La riforma della mediazione secondo la commissione Alpa

Giampaolo Di Marco
04 Aprile 2017

La riforma della disciplina sulla mediazione civile e commerciale, così come prefigurata dalla Commissione Alpa, si fonda sulla rimozione di quegli aspetti che, nella prassi giurisprudenziale, hanno generato le maggiori incertezze interpretative.
Premessa

Da una prima lettura dei lavori della Commissione Alpa attinenti la proposta di revisione della mediazione civile e commerciale emerge come l'istituto sia destinato a modificare sensibilmente la propria fisionomia, perdendo gran parte di quei connotati che la giurisprudenza più evoluta gli aveva riconosciuto.

Concentrazione in capo al solo mediatore del compito di instaurare il confronto, di governare le trattative e di decretarne il fallimento, riduzione del potere del Giudice di desumere argomenti di prova a carico della parte non collaborativa, esclusione

ex lege

della mediazione contumaciale e consacrazione dell'obbligo dei litiganti di partecipare personalmente agli incontri rappresentano i capisaldi di un progetto di revisione del

D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28

tutt'altro che trascurabile o marginale.

Gli ambiti di intervento dei lavori della commissione: la fase preliminare

È opportuno elencare, in estrema sintesi, gli elementi del progetto di riforma che, ad un esame di primissima approssimazione, sembrano rivestire la maggiore rilevanza pratica, seguendo, non già l'ordine di importanza, quanto la successione cronologica delle fasi della mediazione.

La fase preliminare

Innanzitutto, viene soppresso l'inciso normativo che attribuiva alle parti ed ai loro difensori di esprimersi, in occasione dell'incontro preliminare, in merito alla possibilità di iniziare la mediazione: tale norma, infatti, si prestava a fungere da appiglio interpretativo per l'attribuzione alle parti di un potere incondizionato di veto alla prosecuzione della mediazione.

È ben vero, tuttavia, che la giurisprudenza più evoluta (o creativa), mettendo in evidenza come gli avvocati ed i litiganti dovessero esprimersi sulla possibilità (e non sulla volontà) di aprire i negoziati, escludeva che i medesimi potessero arbitrariamente provocare la prematura chiusura del procedimento, pena, peraltro, la derubricazione della mediazione obbligatoria a formalismo inutile e defatigatorio (Trib. Vasto, ord., 2 23 aprile 2016, Giudice: Dott. Fabrizio Pasquale; decisione poi seguita da: Trib. Roma, sez. XIII, sent., 28 novembre 2016, Giudice: Dott. Massimo Moriconi).

Ciò, tuttavia, non impediva alla giurisprudenza meno sensibile all'importanza della mediazione, di tollerare il comportamento di parti che, assumendo posizioni ostruzionistiche o poco collaborative, determinavano il fallimento della conciliazione anche su controversie che ben si sarebbero potute definire amichevolmente.

Lo svolgimento del procedimento

Nella logica di rafforzare il dovere delle parti di affrontare la mediazione con serietà e spirito di cooperazione si pone anche la proposta di introdurre la norma che prescrive la partecipazione personale dei contendenti al primo incontro, con la puntualizzazione che il contendente, in presenza di un giustificato motivo, può comunque delegare un rappresentante, purché esso non coincida con il difensore medesimo, a condizione che sussista un giustificato motivo.

Simile prescrizione si coordina con la precisazione, opportunamente inserita all'

art. 8, 1° comma, del D.Lgs. n. 28/2010

, che anche gli enti pubblici sono soggetti all'obbligo di partecipare, al pari di ogni altro consociato, al procedimento di mediazione (conclusione a cui era già addivenuta la sporadica giurisprudenza in termini:

Trib. Roma, sez. XIII, ord., 29 febbraio 2016

, Giudice: Dott. Massimo Moriconi) così integrato: “

è obbligo per le amministrazioni pubbliche di cui all'

articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165

, di partecipare alla mediazione assistiti dalla propria avvocatura, ove presente. La conciliazione della lite da parte di chi è incaricato di rappresentare la pubblica amministrazione, amministrata da uno degli organismi di mediazione previsti dal presente decreto, non dà luogo a responsabilità amministrativa e contabile quando il suo contenuto rientri nei limiti del potere decisionale dell'incaricato, salvo i casi di dolo o colpa grave

”.

