Qual è il termine per la presentazione della istanza di liquidazione del compenso dell'avvocato di parte ammessa al gratuito patrocinio?
14 Aprile 2017
Massima
La parte non abbiente (nel caso di specie l'imputato) è legittimata a proporre opposizione avverso il provvedimento con il quale sia stata rigettata l'istanza di liquidazione del compenso del suo difensore, atteso che l'art. 170 d.P.R. 115/2002, cui rimanda l'art. 84 d.P.R. 115/2002, espressamente prevede la legittimazione a proporre impugnazione in capo sia al beneficiario che alla parte processuale. Se in linea generale unico soggetto a poter formulare “riserva” di presentare istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell'art. 109 d.P.R. 115/2002, è l'imputato che intende valersi del patrocinio e non anche il suo avvocato, tuttavia deve ritenersi efficace anche la riserva effettuata dal difensore alla presenza dell'imputato. L'art. 83, comma-3 bis, d.P.R. 115/2002, inserito dalla legge di stabilità per il 2016, non ha introdotto una decadenza dalla richiesta di liquidazione del compenso per il difensore della parte ammessa al patrocinio erariale, ricollegata alla chiusura della fase cui si riferisce l'attività svolta dallo stesso, bensì uno sbarramento temporale della potestas decidendi del giudice del procedimento. Il caso
Nel corso di una udienza preliminare, tenutasi il 10 febbraio 2016, e alla quale non era presente l'imputato, il difensore di questi formula riserva di presentare istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato per lo stesso. L'istanza viene presentata il successivo 26 febbraio, quindi dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio a carico dell'imputato, e viene accolta il 29 febbraio. L'istanza di liquidazione del compenso del difensore, presentata al Gup il 18 marzo 2016, viene rigettata sulla base del rilievo che la fase per la quale era stata chiesta la liquidazione – ovvero l'udienza preliminare del 10 febbraio 2016 – si era svolta e conclusa in data anteriore alla richiesta di ammissione della parte al patrocinio a spese dello stato e quindi in applicazione dell'art. 83, comma-3 bis, d.P.R. 115/2002, come introdotto dall'art. 1, comma 783, l. n. 208/2015 (legge di stabilità per l'anno 2016). L'imputato propone opposizione avverso tale provvedimento, ai sensi degli artt. 84 e 170 d.P.R. 115/2002 e art. 15 d. lgs. n. 150/2011 e il presidente del Tribunale, pur riconoscendo la legittimazione dell'opponente sulla scorta del principio riportato nella prima massima, rigetta il ricorso sulla base del principio espresso nella seconda massima. La questione
Il provvedimento in commento affronta tre distinte questioni in tema di patrocinio a spese dello Stato, due delle quali sono oggetto di contrasti giurisprudenziali. La prima questione attiene alla possibilità di riconoscere anche alla parte non abbiente la legittimazione a proporre opposizione, ai sensi degli artt. 84 e 170 d.P.R. 115/2002 e art. 15 d. lgs. n. 150/2011, avverso il rigetto della istanza di liquidazione del compenso per il difensore della stessa. Il secondo profilo esaminato riguarda l'individuazione del soggetto che nel giudizio penale può formulare, ai sensi dell'art. 109 d.P.R. 115/2002, riserva di presentare istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Infine la pronuncia fornisce una interpretazione dell'art. 83, comma 3-bis, d.P.R. 115/2002, introdotto dall'art. 1, comma 783, l. 208/205 (legge di stabilità per il 2016) che prevede che: “il decreto di pagamento è emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta”. Le soluzioni giuridiche
Il tribunale calabrese in via preliminare esamina d'ufficio il profilo della legittimazione dell'imputato, ammesso al patrocinio a spese dello Stato, ad opporre il rigetto dell'istanza di liquidazione del compenso del difensore del medesimo. Sul punto va chiarito, in linea generale, che la legittimazione a proporre il giudizio di cui agli artt. 84 e 170 d.P.R. spetta a chi sia in concreto interessato alla modifica del provvedimento opposto e, quindi, alla parte che veda rigettata la propria istanza di ammissione o revocata l'ammissione già disposta, come pure al difensore della parte ammessa, se egli contesti l'entità delle somme liquidate (Cass. civ. sez. VI, 12 agosto 2011, n. 17247); nonché naturalmente all'ufficio tributario, tenuto al pagamento in base al provvedimento di liquidazione. Con specifico riguardo all'opposizione al decreto di liquidazione del compenso per il difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato nel processo