La sanatoria dell'eccezione di nullità della prova testimoniale per incapacità del teste irritualmente sollevata

Vito Amendolagine
04 Gennaio 2017

La nullità della testimonianza resa da persona incapace ai sensi dell'art. 246 c.p.c. deve essere contestata subito dopo l'espletamento della prova e qualora detta eccezione venga respinta o comunque ignorata dal giudice di prime cure, la parte interessata ha l'onere di riproporla anche nei successivi atti di impugnazione.
Massima

La nullità della testimonianza resa da persona incapace ai sensi dell'art. 246 c.p.c. deve essere contestata subito dopo l'espletamento della prova e qualora detta eccezione venga respinta o comunque ignorata dal giudice di prime cure, la parte interessata ha l'onere di riproporla anche nei successivi atti di impugnazione compreso il giudizio di legittimità, nel quale va altresì allegata la dimostrazione della tempestività della suddetta eccezione, in difetto, dovendo ritenersi sanata l'eventuale nullità derivante dall'incapacità dei testi per l'irritualità della relativa eccezione.

Il caso

La presente fattispecie attiene alla invocata nullità della testimonianza resa in un giudizio da persona incapace in quanto portatrice di un interesse che avrebbe potuto legittimare il suo intervento nello stesso processo ed alle conseguenze se detta nullità debba o meno ritenersi sanata in mancanza di tempestiva eccezione ovvero se l'eccezione di nullità della testimonianza comunque ammessa ed assunta nonostante la previa opposizione della parte interessata debba essere riproposta successivamente in sede di gravame dalla stessa parte interessata qualora non sia stata presa in considerazione dal giudice di prime cure.

La questione

La quaestio juris sottoposta all'attenzione del giudice di legittimità attiene all'immotivata omessa valutazione da parte della Corte di merito dell'eccezione di incapacità a testimoniare sollevata ai sensi degli artt. 246 e 247 c.p.c. dal difensore di una delle parti in causa con la terza memoria ex art. 183 c.p.c. dinanzi al giudice di prime cure.

Il ricorso per cassazione attiene quindi alla riscontrata violazione e falsa applicazione dell'art. 1168 c.c., comma 2, in relazione all'art. 246 c.p.c. stante il difetto di motivazione in ordine all'eccezione di incapacità a testimoniare dei testi che la stessa parte ricorrente assume di avere formulato in primo grado nella terza memoria ex art. 183 c.p.c..

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione risolve la questione esaminata richiamando l'orientamento precedentemente formatosi nella stessa giurisprudenza di legittimità secondo cui la nullità della testimonianza resa da persona incapace in quanto portatrice di un interesse che avrebbe potuto legittimare il suo intervento in giudizio deve essere eccepita subito dopo l'espletamento della prova, ai sensi dell'art. 157 c.p.c., comma 2, salvo che il difensore della parte interessata non sia stato presente all'assunzione del mezzo istruttorio, nel qual caso la nullità può essere eccepita nell'udienza successiva, sicchè, in mancanza di tempestiva eccezione, deve intendersi sanata, senza che la preventiva eccezione di incapacità a testimoniare, proposta a norma dell'art. 246 c.p.c., possa ritenersi comprensiva dell'eccezione di nullità della testimonianza comunque ammessa ed assunta nonostante la previa opposizione.

La Corte precisa altresì che ove poi l'eccezione di nullità della testimonianza resa dall'incapace venga respinta, la parte interessata ha l'onere di riproporla in sede di precisazione delle conclusioni e nei successivi atti di impugnazione, dovendosi la medesima, in caso contrario, ritenere rinunciata, con conseguente sanatoria della nullità stessa per acquiescenza, rilevabile d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo (Cass., sez. un., 23 settembre 2013, n. 21670; Cass., 30 ottobre 2009, n. 23054; Cass., 3 aprile 2007, n. 8358; Cass., 17 febbraio 2004, n. 2995).

Conseguentemente, se l'eccezione di nullità della deposizione del teste incapace, ritualmente proposta, non sia stata presa in esame dal giudice davanti al quale la prova venne espletata, la stessa deve essere formulata con apposito motivo di gravame avanti al giudice di appello, ovvero, se sollevata dalla parte vittoriosa in primo grado, da questa riproposta poi nel giudizio di gravame a norma dell'art. 346 c.p.c. (Cass., 29 marzo 2005, n. 6555; Cass., 26 maggio 1986, n. 3521; Cass., 9 febbraio 1973, n. 392; Cass., 9 luglio 1968, n. 2376).

