Conseguenze processuali dell'erronea scelta del rito in materia di licenziamenti
04 Maggio 2017
Massima
Nel caso di impugnativa del licenziamento proposto con ricorso ex art. 1 comma 47 e ss. l. 92/2012 (cd. rito Fornero) in fattispecie soggetta al regime sostanziale del d.lgs. n. 23/2015 (c.d. Jobs Act), che comporta la proposizione dell'impugnativa con il rito del lavoro ex art. 414 e ss. c.p.c., occorre fare applicazione analogica della disposizione processuale di cui all'art. 4 d.lgs. 150/2011, e dei principi generali che prevedono che l'erronea scelta del rito non dia luogo a pronuncia di inammissibilità o improponibilità della domanda, dovendosi garantire la prosecuzione del giudizio nelle forme processuali corrette, attraverso un provvedimento di mutamento del rito. Il caso
La fattispecie processuale esaminata nel provvedimento oggetto di commento è quella dell'erronea scelta del rito nel ricorso per impugnativa di atto qualificabile alla stregua di recesso unilaterale datoriale, previo accertamento della nullità del patto di prova apposto al contratto di lavoro. Il ricorrente, difatti, che allega di essere stato assunto in data 01/04/2015, provvede all'impugnativa del recesso datoriale, previo accertamento della nullità del patto di prova apposto al contratto, con le formalità di cui all'art. 1 comma 47 e ss. l. n. 92/2012 (cd rito Fornero), espressamente escluse dall'art. 11 d.lgs. n. 23/2015 (cd Jobs Act), applicabile ai contratti di lavoro subordinato stipulati dopo l'entrata in vigore della normativa. Essendo, dunque, il d.lgs. n. 23/2015 entrato in vigore il 7 marzo 2015, e risultando pacificamente il lavoratore ricorrente assunto il 1 aprile 2015, per effetto dell'esclusione del rito speciale di cui all'art. 1 comma 47 e ss. l. n. 92/2012, egli avrebbe dovuto agire con le forme di cui all'art. 414 e ss. c.p.c.. La questione
Quali sono le conseguenze processuali in caso di erronea scelta del rito in materia di impugnativa dei licenziamenti? L'erronea opzione del rito applicabile ad una determinata controversia è questione processuale di ordine generale, sviluppatasi parallelamente all'introduzione, nell'ordinamento processuale civile, di riti speciali destinati alla trattazione di determinate materie ovvero caratterizzati dalla sommarietà della cognizione. Così, ad esempio, nel caso del rito speciale del lavoro, preposto alla trattazione delle materie laburistiche, di cui all'art. 409 c.p.c., ed esteso alle controversie in materia di locazione, comodato o affitto di cui all'art. 447 bis c.p.c., ovvero del procedimento sommario di cognizione, di cui all'art. 702 bis e ss. c.p.c., applicabile a tutte le controversie in cui il tribunale giudica in composizione monocratica. Nei casi appena citati il legislatore ha previsto e disciplinato le conseguenze dell'erronea scelta del rito, ovvero della proposizione di rito speciale nelle circostanze in cui, in ragione della materia o della struttura stessa del rito, avrebbe dovuto introdursi la controversia con rito ordinario, e viceversa. Così, ad esempio, ai sensi dell'art. 426 c.p.c., quando il giudice rileva che una causa promossa nelle forme ordinarie riguardi uno dei rapporti previsti all'art. 409 o 447-bis c.p.c., fissa con ordinanza l'udienza di cui all'art. 420 c.p.c. ed il termine perentorio destinato all'eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria. Viceversa, nel caso in cui rilevi che una causa promossa con rito speciale riguardi un rapporto non ricompreso tra quelli di cui agli artt. 409 e 447-bis c.p.c., trattiene la causa per la trattazione con le forme ordinarie, altrimenti fissa termine per la riassunzione dinanzi al giudice funzionalmente competente. Nel caso di proposizione di erronea scelta del rito sommario di cognizione, occorre distinguere il caso di proposizione del rito in fattispecie precluse (come, ad esempio, nelle materie collegiali), evenienza nella quale si provvederà alla declaratoria di inammissibilità, dal caso in cui il giudice ritenga le difese proposte incompatibili con la sommarietà della cognizione tipica del rito, evenienza nella quale provvederà a fissare l'udienza di trattazione per il prosieguo della stessa con rito ordinario di cognizione. Analogo problema si pone nell'ambito della disciplina dell'impugnativa dei licenziamenti, dopo l'introduzione del rito speciale di cui all'art. 1 comma 47 e ss. l. 92/2012 (cd rito Fornero), limitato alla trattazione delle controversie nelle quali si