Opposizione agli atti esecutivi e principio del contraddittorio nell'esecuzione forzata

Giuseppe Lauropoli
03 Ottobre 2016

Il provvedimento con il quale il giudice dell'esecuzione, a seguito di emissione di decreto di trasferimento dell'immobile soggetto ad esecuzione forzata, disponga l'assegnazione dei beni mobili presenti all'interno dell'immobile in favore dell'aggiudicatario dell'immobile stesso deve essere opposto nelle forme previste dall'art. 617, comma 2, c.p.c.
Massima

Il provvedimento con il quale il giudice dell'esecuzione, a seguito di emissione di decreto di trasferimento dell'immobile soggetto ad esecuzione forzata, disponga l'assegnazione dei beni mobili presenti all'interno dell'immobile in favore dell'aggiudicatario dell'immobile stesso deve essere opposto nelle forme previste dall'art. 617, comma 2, c.p.c.

La sentenza con la quale il giudice al quale è sottoposta l'opposizione agli atti esecutivi dichiari inammissibile la proposta opposizione per tardiva proposizione della stessa non viola, anche allorché la tardività sia stata dichiarata su rilievo d'ufficio e in assenza di previa instaurazione del contraddittorio, né l'art. 101, comma 2, c.p.c., né l'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali, dovendosi ritenere che il contraddittorio non debba necessariamente essere previamente suscitato quando si tratti di questioni di rito che la parte dotata di una minima diligenza processuale avrebbe potuto e dovuto attendersi o prefìgurarsi.

Il caso

Nel corso di una procedura esecutiva immobiliare era stato disposto dal giudice dell'esecuzione il trasferimento dell'immobile oggetto di esecuzione forzata.

Essendo stati rinvenuti dall'aggiudicatario dell'immobile alcuni beni mobili all'interno dello stabile oggetto di trasferimento, il giudice dell'esecuzione immobiliare aveva disposto l'assegnazione di tali beni all'aggiudicatario dell'immobile.

Avverso un tale provvedimento di assegnazione dei beni aveva proposto opposizione agli atti esecutivi l'esecutato: tale opposizione veniva proposta mediante citazione, notificando l'atto introduttivo dell'opposizione entro il termine di venti giorni dalla conoscenza legale del provvedimento di assegnazione e provvedendo successivamente a depositare in cancelleria tale opposizione.

Il Tribunale, al quale veniva sottoposta l'opposizione agli atti esecutivi proposta dall'originario esecutato, si pronunciava per l'inammissibilità della stessa, essendo stata la medesima depositata successivamente al termine di venti giorni dalla conoscenza legale del provvedimento di assegnazione.

Avverso tale pronuncia, la parte soccombente, ossia l'originario esecutato della procedura esecutiva immobiliare, proponeva ricorso per cassazione per diversi motivi.

Da un lato, veniva rilevata la nullità del provvedimento reso dal giudice dell'esecuzione nel corso di una procedura esecutiva immobiliare, col quale era stata disposta l'assegnazione, in favore dell'aggiudicatario del bene immobile, di alcuni mobili presenti all'interno dello stesso.

Dall'altro, veniva denunciata una violazione del diritto al contraddittorio, dal momento che la tardività della opposizione era stata pronunciata dal Tribunale su rilievo d'ufficio, in assenza di previa instaurazione del contraddittorio fra le parti, con l'effetto che ben a ragione poteva sostenersi che si configurasse una decisione “a sorpresa” da parte del Tribunale.

La Suprema Corte, nella pronuncia in commento, affronta in modo approfondito tutte le questioni sottoposte al suo esame, facendo applicazione di consolidati principi posti a base della sua giurisprudenza.

Le questioni

Due le questioni principali poste alla S.C. nella fattispecie in esame.

In primo luogo, veniva in rilievo la possibilità per il giudice dell'esecuzione immobiliare di assegnare all'aggiudicatario dell'immobile anche i beni mobili rinvenuti in loco.

