevante. E ciò si traduce in un inesorabile aggravio delle strutture degli uffici legali degli enti convenuti ed in un sovraccarico di lavoro per gli uffici giudiziari, oltre a determinare pesanti oneri a danno della finanza pubblica. In un'ottica di contemperamento dei valori di giustizia sostanziale ed effettività della tutela con l'interesse pubblico a non sovraccaricare inutilmente la macchina giudiziaria e alla repressione degli abusi si segnala l'iniziativa di molti tribunali italiani (Oristano, Rieti, Catania, solo per citarne alcuni) di pubblicare sul sito internet dell'ufficio giudiziario il fac-simile del modello di dichiarazione sostitutiva di certificazione ex art. 152 disp. att. c.p.c., giudicata valida dai magistrati di quel tribunale. Tale prassi consente alla parte privata di conoscere in anticipo quali sono gli oneri certificativi cui deve sottostare per beneficiare dell'esenzione dal pagamento delle spese in caso di soccombenza – senza temere una condanna “a sorpresa” – e al contempo, scoraggia efficacemente iniziative pretestuose, per la chiara assunzione di responsabilità che sottende.
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