Pertanto, in sede di ricorso per cassazione qualora la parte deduca la violazione dell'art. 246 c.p.c. per l'omessa motivazione del giudice d'appello sull'eccezione di incapacità di alcuni testimoni, formulata in primo grado in via preventiva all'assunzione degli stessi con le memorie dell'appendice scritta della prima udienza di trattazione, senza tuttavia indicare, anche agli effetti dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di avere sollevato tempestivamente l'eccezione di nullità delle testimonianze comunque rese, e di avere riproposto la stessa eccezione in appello a norma dell'art. 346 c.p.c., l'eventuale nullità derivante dall'incapacità dei testi per l'irritualità della relativa eccezione deve ritenersi comunque sanata.

Osservazioni

Con la pronuncia annotata, trova conferma l'orientamento secondo cui le nullità concernenti l'ammissione e l'espletamento della prova testimoniale hanno carattere relativo, derivando dalla violazione di formalità stabilite non per ragioni di ordine pubblico, bensì nell'esclusivo interesse delle parti e, pertanto, non sono rilevabili d'ufficio dal giudice ma, ai sensi dell'art. 157 c.p.c., comma 2, vanno denunciate dalla parte interessata nella prima istanza o difesa successiva al loro verificarsi od alla conoscenza delle nullità stesse, intendendosi per istanza, ai fini della norma citata, anche la richiesta di un provvedimento ordinatorio di mero rinvio e la formulazione delle conclusioni dinanzi al giudice di primo grado; con la conseguenza che dette nullità non possono essere fatte valere in sede di impugnazione (Cass., 12 aprile 2016, n.7110; Cass., 18 luglio 2008, n. 19942; Cass., sez. un., 13 gennaio 1997, n. 264).

In particolare, quanto al momento in cui la stessa incapacità del teste debba essere eccepita, occorre avere riguardo a quello immediatamente successivo all'assunzione della prova o, nel caso di assenza del difensore, nell'udienza immediatamente successiva, e ciò quand'anche, prima dell'assunzione, fosse stata eccepita l'incapacità a testimoniare (Cass., 21 aprile 1999, n. 3962).

Nella pregressa giurisprudenza è stato pure precisato che la doglianza relativa all'esercizio dei poteri istruttori del giudice che attenga non alla mancata ammissione di una prova testimoniale, ma alle modalità con le quali la prova ammessa è stata espletata, è ammissibile in appello soltanto ove il giudice di primo grado abbia respinto arbitrariamente le richieste della parte che abbia sollecitato senza esito al giudice domande dirette o in prova contraria al teste, atteso che le difese tecniche devono vigilare e intervenire nel corso del processo e anche le modalità di espletamento della prova risentono dal modo col quale le parti hanno scelto di collaborare col giudice nel corso del processo (Cass., 7 giugno 2004, n. 10784).

Ad analoghe conclusioni è pervenuta anche la giurisprudenza di merito (App. Lecce, 1 luglio 2015, in www.iusexplorer.it) nel ritenere che ai sensi dell'art. 157, comma 2, c.p.c., la nullità della testimonianza resa da persona incapace ha natura relativa e deve essere eccepita subito dopo l'espletamento della prova sicchè in difetto la nullità della relativa deposizione deve intendersi sanata per acquiescenza, atteso che la preventiva eccezione di incapacità a testimoniare, proposta a norma dell'art. 246 c.p.c., non può ritenersi comprensiva dell'eccezione di nullità della testimonianza comunque ammessa ed assunta nonostante la previa opposizione (Cass., 3 aprile 2007, n. 8358).

Aggiungasi che l'interesse che determina l'incapacità ai sensi dell'art. 246 c.p.c. va considerato all'attualità ed in concreto, con riferimento all'oggetto dedotto in giudizio, parametrato in relazione alle domande ed eccezioni proposte, indipendentemente dal loro fondamento; l'incapacità, dunque, va stabilita assumendo quale parametro di indagine il thema decidendum, e non del decisum e, ciò, in maniera indipendente dal contenuto della deposizione resa (Trib. Bari, 22 ottobre 2015, in www.iusexplorer.it).