In secondo luogo, era sottoposta all'esame della Corte di legittimità la questione afferente la possibilità per il giudice di rilevare d'ufficio l'intervenuta decadenza dal termine per la proposizione dell'opposizione agli atti esecutivi, senza previamente sottoporla al contraddittorio tra le parti.

La soluzione giuridica

La prima questione che viene affrontata è quella concernente la contestata legittimità del provvedimento del giudice dell'esecuzione immobiliare che aveva disposto la assegnazione all'aggiudicatario dei beni mobili presenti all'interno dell'immobile oggetto di aggiudicazione.

La Suprema Corte osserva anzitutto che i beni rinvenuti dal custode all'interno dell'immobile al momento della sua liberazione saranno regolati sulla base dell'art. 609 c.p.c.

I Giudici rilevano come il provvedimento di assegnazione assunto dal giudice dell'esecuzione certamente presenti taluni elementi di criticità: da un lato, non è affatto pacifico che il provvedimento sui beni mobili rinvenuti all'interno dell'immobile oggetto di trasferimento debba essere assunto dal giudice dell'esecuzione immobiliare (dal momento che, quanto meno in caso di non spontaneo rilascio dell'immobile a seguito dell'aggiudicazione, dovrà procedersi in via esecutiva per rilascio e in seno a tale seconda procedura esecutiva dovranno essere espletati gli incombenti previsti dall'art. 609 c.p.c.); dall'altro, deve comunque escludersi che in forza dell'art. 609 c.p.c. (tanto nella formulazione vigente anteriormente all'entrata in vigore del d.l. n. 132 del 2014, quanto nella formulazione attualmente vigente) il giudice dell'esecuzione possa assumere un provvedimento di assegnazione dei beni mobili rinvenuti all'interno dell'immobile oggetto di rilascio.

Tuttavia devono essere contestate con le modalità apprestate dalla disciplina generale dettata in tema di processo esecutivo e, quindi, facendo ricorso ad opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617, comma 2, c.p.c.; davvero residuali sono infatti i casi di opposizione agli atti esecutivi la cui proponibilità - in considerazione della abnormità dell'atto esecutivo posto in essere dal giudice dell'esecuzione e della idoneità di un tale atto a pregiudicare anche il prosieguo dell'esecuzione - possa reputarsi svincolata dagli stringenti limiti di decadenza imposti dall'art. 617, comma 2, c.p.c.

Né poi - e questa è l'ultima importante questione affrontata dai giudici di legittimità nella sentenza che si annota – può sostenersi che nel caso in esame possa ascriversi alla sentenza con la quale il Tribunale si è pronunciato per la inammissibilità della opposizione agli atti esecutivi un profilo di violazione di legge per mancata instaurazione del contraddittorio: anche allorché il profilo di inammissibilità venga rilevato d'ufficio dal giudice e posto a base della propria decisione, senza averlo preventivamente sottoposto all'esame delle parti, deve comunque ritenersi che non sia ravvisabile alcuna violazione, né dei principi costituzionali, né della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali (come interpretata dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo), ogni qual volta la questione rilevata d'ufficio sia questione «di rito che la parte dotata di una minima diligenza processuale avrebbe potuto e dovuto attendersi o prefìgurarsi».

Osservazioni

La prima questione sulla quale appare utile soffermarsi è quella che riguarda il trattamento da riservare ai beni rinvenuti all'interno dell'immobile oggetto di rilascio.

Nella prassi è alquanto comune che in sede di rilascio di un bene immobile vengano rivenuti all'interno di tale bene dei mobili che non debbano essere consegnati all'esecutante (ad esempio a seguito di una espropriazione immobiliare, che per definizione ha ad oggetto il solo bene immobile e non i mobili presenti al suo interno; oppure nel caso di rilascio del bene immobile disposto a seguito di provvedimento di sfratto o di finita locazione, allorché il conduttore, una volta costretto a lasciare l'immobile occupato, ometta di asportare i beni mobili presenti all'interno dello stesso).

