Il decreto di liquidazione legittima il CTU a chiedere il compenso alla parte non obbligata?
14 Luglio 2016
Il decreto di liquidazione legittima il CTU a chiedere il compenso alla parte non obbligata?
L'attuale e consolidato orientamento della Suprema Corte afferma che la consulenza tecnica d'ufficio rappresenta non un mezzo di prova in senso proprio ma un ausilio per il giudice e, quindi, un atto necessario del processo che l'ausiliare pone in essere nell'interesse generale della giustizia e comune delle parti in virtù di un mandato neutrale. Pertanto, il regime del pagamento delle spettanze del CTU prescinde dalla ripartizione dell'onere delle spese tra le parti contenuto in sentenza, che avviene sulla base del principio della soccombenza e, concernendo unicamente il rapporto fra dette parti, non è opponibile all'ausiliario del giudice (Cass. civ., 15 settembre 2008, n. 23586; Cass. civ., 7 dicembre 2004, n. 22962; Cass. civ., 8 luglio 1996, n. 6199; Cass., 2 marzo 1973, n. 573) con la conseguenza che le parti in lite beneficiando della sua attività sono ex art. 1294 c.c. tenuti in solido al pagamento del corrispettivo dovutogli (Cass. civ., 30 dicembre 2009, n.28094). Soltanto l'avvenuto adempimento dell'obbligazione di pagamento ex art. 1292 c.c. libera tutti i condebitori ed è quindi preclusivo di ogni azione nei loro confronti da parte del CTU in qualità di comune creditore. Tale orientamento ha superato quello difforme espresso, da ultimo, da Cass. civ., 19 agosto 2003, n. 12110. In linea generale le parti sono quindi solidalmente responsabili del pagamento del compenso al CTU anche dopo che la controversia, durante la quale il medesimo consulente ha espletato il suo incarico, sia stata decisa con sentenza, sia definitiva sia non ancora passata in giudicato, a prescindere dalla ripartizione di dette spese nella stessa stabilita e, quindi, altresì, ove tale ripartizione sia difforme da quella in precedenza adottata con il decreto di liquidazione emesso dal giudice della causa. È importante osservare che sino a quando non è intervenuta una pronuncia di merito, la provvisorietà del decreto di liquidazione emesso dal giudice comporta che la sua efficacia esecutiva concerne la parte in causa nello stesso decreto indicata come obbligata e nella misura stabilita dal suddetto provvedimento, nel senso che l'ausiliario, finchè la controversia non sia decisa con una sentenza che statuisca pure sulle spese di lite, è tenuto a proporre prima la sua domanda giudiziale nei confronti del soggetto ivi menzionato, nella misura indicata nello stesso decreto di liquidazione, e, solo ove questi resti inadempiente, può agire nei confronti degli altri (Cass. civ., 12 novembre 2015, n.23133). Infatti il decreto di liquidazione ha e conserva efficacia esecutiva nei confronti della parte ivi indicata come obbligata e - finchè la controversia non sia risolta con sentenza passata in giudicato, che provveda definitivamente anche in ordine alle spese - ha l'effetto di obbligare il CTU a proporre preventivamente la sua domanda nei confronti della parte ivi indicata come provvisoriamente obbligata al pagamento e solo nel caso di sua inadempienza può agire nei confronti dell'altra, in forza della responsabilità solidale che, in linea di principio, grava su tutte le parti del processo per il pagamento delle spese di CTU e che perdura anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza conclusiva del processo, anche indipendentemente dalla definitiva ripartizione fra le parti dell'onere delle spese (Cass. civ., 8 novembre 2013, n.25179; Cass. civ., 15 settembre 2008, n.23586, cit.; Cass. civ., 8 luglio 1996, n.6199, cit.). Una volta che la controversia sia stata risolta con sentenza che pronunci sulle spese, il perito dell'ufficio può invece fare valere le sue ragioni di credito direttamente nei confronti di ogni parte in causa in virtù della loro responsabilità solidale, indipendentemente dalla definitiva ripartizione dell'onere delle spese stabilita dal giudice del merito. Le suesposte argomentazioni trovano applicazione anche nel caso in cui il consulente tecnico d'ufficio si sia avvalso, previamente autorizzato dal giudice, dell'opera di un ausiliario ed il compenso a questi dovuto per l'opera prestata non sia stato liquidato nel corso del processo, atteso che ove l'ausiliario, successivamente alla definizione del giudizio, agisca per ottenere la corresponsione del compenso, sono solidalmente obbligati al pagamento il CTU, quale committente della prestazione, nonché tutte le parti del giudizio, anche quelle risultate vittoriose, in quanto la relativa spesa va considerata necessaria per l'espletamento della consulenza tecnica e la prestazione deve ritenersi svolta nel loro interesse comune (Cass. civ., 7 dicembre 2004, n.22962). Tale conclusione non è invece possibile nel rapporto che connota la presenza del consulente tecnico d'ufficio nel giudizio arbitrale, perché in tale procedimento, la solidarietà delle parti nei confronti del consulente non sussiste, atteso che, indipendentemente dalla natura giurisdizionale dell'arbitrato rituale, il vincolo nasce esclusivamente - e salva l'ipotesi dell'intervento, nella singola fattispecie concreta, di specifici accordi con le parti, anche in merito all'entità del compenso - da un incarico conferito dagli arbitri, a loro volta legati alle parti da un negozio giuridico sempre di natura squisitamente privatistica (Cass. civ., 21 marzo 2014, n.6736). Infatti, premesso che gli arbitri non necessitano del consenso delle parti al fine di disporre la consulenza tecnica d'ufficio, e non agiscono pertanto in loro nome, tale soluzione trova piena rispondenza nella disciplina del rapporto arbitrale, posto che l'art. 814 c.p.c., prevede che le parti sono tenute, in via solidale, al rimborso, in favore degli arbitri, delle spese, nonchè al pagamento dell'onorario per l'opera prestata, dovendosi nelle prime ricomprendere anche quelle relative alla consulenza tecnica d'ufficio e del funzionamento del collegio, compreso il compenso al segretario (Cass. civ., 23 giugno 2008, n. 17034).
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