penale si registra peraltro un contrasto giurisprudenziale. Secondo un primo orientamento, per il combinato disposto degli art. 84 e 170 d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, legittimato all'opposizione avverso il decreto di pagamento del compenso al difensore è non solo quest'ultimo ma anche l'imputato che sia stato ammesso al beneficio (Cass. pen., sez. IV, 22 ottobre 2008 n. 39515). Altre pronunce, invece, hanno affermato, in maniera più condivisibile, che l'imputato ammesso al patrocinio, seppure astrattamente legittimato all'impugnazione, non ha in concreto alcun interesse alla rimozione del provvedimento, non potendo essere chiamato ad integrare il compenso del legale (stante il divieto di cui all'art. 85, comma 1, d.P.R. 115/2002) e non essendo neppure previsto nel processo penale, a differenza di quello civile, il recupero da parte dello Stato delle somme erogate ai difensori (Cass. pen. sez. IV, 20 novembre 2002 n.23131 e Trib. Potenza, 29 dicembre 2014). Tali considerazioni ben possono estendersi al caso, esaminato dal tribunale calabrese, dell'opposizione avverso il rigetto dell'istanza di liquidazione del compenso per il difensore di parte ammessa al patrocinio. A fronte di un simile esito infatti il professionista può comunque agire per il recupero del proprio credito nei confronti dello Stato nelle forme del giudizio ordinario o sommario e l'imputato non sarebbe quindi tenuto a farsi carico del relativo onere economico. La decisione del giudice lametino pertanto, seppure conforme ad un precedente della Suprema Corte (Cass. pen., sez. IV, 27 ottobre 2005 n. 46287), non è condivisibile. Con riguardo alla seconda questione il Tribunale di Lamezia Terme applica i principii espressi dalla Suprema Corte, e diffusamente richiamati nel provvedimento, che ha ritenuto efficace la riserva di presentare istanza di ammissione al patrocinio erariale formulata dal difensore alla presenza dell'imputato, in quanto l'eventuale atteggiamento silente di quest'ultimo deve essere inteso come adesivo alla richiesta del difensore, soggetto non a lui contrapposto, ma che con lui costituisce la medesima “parte” processuale e che è deputato ad agire nel suo interesse (Cass. pen. sez. IV 10 gennaio 2013 n. 183030; Cass. pen., Sez. Un. 31 gennaio 2008, n. 9977, con riferimento alla richiesta di rito abbreviato; Cass. pen., sez. VI, 16 febbraio 2011 n. 8492, per la richiesta di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.). In applicazione di tali principii il tribunale calabrese, avendo rilevato che alla udienza preliminare l'imputato era assente, giudica inefficace la riserva espressa dal difensore. Con riguardo all'ultimo profilo il decreto in commento, pur escludendo che l'art. 83 comma 3-bis d.P.R. 115/2002 abbia introdotto una decadenza per l'istanza di liquidazione del compenso, da ricollegarsi al momento dell'adozione del provvedimento che chiude la fase processuale al quale si riferisce la relativa richiesta, ha ritenuto che tale norma individui il momento ultimo entro il quale il giudice del procedimento può decidere sull'istanza di liquidazione. Dopo quel momento il giudice perderebbe il potere di provvedere, con la conseguenza che l'avvocato per recuperare il proprio credito potrà e dovrà ricorrere - ove non sia nel frattempo intervenuta prescrizione del diritto - agli strumenti di tutela ordinari e generali. Osservazioni
Quanto sostenuto dal giudice lametino in ordine alle conseguenze della novella citata nel paragrafo precedente è condivisibile solo in parte. Può infatti sicuramente convenirsi con lui che tale disposizione, che da un lato ha esplicitato come la liquidazione presupponga una corrispondente previa istanza, abbia introdotto un onere per il difensore della parte ammessa al patrocinio erariale di depositare la richiesta di liquidazione entro la chiusura della fase, a pena di inammissibilità o di decadenza. Tali conseguenze infatti non sono espressamente previste, risultando quindi palese la differenza rispetto all'istanza di liquidazione del compenso per l'ausiliario del giudice, per la quale l'art. 71 d.P.R. 115/2002 prevede che vada presentata “a pena di decadenza” entro il termine di cento giorni dal compimento delle operazioni (coincidente di norma con il deposito dell'elaborato peritale). Orbene, esclusa la possibilità di una applicazione analogica di quest'ultima previsione e in mancanza dell'espressa menzione di conseguenze processuali anche per l'istanza di liquidazione del compenso dell'avvocato, deve ritenersi che, con la norma sopra citata, il