In genere si tratta di beni di modesto valore (si pensi al caso di vestiario usato o di arredi inutilizzabili): tuttavia la presenza degli stessi pone non pochi problemi all'esecutante per rilascio, il quale, se l'esecutato non si attiva per ritirarli, è costretto a farsi carico della custodia di tali beni.

Quanto al trattamento da riservare ai beni mobili rivenuti all'interno dell'immobile oggetto di rilascio, ben poche indicazioni forniva, per la verità, l'art. 609 c.p.c. nella formulazione vigente anteriormente alle modifiche apportate a tale disposizione ad opera dell'art. 19, d.l. n. 132 del 2014.

Nel sostanziale silenzio della norma, tanto la giurisprudenza di merito, quanto la dottrina, avevano elaborato alcune possibili soluzioni.

Innanzi tutto era stato osservato come, allorché i beni mobili in questione fossero stati privi di valore, gli stessi avrebbero dovuto considerarsi alla stregua di res derelictae, e come tali suscettibili di occupazione ai sensi degli artt. 922 e ss. c.c.

Negli altri casi, invece, sarebbe stato possibile per l'esecutante per rilascio che intendesse “liberarsi” dei beni mobili in questione, far riferimento alla disposizioni dettate in tema di mora del creditore, con le modalità previste dagli artt. 1210 e 1211 c.c., formalizzando una offerta reale dei beni nei confronti dell'avente diritto alla restituzione dei mobili e procedendo quindi, previa autorizzazione del Tribunale, alla vendita degli stessi con le modalità previste per le cose date in pegno.

Un tale assetto del trattamento dei beni mobili rinvenuti all'interno dell'immobile oggetto di rilascio è stato ora significativamente innovato ad opera dell'art. 19 del d.l. n. 132 del 2014 che ha novellato il testo dell'art. 609 c.p.c.: è stato così introdotto un articolato meccanismo che favorisce, alternativamente, la vendita di tali beni mobili o la distruzione e lo smaltimento degli stessi.

Ecco che, sia che si faccia riferimento alle prassi in uso nei Tribunali anteriormente all'entrata in vigore della novellata formulazione dell'art. 609 c.p.c., sia che si faccia riferimento a tale novellato testo, comunque lo “smaltimento” dei beni mobili rinvenuti all'interno dell'immobile oggetto di rilascio passa attraverso un meccanismo che prevede il coinvolgimento dell'avente diritto alla restituzione dei beni e che tendenzialmente esclude la possibilità di una assegnazione diretta di detti beni all'esecutante in rilascio.

Altra questione sulla quale pare utile soffermarsi è quella concernente alcuni limiti e condizioni di proponibilità della opposizione agli atti esecutivi.

È noto che l'opposizione agli atti esecutivi è il rimedio mediante il quale è possibile contestare i vizi di un provvedimento posto in essere nel corso dell'esecuzione.

Tale opposizione, laddove proposta in corso di esecuzione, deve essere introdotta nel termine di venti giorni dal compimento dell'atto esecutivo che si intenda contestare (art. 617, comma 2, c.p.c.); a ben vedere, si tratta di un ristretto termine temporale finalizzato a garantire la stabilità del processo esecutivo, favorendo la conservazione degli atti esecutivi non tempestivamente contestati.

Tuttavia, deve osservarsi come sulla base di un consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità taluni vizi, riconducibili nell'ambito dell'inesistenza e della “nullità insanabile”, possano essere contestati con opposizione agli atti esecutivi anche prescindendo da un tale ristretto limite temporale, sempre però che gli stessi siano dedotti quanto meno entro la chiusura della fase del processo esecutivo nel corso della quale tale atto viziato è stato posto in essere (Cass. civ., sez. un., 27 ottobre 1995 n. 11178 e Cass. civ., 29 settembre 2009 n. 20814).