faccia questione dell'applicazione dell'art. 18 l. n. 300/1970, nonché delle questioni di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro e di quelle fondate sui medesimi fatti costitutivi. All'alba dell'introduzione di tale disciplina, ed in assenza di una disposizione che espressamente regolamentasse il caso dell'erronea proposizione, con tale rito speciale, di questioni non ricomprese nell'alveo della disciplina, si è posto con forza in giurisprudenza il tema delle conseguenze processuali dell'erronea scelta del rito, tema di di perdurante attualità in ragione dell'intervento della disciplina del cd Jobs Act che, nel caso di licenziamenti relativi a rapporti di lavoro insorti successivamente alla data di entrata in vigore (7 marzo 2015), esclude ex professo l'applicabilità delle “disposizioni dei commi da 48 a 68 dell'articolo 1 della legge 28 giugno 2012, n. 92”. Le soluzioni giuridiche
La risposta della giurisprudenza laburistica alla questione dell'erronea proposizione del rito speciale di cui all'art. 1 comma 47 l. 92/2012 è stata particolarmente frastagliata, e tale contrasto giurisprudenziale sembra destinato a perpetuarsi a seguito della riattualizzazione delle forme processuali ordinarie per l'impugnativa dei licenziamenti, per effetto del citato art. 11 d.lgs. 23/2015. Secondo un primo rigoroso orientamento ermeneutico, fondato su un'interpretazione letterale del disposto di cui all'art. 1 comma 48 l. 92/2012, che esplicita un divieto di proposizione delle domande diverse da quelle di cui all'art. 18 l. 300/1970, qualificazione del rapporto di lavoro, e domande fondate su identici fatti costitutivi, tali domande andranno dichiarate inammissibili (o, secondo taluni, improponibili), ed eventualmente essere riproposte con le formalità di cui all'art. 414 e ss. c.p.c.. (Trib. Milano, sez. lav., 25 ottobre 2012, Trib. Termini Imerese, sez. lav., 31 marzo 2013, Trib. Roma, sez. lav., 23 dicembre 2013). Il procedimento incardinato con rito Fornero troverà, dunque, una battuta d'arresto nel caso in cui sia impugnato con tale rito un licenziamento da contestarsi con le forme ordinarie, ovvero proseguirà per l'esame delle sole questioni esaminabili, nel caso di pluralità di questioni proposte, alcune delle quali da dichiarare inammissibili o improponibili. Secondo altro orientamento, maggiormente ancorato a principi generali di ordine generale, tra cui quello di conservazione degli atti processuali, in caso di proposizione di impugnativa di licenziamento soggetto a tutela obbligatoria con le forme speciali del rito Fornero dovrebbe escludersi la declaratoria di inammissibilità o improponibilità, dovendosi viceversa provvedere al mutamento del rito ed alla trattazione del processo nelle forme del rito ordinario del lavoro. Tale provvedimento andrebbe assunto applicando analogicamente gli artt. 426 e 427 c.p.c. e art. 4 d.lgs. 150/2011, fermi restando gli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta con il rito sbagliato (Trib. Modena, sez. lav., 8 febbraio 2014, App. L'Aquila, sez. lav., 5 marzo 2015, App. Roma, sez. lav., 23 dicembre 2013, n. 11199). In caso di pluralità di domande, soltanto alcune delle quali esaminabili con rito Fornero, occorrerebbe provvedere alla conversione del rito limitatamente alle domande non esaminabili, previa separazione delle stesse con creazione di autonomo fascicolo processuale. Va, per inciso, rilevato come l'esistenza di problematiche afferenti la trattazione congiunta di questioni eterogenee, con rischio di parcellizzazione e frazionamento dei processi, indipendentemente dall'opzione adottata in ordine alle conseguenze dell'erronea scelta del rito, ha indotto la Cassazione ad adottare orientamenti di progressiva estensione delle questioni delibabili mediante rito Fornero, ritenendo ammissibile la proposizione, da parte del lavoratore, delle domande di pagamento del t.f.r. e dell'indennità di preavviso (Cass. civ., sez. lav., 12 agosto 2016) o della domanda subordinata di impugnativa del recesso con richiesta di tutela cd obbligatoria ex art. 8 della l. 604/1966 (Cass. civ., sez. lav., 13 giugno 2016, n. 12094). L'opzione ermeneutica adottata nella pronuncia in commento è espressione del secondo filone giurisprudenziale, fondata su principi generali di natura salvifica della domanda giurisdizionale, salvo che specifiche disposizioni di natura processuale prevedano il contrario. L'ancoraggio normativo che l'autore del provvedimento utilizza