Questa novella normativa sembrerebbe fugare qualsivoglia dubbio interpretativo in ordine all'obbligo della parte di avvalersi di un difensore anche nella mediazione facoltativa. Infatti, se, in quest'ultima tipologia di mediazione, non fosse doverosa l'assistenza dell'avvocato, allora non vi sarebbe alcuna esigenza logica di impedire che quest'ultimo possa presenziare al procedimento quale mero procuratore speciale della parte.

In apparente distonia con tale tendenza si colloca la compressione del potere/dovere del Giudice di sindacare l'atteggiamento adottato dalle parti nel contesto della mediazione, che emerge dalla proposta di riforma dell'

art. 8, comma 4°

-bis

, del D.Lgs. n. 28/2010

, che, se fosse approvata, così disporrebbe: “

il giudice può desumere argomenti di prova nel

successivo

giudizio ai sensi dell'

art. 116, secondo comma, del codice di procedura civile

solo

dalla mancata partecipazione senzo giustificato motivo al procedimento di mediazione

”.

Se letteralmente intesa, la nuova formulazione della disposizione legislativa in parola circoscriverebbe il potere giudiziale di trarre argomenti di prova dagli avvenimenti occorsi nel corso della mediazione alla sola ipotesi in cui la parte, violando l'obbligo di legge, non abbia partecipato ad un procedimento instaurato anteriormente alla promozione del processo.

Con la conseguenza che la sanzione processuale in discorso non potrebbe mai irrogarsi a carico della parte che si sia sottratta alla mediazione disposta dal Giudice in corso di causa (o a seguito del rilievo della sua obbligatorietà ex lege o perché, tenuto conto della natura della controversia, della qualità delle parti e dello stato dell'istruzione, il raggiungimento dell'accordo amichevole appaia probabile), visto che, in tal caso, il giudizio instaurato precedentemente all'avvio della mediazione, non potrebbe reputarsi “successivo”; del pari, siffatto trattamento sanzionatorio non potrebbe applicarsi alla parte che, pur partecipando alla mediazione, abbia però commesso, nel contesto di essa, le più evidenti scorrettezze, come, ad esempio, con un paradosso, rifiutando le più allettanti proposte conciliative al solo scopo di coltivare un'inutile controversia giudiziale.

Né può ipotizzarsi che, in presenza di tale ipotesi estrema, possa operare l'

art. 13 del D.Lgs. n. 28/2010

, il quale sanziona il rifiuto immotivato di offerte conciliative che si rivelino prossime o coincidenti con il contenuto della decisione unicamente in punto di distribuzione delle spese di lite, senza alcun allusione, anche solo indiretta, alla tematica della prova.

La conclusione del procedimento

La Commissione Alpa, d'altro canto pare propendere l'ininfluenza degli avvenimenti occorsi in seno alla mediazione anche nella stesura del nuovo

art. 11, D.Lgs. n. 28/2010

, nel quale si stabilisce che, nel verbale di fallita conciliazione, il mediatore può menzionare unicamente il mancato raggiungimento dell'accordo, così da sterilizzare ogni ipotetico tentativo del Giudice di individuare le cause della prematura conclusione del procedimento.

In questo contesto, appare espressione di un “diritto inerme” la previsione, di cui la Commissione Alpa suggerisce l'introduzione, secondo cui “le parti devono comportarsi secondo buona fede e lealtà nonché con spirito di cooperazione”.

Posto, difatti, che alcuno ha mai dubitato che siffatti doveri sussistessero anche nell'attuale conformazione della mediazione, ancorché non specificamente contemplati dal

D.Lgs. n. 28/2010

, ma comunque ricavabili dagli

artt. 1337

e

1338 c.c.

, ciò che una prospettiva di riforma avrebbe dovuto valorizzare (rectius: potenziare) l'apparato afflittivo, istituendo, tra le varie cose, norme sanzionatorie in pregiudizio di imprenditori altamente qualificati (per esempio: banche ed assicurazioni) che disertino sistematicamente o con elevata frequenza la parentesi conciliativa.

