Banche in crisi: ecco l'arbitrato per l'accesso al fondo di solidarietàFonte: DM 9 maggio 2017 n. 83
21 Agosto 2017
La questione in generale
Il decreto riguarda quegli investitori che alla data del 23 novembre 2015 detenevano «strumenti finanziari subordinati» emessi dalle quattro menzionate banche, il che suggerisce anzitutto di rammentare che tali strumenti, ed in primo luogo le obbligazioni subordinate, sono contemplati dall'art. 2411 c.c., nella versione introdotta nel 2003. A differenza delle azioni, che comportano l'appartenenza dell'azionista alla compagine sociale, le obbligazioni societarie sono titoli di credito (normalmente, se non si tratta di titoli dematerializzati, vi è una carthula denominata «certificato obbligazionario») emessi in occasione di operazioni di finanziamento poste in essere dalla società, facendosi dare a mutuo denari dagli obbligazionisti, con l'impegno di restituire ad una certa data (che però in certi casi può anche mancare) il capitale addizionato di interessi: in breve, l'azionista è un socio, e come tale partecipa nel bene e nel male delle vicende della società; l'obbligazionista è un creditore della società, per averla finanziata, sicché dovrebbe essere almeno in linea di principio estraneo agli eventuali travagli che possono colpire la società. In realtà, tuttavia, la fisionomia delle obbligazioni societarie è andata man mano evolvendosi fino a scolorirsi, in un passato ormai remoto a seguito dell'introduzione del congegno della convertibilità delle obbligazioni in azioni, più di recente attraverso la creazione della figura delle obbligazioni subordinate. Si tratta in breve di questo, secondo quanto stabilisce il citato art. 2411: che il diritto degli obbligazionisti ad ottenere la restituzione del capitale e degli interessi può essere, in tutto o in parte, subordinato alla soddisfazione dei diritti di altri creditori della società. Sicché, se la società va in crisi, può accadere che gli obbligazionisti subordinati non vengano rimborsati, o vengano rimborsati solo in parte, perché occorre saldare il credito di altri creditori destinati ad essere preferiti. Ecco, dunque, che le obbligazioni subordinate comportano rischi elevati per l'investitore: e per questo danno rendimenti elevati che li rendono appetibili. La qual cosa sta a significare, in parole povere, che gli investitori li acquistano proprio perché sono rischiosi, in misura in qualche modo paragonabile al rischio che comporta l'investimento in azioni, l'investimento — per l'appunto — in capitale di rischio. Naturalmente, una volta che la partita sia andata male, non è d'uso che l'investitore c.d. retail (il risparmiatore, ma anche l'impresa, società o altro che non sia qualificabile come cliente professionale) addebiti a se stesso di aver corso un rischio eccessivo: la colpa viene in genere senza meno addebitata al pravo comportamento dell'emittente, che, menando per il naso l'ingenuo investitore, lo ha spinto ad un investimento che egli mai e poi mai avrebbe fatto se fosse stato debitamente informato — ecco il tema dell'asimmetria informativa — del rischio in ballo. In questo caso, fallite le quattro banche, le proteste inscenate dagli investitori hanno avuto ampia eco attraverso i mass media, sicché è intervenuto il legislatore con la legge finanziaria 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208, commi 855-861 dell'art. 1), che ha istituito un apposito Fondo di solidarietà per l'erogazione di prestazioni in favore degli investitori in questione, gestito dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, investitori che siano, beninteso, persone fisiche, imprenditori individuali, nonché imprenditori agricoli o coltivatori diretti, prevedendo l'adozione di diversi regolamenti attuativi, volti tra l'altro a determinare le modalità e le condizioni di accesso al Fondo, i criteri di quantificazione delle prestazioni e le procedure da esperire, ivi comprese procedure di natura arbitrale. Il regolamento adottato con il recente decreto è diretto appunto a disciplinare la procedura arbitrale attraverso la quale l'investitore può ottenere un ristoro del pregiudizio subito, destinato ad operare a carico del Fondo. Soggetti legittimati