legislatore abbia semplicemente inteso raccomandare la liquidazione del compenso contestualmente alla definizione della fase, ribadendo però così quanto già poteva evincersi dal comma 2 del medesimo art. 83, ma senza realmente conseguire l'intento che si era prefisso, ovvero quello della accelerazione delle procedure di erogazione dei compensi a favore dei difensori delle parti ammesse al patrocinio statale. A tali considerazioni va aggiunto che l'interpretazione qui criticata comporta che il difensore della parte ammessa, per ottenere il compenso, dovrebbe proporre un autonomo giudizio nei confronti dello Stato, che si concluderebbe, con tutta probabilità, con una condanna dello stesso alla rifusione delle spese, e quindi un iter maggiormente oneroso per l'amministrazione (per le medesime considerazioni cfr. Trib. Verona 8 aprile 2016; Trib. Mantova 22 settembre 2016). Non convince invece la seconda parte del ragionamento del giudice calabrese, che, peraltro, sul punto è in linea con un'altra pronuncia di merito (Trib. Milano 22 marzo 2016). Infatti la nuova norma non prevede espressamente l'esaurimento del potere decisorio del giudice, una volta conclusosi il giudizio, e comunque il suo riconoscimento implica di fatto l'introduzione di una decadenza per la presentazione dell'istanza. A ben vedere l'indirizzo giurisprudenziale qui in esame applica al caso di specie i principii affermati dalla Corte di Cassazione con riguardo alla liquidazione del compenso del c.t.u., anche nel giudizio senza parti ammesse al patrocinio erariale. La Suprema Corte ha infatti ripetutamente affermato che il decreto di liquidazione del compenso al c.t.u. non può essere emesso dopo che il giudizio nel quale il consulente ha espletato il mandato sia stato definito con sentenza che contenga la pronuncia sulle spese processuali. E' opportuno però chiarire che solo uno di quei precedenti (Cass. civ. sez. II, 31 marzo 2006, n. 7633) si riferiva all'ipotesi dell'istanza di liquidazione presentata dopo la pronuncia della sentenza giacchè altri (Cass. civ.sez. III, 3 luglio 2008, n. 18204 e Cass. 22 luglio 2003 n. 11418) hanno riguardato l'ipotesi, ben diversa, in cui il giudice aveva provveduto sulla istanza dopo l'estinzione del giudizio. In tutti quei casi si è detto che il c.t.u. può comunque far valere il suo credito nei confronti delle parti mediante altro giudizio (ordinario o monitorio). Orbene, la prima decisione non pare aver considerato che la definizione del giudizio con sentenza non comporta il venir meno della potestas iudicandi, atteso che alcune norme la riconoscono espressamente anche dopo quel momento. Si pensiall'art. 287 c.p.c in tema di correzione di errore materiale o all'art. 669-quater, quarto comma, c.p.c., che attribuisce al giudice che ha pronunciato la sentenza la competenza a decidere sull'istanza cautelare presentata nella pendenza del termine per proporre impugnazione. Non si vede quindi perché il giudice, una volta che il giudizio si sia concluso, e ad eccezione del caso si sia estinto, non possa anche liquidare il compenso del c.t.u. o quello dell'avvocato di parte ammessa al patrocinio. A prescindere da tali considerazioni ostano poi all'estensione dei principii sopra riportati al caso dell'istanza di liquidazione del compenso dell'avvocato successiva alla definizione del giudizio le medesime ragioni di economia processuale di cui si è detto. Anche tale soluzione infatti comporta che l'avvocato debba promuovere un autonomo giudizio nei confronti dello Stato per ottenere il compenso, con conseguenti maggiori oneri per lo stesso (così anche Trib. Paola, 14 ottobre 2016). Ferme restando le predette conclusioni, è comunque opportuno che la liquidazione del compenso spettante all'avvocato della parte non abbiente avvenga, nei limiti del possibile, contestualmente all'adozione del provvedimento che definisce il giudizio, non solo per rispettare formalmente il dato normativo (ex art. 83, comma 2, d.P.R. 115/2002, “la liquidazione è effettuata al termine di ciascuna fase o grado del processo”), ma soprattutto per consentire, nel caso di soccombenza della parte abbiente, la condanna della stessa in favore dello Stato ai sensi dell'art. 133, previa verifica che il presupposto di essa permane. In tale prospettiva, qualora il giudice intendesse disporre accertamenti sulla situazione reddituale del beneficiato, dovrebbe avere l'accortezza di farlo con congruo anticipo rispetto al momento della decisione per evitare di dover rinviare quest'ultima in attesa di conoscere l'esito di quelli. |