A ben vedere, ad esser state aggravate sono soltanto le penalità di carattere

amministrativo, essendo stato elevato sino al triplo del contributo unificato l'entità economica che il Giudice può dispensare ai danni della parte che si sia immotivatamente sottratta alla mediazione.

La proposta del mediatore

Perplessità desta, poi, il divieto per il mediatore di formulare delle proposte, anche solo facilitative, qualora la parte convocata non sia comparsa.

Al di là dell'inesatta formulazione della disposizione legislativa di nuovo conio, dal cui significato letterale si ricava il potere del mediatore di avanzare proposte qualora sia la parte istante a disertare l'incontro, non si comprende per quale ragione si reputi intollerabile che il mediatore, anche d'ufficio o, comunque, su invito dell'unico litigante presente, predisposta una proposta conciliativa, per poi notificarla al soggetto assente che, pure in una situazione così anomala, potrebbe avere interesse ad accettarla.

L'attivazione del procedimento in caso di opposizione a decreto ingiuntivo

Altra peculiarità della riforma prospettata risiede nel tentativo di fugare ogni incertezza in merito ai soggetti che, nei casi in cui l'esperimento della mediazione rappresenti una di procedibilità della domanda giudiziale, sono tenuti ad attivarsi in tal senso.

Tale interrogativo, nell'attuale panorama giurisprudenziale, è emerso nei processi di opposizione a decreto ingiuntivo, nel contesto dei quali, nonostante sia l'opponente ad assumere le vesti di attore in senso formale, è l'opposto a professarsi titolare del diritto sostanziale costituente l'oggetto della controversia.

Il dibattito formatosi sul punto non sembra esser stato risolto dall'intervento nomofilattico della Suprema Corte

(

Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 2015, n. 24629

)

, favorevole a collocare sull'opponente tale onere, fondandosi tale arresto su motivazioni tutt'altro che ineccepibili, se non palesemente erronee (tale sentenza, infatti, pare ignorare che, nei procedimenti monitori, l'obbligo di mediazione sorga successivamente alla deliberazione sulle istanze di concessione o di sospensione della provvisoria esecutorietà al decreto ingiuntivo opposto), immediatamente disatteso dalle successive pronunzie di merito (Trib. Firenze, sez. spec. impr., Giudice: Dott. Leonardo Scionti, ord., 16 febbraio 2016; Trib. Busto Arsizio, sez. III, Giudice: Dott.ssa Maria Eugenia Puma, sent., 3 febbraio 2016, n. 199).

La soluzione suggerita dalla Commissione Alpa è piuttosto singolare, tendendo a distinguere a seconda che, a seguito dei giudizi ex

artt. 648

e

649 c.p.c.

, il decreto ingiuntivo risulti o meno dotato di provvisoria esecutorietà: in caso affermativo, l'onere dovrebbe gravare sull'opponente, altrimenti sull'opposto.

La nuova norma sarebbe la seguente: “successivamente alla pronunzia sull'istanza di concessione o di sospensione della provvisoria esecuzione, il giudice, con ordinanza motivata, può disporre l'esperimento del tentativo di mediazione. Il mancato avvio della mediazione comporta l'improcedibilità del giudizio e la revoca del decreto ingiuntivo opposto ove quest'ultimo non sia stato dichiarato provvisoriamente esecutivo o ne sia stata sospesa la provvisoria esecuzione, ovvero comporta la improcedibilità del giudizio con gli effetti di esecutorietà e di definitività di cui all'

articolo 647 del codice di procedura civile

ove il decreto ingiuntivo sia stato dichiarato provvisoriamente esecutivo o non ne sia stata sospesa la provvisoria esecuzione”.

Tale proposta di modifica, pur creativa, solleva delle perplessità.