Bisogna anzitutto dire che l'accesso alla procedura arbitrale non è dato a tutti gli investitori retail: è dato alla persona fisica, imprenditore individuale, anche agricolo, e coltivatore diretto, ovvero al suo successore mortis causa (precisazione, quest'ultima, che appare invero superflua), che abbia acquistato gli strumenti finanziari subordinati «nell'ambito di un rapporto negoziale diretto con la Banca in liquidazione che li ha emessi». E cioè, il ricorso al Fondo non compete a chi abbia acquistato tali strumenti in altro modo, ad esempio dal titolare che li abbia in precedenza acquistati dalla banca, il che è d'altronde del tutto ovvio, dal momento che, a monte del ristoro riservato all'investitore, vi è, come vedremo, una condotta di inadempimento della banca, la quale sia venuta meno ai propri obblighi informativi. Il trasferimento degli strumenti finanziari per atto tra vivi, dunque, secondo espressa previsione normativa, consente l'accesso al Fondo solo nell'ipotesi in cui abbia avuto luogo in favore del coniuge, del convivente more uxorio, dei parenti entro il secondo grado. Bisogna aggiungere che ad alcuni investitori è stata offerta un'alternativa, che consente di accedere direttamente al Fondo, senza passare per il procedimento arbitrale. La materia è regolata da una diversa disposizione, l'art. 9, commi 1-9, del d.l. 3 maggio 2016, n. 59, convertito, con modificazioni dalla legge 30 giugno 2016, n. 119, che consente di ottenere un indennizzo forfetario dell'80% (su cui gravano taluni oneri, spese e rendimenti già conseguiti) del corrispettivo pagato per l'acquisto degli strumenti finanziari, ma soltanto a coloro i quali abbiano un patrimonio mobiliare di valore inferiore a € 100.000 e siano titolari di un reddito Irpef inferiore a € 35.000 annui. Costoro hanno dovuto fare istanza di erogazione dell'indennizzo entro il termine di decadenziale del 31 maggio 2017. La ratio dell'accesso all'arbitrato è condensata nel comma 2 dell'art. 3 del decreto in commento, ove è stabilito che l'accesso, tramite la procedura arbitrale, al Fondo di solidarietà e le relative prestazioni costituiscono «modalità di ristoro del pregiudizio subito dall'investitore in ragione della violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento relativi alla sottoscrizione e al collocamento degli strumenti finanziari subordinati». In buona sostanza, cioè, attraverso l'arbitrato gli investitori possono far valere le medesime violazioni degli obblighi informativi, nel senso più ampio, previsti dal Tuf, di cui potrebbero dolersi dinanzi al giudice, invocando la tutela prevista dal menzionato testo normativo, e dai collegati Regolamenti Consob, nei limiti in cui essa è riconosciuta dalla giurisprudenza secondo le regole di base elaborate dalla notissima Cass., Sez. Un. 19 dicembre 2007, n. 26724 e dalla giurisprudenza seguente. Vale osservare che il legislatore mostra di essere attento a non impiegare l'espressione «risarcimento del danno», che risponde per sua natura ad un connotato di integralità, optando per un anodino «ristoro del pregiudizio», mentre di «risarcimento del danno» si discorre nel successivo art. 4, nel quale è sancita la regola dell'alternatività tra il ricorso alla procedura arbitrale e l'introduzione della domanda giudiziale. Secondo tale disposizione, difatti, resta salva la facoltà di proporre dinanzi all'autorità giudiziaria azione per il risarcimento del danno nei confronti del soggetto ritenuto responsabile, ma la proposizione di tale azione è causa di improcedibilità del ricorso alla procedura arbitrale. La medesima azione, proposta in pendenza del giudizio arbitrale, impedisce la pronuncia o l'efficacia del lodo nei confronti del Fondo. Per la verità, tuttavia, non sembra che l'investitore, per il tramite del giudizio arbitrale, sia destinato ad ottenere meno di quanto percepirebbe all'esito del giudizio ordinario, sicché la convenienza del ricorso all'arbitrato appare evidente. Il ristoro a carico del Fondo può difatti essere riconosciuto, ai sensi dell'art. 7 del decreto, sempre che risulti la violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza di cui si è detto, da accertarsi in sede arbitrale, nella misura ritenuta congrua dal Collegio arbitrale sulla base di una valutazione del caso concreto, fino ad un massimo corrispondente all'intera perdita subita dall'investitore al netto di oneri, spese e differenziale di rendimento, il tutto liquidato a norma dell'art. 2056, comma 1, c.c. (norma il richiamo suscita qualche perplessità, dal momento che la responsabilità per violazione degli obblighi informativi si presenta perlopiù quale responsabilità contrattuale), il che chiama in gioco l'operatività dell'art. 1223 c.c., e dunque dei criteri del danno emergente e del lucro cessante, dell'art. 1227 c.c., e dunque del concorso del creditore, nonché dell'art. 1226 c.c., che disciplina la liquidazione equitativa del danno non suscettibile di essere provato nel suo preciso ammontare. Sembra cioè da ritenere che, sul piano del quantum, la liquidazione operata in sede arbitrale non sarà apprezzabilmente diversa da quella che farebbe il giudice ordinario, essendo soltanto previsto dal citato art. 7 che dall'importo a favore dell'investitore debba essere defalcato, oltre che gli oneri e spese direttamente connessi all'operazione di acquisto della proprietà degli strumenti finanziari subordinati, l'importo dei rendimenti dal medesimo investitore percepiti, al netto, però, del rendimento dei Buoni del Tesoro. È cioè, in pratica, l'investitore rimasto vittima della violazione degli obblighi informativi verrà a trovarsi nella posizione di chi, al momento dell'operazione, avesse investito non già in obbligazioni subordinate, ma, più prudentemente, in Buoni del Tesoro. Il procedimento arbitrale