per disporre il mutamento del rito è l'art. 4 del d.lgs. 150/2011, diretto a risolvere le questioni di rito che possano porsi in riferimento a qualsiasi ipotizzabile combinazione tra i tre riti presi in considerazione dal decreto (rito ordinario, rito del lavoro e rito sommario di cognizione), in quanto espressione di principi generali, tanto da poter essere applicati analogicamente alle questioni di rito connesse al procedimento speciale di impugnativa dei licenziamenti previsto dalla legge Fornero. Conformemente alle premesse, l'autore del provvedimento disponeva conversione del rito, fissando udienza di discussione ex art. 420 c.p.c., e concedendo termine per l'integrazione degli scritti difensivi e delle produzioni documentali. Osservazioni
L'opzione espressa nel provvedimento, permeata dall'esigenza di conservazione degli effetti degli atti processuali, nel contesto della erroneità della scelta del rito applicabile alla controversia incardinata, non è scevra di conseguenze per le parti processuali, che non si esauriscono nella necessità di riproposizione del ricorso nelle forme corrette, sopportando l'eventuale costo aggiuntivo del contributo unificato del nuovo ricorso. Nell'impugnativa dei licenziamenti, difatti, la scelta in ordine alla declaratoria di inammissibilità o semplice prosecuzione nelle forme del rito convertito è potenzialmente atta a produrre effetti di considerevole portata, tenuto conto dell'esistenza di termini decadenziali per l'impugnativa stragiudiziale e giudiziale del licenziamento. In altri termini, optando per la soluzione dell'inammissibilità/improponibilità per erronea scelta del rito, è attuale il rischio di incorrere in decadenza dalla impugnativa, laddove si segua la tesi, espressa in sede di legittimità, secondo cui la decadenza possa essere impedita soltanto dal compimento dell'atto, a ciò deputato, conforme alle regole sostanziali e procedimentali che lo disciplinano. Ciò ha indotto alcune corti di merito a stabilire il difforme principio, improntato al favor per il lavoratore, secondo cui la tempestiva proposizione dell'impugnativa del licenziamento, con le forme dell'art. 1 comma 48 l. n. 92/2012 impedisce definitivamente la decadenza di cui all'art. 6 comma 2 l. n. 604/1966, anche qualora il ricorso sia dichiarato inammissibile per errore sul rito (Trib. Firenze, sez. lav., 7 ottobre 2014). La maggiore conformità della soluzione abbracciata nel provvedimento in commento a principi di conservazione ed economia processuale non può, tuttavia, costituire ragione sufficiente in assenza di un persuasivo aggancio di ordine normativo o sistematico, che consenta di eseguire l'operazione di conversione del rito. In assenza di espresse disposizioni che regolino i rapporti tra rito ordinario del lavoro e rito speciale Fornero, le soluzioni abbracciate dalla giurisprudenza sono state fondate alternativamente sull'applicazione analogica, dell'art. 426 c.p.c. (Trib. Modena, sez. lav., 14 gennaio 2014) o dell'art. 4 d.lgs. 150/2011, come nel provvedimento in commento. In altre pronunce, viceversa, la percorribilità dell'interpretazione analogica di queste disposizioni è stata espressamente esclusa (Trib. Roma, sez. lav., 23 ottobre 2014). La tesi della applicazione analogica degli artt. 426, 427 c.p.c. o art. 4 d.lgs. 150/2011 non appare, tuttavia, del tutto persuasiva e scevra da aporie logico giuridiche. Tali norme appaiono, innanzitutto, di natura eccezionale e, in quanto tali, insuscettibili di applicazione analogica ai sensi dell'art. 12 delle preleggi, in quanto destinate a regolamentare i rapporti tra riti ordinari e specifici riti speciali (rito laburistico, sommario di cognizione). In secondo luogo, all'erronea scelta del rito è, in taluni casi, espressamente riconnessa la declaratoria di inammissibilità, come nel caso dell'art. 702 ter 2° co. c.p.c.. La stessa legge Fornero, introduttiva del rito speciale, prevede una specifica ipotesi di mutamento del rito, segnatamente al comma 56 dell'art. 1, per il caso di domande riconvenzionali in fase di opposizione che non possano essere trattate con il rito speciale, con la conseguenza che, in omaggio al principio ubi lex voluit, dicit, l'assenza di previsione della conversione del rito con riferimento alla fase sommaria non sarebbe da ritenersi una mera dimenticanza, ovviabile mediante il riferimento a principi generali di conservazione dell'efficacia degli atti.
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