Essa, infatti, tende ad assegnare alle ordinanze ex

artt. 648

e

649 c.p.c.

l'idoneità a definire il procedimento (nel senso che esse, se accompagnate dall'inerzia della parte onerata di promuovere la mediazione, concluderebbero il processo), nonostante che a tali provvedimenti sia pacificamente negata natura decisoria (

Cass. civ., sez. II, 20 novembre 2001, n. 14617

;

id., 30 dicembre 1994, n. 11342

; id., 4 maggio 1982, n. 2743).

In altri termini, la Commissione Alpa giunge ad apprezzare dei provvedimenti di carattere ordinatorio come il primo tassello di un percorso che, in caso di manifestato disinteresse delle parti per la mediazione, si conclude con la formazione di un accertamento definitivo su diritti soggettivi perfetti.

Peraltro, l'impossibilità di impugnare, anche solo con il ricorso straordinario per cassazione

ex

art. 111, 7° comma, Cost.

, le ordinanze ex

artt. 648

e

649 c.p.c.

genera dei seri dubbi di compatibilità costituzionale, poiché, in questo modo, si finisce per sottrarre a qualunque controllo di legittimità un provvedimento a cui si è surrettiziamente attribuita la capacità di incidere, in maniera irreformabile, su dei diritti soggettivi.

La mediazione delegata

Condivisibile, invece, è la specificazione che, in caso di mediazione delegata in appello, il suo esperimento rappresenta condizione di procedibilità dell'appello principale e degli appelli incidentali, senza alcun pregiudizio, pertanto, delle domande spiegate nel giudizio di primo grado (in conformità a quanto riconosciuto da: Trib. Firenze, sez. III, Giudice: Dott. Alessandro Ghelardini, sent. 13 ottobre 2016)

Più discutibili, invece sono le ulteriori proposte di modifica in materia di mediazione delegata, specialmente nella parte in cui si stabilisce che la domanda giudiziale può essere dichiarata improcedibile soltanto se, in occasione dell'udienza di rinvio, il procedimento non sia stato ancora avviato, con la conseguenza, forse non valutata dagli estensori del progetto di riforma, che la parte desiderosa di dilatare i tempi del processi potrebbe impunemente attendere il giorno prima dell'udienza per presentare l'istanza.

Da segnalare, infine, il consiglio di rimuovere l'obbligatorietà della mediazione nelle controversie devolute alla competenza arbitrale, rituale o irrituale che sia, verosimilmente proteso ad eliminare vincoli in un istituto tradizionalmente ispirato al massimo riconoscimento dell'autonomia privata.

Conclusioni

In definitiva, sia consentito esprimere un rispettoso scetticismo sul volto che la disciplina sulla mediazione civile e commerciale verrebbe ad assumere laddove le modificazioni suggerite dalla Commissione Alpa fossero accolte dal legislatore.

Esse, infatti, pur muovendo dall'auspicabile aspirazione a ridurre l'incertezza interpretativa su un apparato normativo che, più di ogni altro, incidendo sul diritto all'azione, necessità di chiarezza, rischia di alimentare quelle situazioni anomale (atteggiamenti ostruzionistici delle parti, gratuita dilatazione dei tempi del processo, onerosità e complessità della partecipazione al procedimento, etc…) che, quantomeno agli esordi applicativi del

D.Lgs. n. 28/2010

, avevano contribuito allo scarso successo del meccanismo di A.D.R..

Del pari, le soluzioni di compromesso (alludiamo, in modo particolare, alla distribuzione dell'onere di attivare la mediazione nei processi di opposizione a decreto ingiuntivo) appaiono scarsamente coerenti al tessuto legislativo in cui si innestano e, conseguentemente, rischiano di tradire i principi informatori del giusto processo e del diritto all'azione.

Si confida, quindi, che il legislatore raccolta il saggio invito a risolvere, eventualmente tramite lo strumento dell'interpretazione autentica, i contrasti giurisprudenziali emersi in materia, ma, in una prospettiva di riforma sistematica, si concentri maggiormente sulla deformalizzazione e sulla semplificazione del procedimento, sull'ampliamento dei poteri inquisitori o istruttori del mediatore, nonché sul rafforzamento degli incentivi alla stipulazione dell'accordo amichevole, che tratteggiano le principali esigenze della mediazione civile e commerciale.

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