La nullità della testimonianza resa da persona incapace deve quindi essere eccepita subito dopo l'espletamento della prova, ai sensi dell'art. 157 c.p.c., comma 2, salvo il caso in cui il procuratore della parte interessata non sia stato presente all'assunzione del mezzo istruttorio, nella quale ipotesi la nullità può essere eccepita nell'udienza successiva, sicchè, in mancanza di tale tempestiva eccezione, la nullità deve intendersi sanata (in tal senso, tra le tante, Cass., n. 16116/2003; Cass. n. 6555/2005; Cass., n. 403/2006 e da ultimo, Cass., 19 agosto 2014, n.18036), senza che la preventiva eccezione d'incapacità a testimoniare, proposta a norma dell'art. 246 c.p.c., possa ritenersi comprensiva dell'eccezione di nullità delle testimonianze comunque ammesse ed assunte nonostante quella previa opposizione (Cass., 1 luglio 2002, n. 9553; e Cass., 7 agosto 2004, n. 15308).

Alla stregua di tale principio, parte ricorrente avrebbe dovuto dedurre e dimostrare di avere eccepito la nullità delle contrastate deposizioni testimoniali all'atto stesso della loro assunzione o immediatamente dopo (Cass. n. 8358/2007; più di recente: Cass. n. 17713/2013), senza limitarsi ad invocare la violazione dell'art. 246 c.p.c..

In buona sostanza, come già fatto in precedenza (Cass., 10 ottobre 2014, n.21395) la Suprema Corte ha inteso ribadire che va comunque rispettato l'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che per il ricorrente non è possibile fare riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito - come la prova testimoniale originariamente non ammessa o la deposizione del teste - limitandosi a richiamarli senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l'esame, con precisazione anche dell'esatta collocazione nel fascicolo d'ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti anche in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23 marzo 2010, n. 6937; Cass., 12 giugno 2008, n. 15808; Cass., 25 maggio 2007, n. 12239, e, da ultimo Cass., 6 novembre 2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo infatti il ricorso inammissibile (Cass., 19 settembre 2011, n. 19069; Cass., 23 settembre 2009, n. 20535; Cass., 3 luglio 2009, n. 15628; Cass., 12 dicembre 2008, n. 29279. E da ultimo, Cass., 3 novembre 2011, n. 22726; Cass., 6 novembre 2012, n. 19157).

Il ricorrente ha infatti l'onere di dedurre le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, al fine di porre il giudice di legittimità nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (Cass., 18 aprile 2006, n. 8932; Cass., 8 novembre 2005, n. 21659; Cass., 25 febbraio 2004, n. 3803; Cass., 28 ottobre 2002, n. 15177) sulla base delle sole deduzioni contenute nei medesimi, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (Cass., 24 marzo 2003, n. 3158).

La sentenza in commento ha inoltre confermato l'orientamento emerso nella stessa giurisprudenza di legittimità - Cass., 16 maggio 2006, n.11377 - secondo cui, qualora per difetto di eccezione o per rigetto della medesima la testimonianza resti validamente acquisita al processo, non resta tuttavia escluso il potere del giudice di procedere alla valutazione della deposizione, sotto il profilo dell'attendibilità del teste, tenendo conto anche della situazione potenzialmente produttiva di incapacità, rilevando nella fattispecie esaminata, come neppure sussisteva una supposta decisività della testimonianza - del teste che si assumeva essere incapace - ai fini della risoluzione della controversia.

Questo significa che poiché la sentenza impugnata non ha fondato la decisione sul contenuto della testimonianza in argomento, sussisterebbe la carenza di interesse all'impugnazione, principio quest'ultimo già affermato nella giurisprudenza di legittimità (Cass., 10 ottobre 2014, n.21418) nell'avere ritenuto l'inammissibilità di motivi di ricorso attinenti a mezzi istruttori, quando le prove controverse non siano idonee ad influenzare la decisione, risultando inammissibile per difetto di interesse processuale all'impugnazione il motivo di ricorso che censuri la decisione per violazione delle regole in ordine alla tempestività dell'eccezione di incapacità a testimoniare, ed in generale, delle regole che attengono all'incapacità a testimoniare ex art. 246 c.p.c., qualora la testimonianza assunta non sia stata decisiva ai fini della decisione della controversia.