Con riguardo, poi, a taluni vizi, la cui gravità sia idonea a pregiudicare la stessa possibilità per la procedura esecutiva di raggiungere il proprio scopo, la stessa giurisprudenza ammette la possibilità di dedurre gli stessi anche dopo la chiusura della fase processuale nel corso della quale l'atto viziato sia stato posto in essere.

Ora, nel caso sottoposto all'esame della Cassazione nella sentenza che si annota, i giudici di legittimità hanno osservato come con riferimento al provvedimento di assegnazione dei beni mobili in favore dell'aggiudicatario dell'immobile non sussistano i presupposti per ravvisare un vizio talmente grave da poter essere sollevato anche oltre il termine di venti giorni dal compimento dell'atto e persino oltre la chiusura della fase processuale entro la quale lo stesso è stato posto in essere, dal momento che un tale provvedimento ha pur sempre avuto l'effetto di agevolare, e non di ostacolare, il raggiungimento dello scopo della procedura esecutiva immobiliare.

Ultima questione sulla quale appare utile soffermarsi è quella che concerne la legittimità di una sentenza fondata su una questione rilevata d'ufficio dal giudice senza la previa instaurazione del contraddittorio sul punto.

Nella sentenza che si annota la Suprema Corte, come esposto in precedenza, giunge a ritenere insussistente l'ipotizzato vizio di legittimità della sentenza, facendo applicazione tanto della consolidata giurisprudenza di legittimità espressasi sul punto, quanto della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.

Come noto, alcuni fondamentali principi, tanto di matrice costituzionale, quanto di origine sovranazionale, prescrivono che il processo si svolga nel contraddittorio delle parti (si vedano, in particolare, l'art. 111, comma 2, Cost. e l'art. 6, par. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali).

Una delle modalità attraverso le quali si estrinseca un tale principio è quella da ultimo positivamente stabilita nel comma 2 dell'art. 101 c.p.c., laddove si prevede che il giudice che intenda porre a base della sua decisione una questione rilevata d'ufficio debba preventivamente consentire alle parti di dedurre sul punto.

Tuttavia, deve segnalarsi come la Suprema Corte a più riprese abbia ritenuto che la decisione fondata su questioni di puro diritto rilevate d'ufficio dal giudice senza previa instaurazione del contraddittorio non comporti la nullità della pronuncia (si veda, fra le molte pronunce, Cass. civ., sez. un., del 30 settembre 2009, n. 20935).

La sentenza che si annota si preoccupa, in particolare, di verificare se l'appena esposto consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità possa reputarsi in linea con la menzionata Convenzione Europea, nella interpretazione fornitane dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.

La Suprema Corte giunge a ritenere un tale consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità senz'altro conforme all'art. 6, par. 1, della Convenzione Europea, nell'interpretazione fornitane dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (si veda in particolare, Corte Eur. Dir. Uomo, IV sez., su ricorso n. 4687/11, Liga portuguesa de futebol pro fissional contro Portogallo), quanto meno ogni qual volta la decisione sia stata assunta sulla base di una questione di rito «che la parte dotata di una minima diligenza processuale avrebbe potuto e dovuto attendersi o prefìgurarsi»

Deve ritenersi certamente riconducibile osserva ancora la Corte, nell'ambito di tali questioni che la parte diligente avrebbe potuto e dovuto prefigurarsi, quella che attiene alla ammissibilità della domanda per rispetto di forme o termini di proposizione della domanda (nel caso sottoposto all'esame della Cassazione, lo si ripete, il Tribunale aveva dichiarato inammissibile, per tardiva proposizione, la opposizione agli atti esecutivi formalizzata da parte opponente).

Guida all'approfondimento

CASTORO e N. CASTORO, Il processo esecutivo nel suo aspetto pratico, Milano, 2015 e in Codice di Procedura Civile Commentato, a cura di F. Di Marzio, Milano, 2016;

TRAPUZZANO, Il rilievo d'ufficio delle questioni alla luce del principio del contraddittorio, in Giustiziacivile.com, 21 ottobre 2014.

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