Il procedimento arbitrale, che è gratuito per le parti, si introduce con ricorso. È fondamentale osservare che il ricorso deve essere presentato entro un preciso termine di decadenza, che il decreto fissa in «quattro mesi dalla data dell'offerta di cui all'art. 3, comma 3». Secondo tale norma il Fondo, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione del decreto, e cioè dal 13 giugno 2017, propone agli investitori, nelle forme dell'offerta al pubblico, la facoltà di determinazione del ristoro di cui si è detto mediante arbitrato. Alla data in cui è licenziato questo commento non sembra peraltro che l'offerta al pubblico sia stata effettuata, sicché, per l'individuazione del termine di decadenza, occorrerà computare un quadrimestre dalla data dell'effettuazione dell'offerta. Alla luce del decreto, che rinvia altresì per quanto non previsto al codice dell'amministrazione digitale (d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82), il ricorso è redatto avvalendosi esclusivamente di apposito modulo reso disponibile nel sito internet istituzionale della Camera arbitrale (la Camera arbitrale per i contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture di cui all'art. 210 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) ed è presentato in via telematica mediante posta elettronica certificata ovvero, a scelta del ricorrente, su supporto cartaceo al Collegio arbitrale di cui al comma 859 dell'art. 1 della già citata legge finanziaria 2016 (si veda in proposito il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri28 aprile 2017, n. 82, «Regolamento recante criteri e modalità di nomina degli arbitri, supporto organizzativo alle procedure arbitrali e modalità di funzionamento del collegio arbitrale per l'erogazione, da parte del Fondo di solidarietà, di prestazioni in favore degli investitori, a norma dell'art. 1, comma 859, della legge 28 dicembre 2015, n. 208»). In breve, all'esito del decreto che concerne l'istituzione del collegio arbitrale, gli investitori in strumenti finanziari subordinati di banche in liquidazione che vogliono accedere al Fondo di solidarietà tramite la procedura arbitrale possono presentare ricorso esclusivamente attraverso l'apposito modulo da trasmettere al seguente indirizzo: arbitrato.banche@pec.anticorruzione.it. In alternativa, ove il ricorrente non risulti assistito, il ricorso può essere presentato su supporto cartaceo e inviato al Collegio arbitrale presso la sede dell'ANAC - Via M. Minghetti, 10 - 00187 Roma. Il modulo è reperibile all'indirizzo https://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/Autorita/CameraArbitrale/collegioArbitrale. Il ricorso deve contenere:
Con il ricorso l'investitore deve fornire le informazioni necessarie ed esporre le circostanze rilevanti a fondamento della pretesa, nonché allegare ad esso i seguenti documenti:
Quando l'investitore non dispone, neanche in copia, di uno o più degli atti e documenti di cui al comma 5, ne fa espressa menzione nel ricorso, specificando se essi non sono stati sottoscritti dall'investitore medesimo o se non ne ha ricevuto copia dalla banca, ovvero se ne ha perduto la disponibilità. In tali casi gli atti sono trasmessi dalla Banca che ne è in possesso. Al fine dell'accertamento dell'avvenuta violazione e della determinazione arbitrale della prestazione di ristoro il ricorrente fornisce le informazioni che ritiene rilevanti. È da credere che sia suo onere, secondo le regole generali, provare l'esistenza dell'obbligazione e dedurre l'inadempimento degli obblighi informativi, indicando cioè ciò che la banca al momento dell'acquisto avrebbe dovuto dirgli e non gli ha detto. Spetterà al Fondo provare che il dedotto inadempimento non vi è stato. La presentazione del ricorso al Collegio arbitrale vale quale accettazione irrevocabile dell'offerta di determinazione arbitrale della prestazione. Una volta presentato il ricorso, il procedimento si svolge come segue:
Il Collegio, quando accerta l'avvenuta violazione degli obblighi di informazione, diligenza e trasparenza previsti dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, pronuncia lodo secondo diritto non soggetto a deposito a norma dell'art. 825 c.p.c., con il quale determina la prestazione liquidandone l'ammontare. In caso di determinazione favorevole, il Fondo dà immediata esecuzione al lodo. Il lodo dev'essere pronunciato anche quando le parti convengono espressamente sul contenuto della prestazione dovuta. |