Sulla valenza interruttiva della dichiarazione di fallimento della parte tra art. 43 l. fall. e art. 300 c.p.c.

04 Settembre 2017

La questione processuale affrontata nella sentenza in commento attiene ai rapporti, ai fini dell'interruzione del giudizio per il fallimento di una delle parti, tra l'art. 300 c.p.c. e l'art. 43 l. fall..
Massima

Nell'ipotesi di fallimento della parte ai fini dell'interruzione del giudizio opera la disciplina dell'art. 43 l.fall. e non già quella dettata dall'art. 300 c.p.c., sicché è ammessa la possibilità di rimettere la causa sul ruolo, per la dichiarazione di interruzione, anche se già trattenuta in decisione.

Il caso

Nell'ambito di una controversia civile pendente in primo grado, la causa era trattenuta in decisione all'udienza del 7 marzo 2017, previa concessione alle parti di termini “ordinari” di giorni sessanta per il deposito di comparse conclusionali e di giorni 20 per il deposito delle memorie di replica ai sensi dell'art. 190, comma primo, c.p.c.

Prima del decorso di detti termini, peraltro, in data 19 maggio 2017, era depositata al giudice istanza di dichiarazione dell'interruzione del processo, stante l'intervenuto fallimento di una delle parti.

La questione

La questione processuale attiene ai rapporti, ai fini dell'interruzione del giudizio per il fallimento di una delle parti, tra l'art. 300 c.p.c., che disciplina in generale l'interruzione del processo ove l'evento riguardi le parti costituite, e l'art. 43 l. fall. laddove stabilisce che il fallimento della parte determina automaticamente l'interruzione del processo.

Le soluzioni giuridiche

La decisione che si annota ritiene che la disciplina dettata dall'odierno art. 43 l.fall. nella parte in cui la stessa prevede, come rilevato, che a seguito del fallimento della parte si determini automaticamente l'interruzione del giudizio sia anche sotto altri profili autonoma da quella stabilita, in generale, dall'art. 300 c.p.c. per il caso in cui l'evento interruttivo riguardi le parti costituite in causa.

Invero, come noto, l'art. 300 c.p.c. rimette, in queste ipotesi, ad una dichiarazione del difensore la rilevanza dell'evento nel corso del processo, sicché l'interruzione non segue ex se alla verificazione dell'evento che riguardi la parte costituita a mezzo di difensore essendo necessaria una dichiarazione in tal senso di quest'ultimo.

A riguardo, la Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato, invero, chel'art. 300 subordina l'effetto interruttivo del processo alla coesistenza di due elementi essenziali, costituiti rispettivamente dall'evento previsto come causa d'interruzione e dalla relativa dichiarazione formale ad opera del procuratore della parte che ne è colpita (Cass., n. 9480/2014).

Ciò premesso, nella fattispecie processuale all'attenzione del Tribunale di Roma si poneva una distinta questione, ossia quella della possibilità per il giudice che abbia già trattenuto la causa in decisione di rimettere la stessa sul ruolo ai fini dell'interruzione.

Per motivare la soluzione affermativa, la pronuncia che si annota ritiene di dover sottolineare l'assoluta autonomia della disciplina dettata dall'art. 43 l.fall. rispetto a quella generale stabilita dal secondo libro del codice di procedura civile ed, in particolare, dall'art. 300 c.p.c. sull'implicito assunto, quindi, che detta norma non consentirebbe analoga scelta processuale.

Peraltro, per giustificare la decisione assunta, il provvedimento in esame richiama una recente pronuncia della S.C. per la quale l'art. 43, comma 3, l.fall. va interpretato nel senso che, intervenuto il fallimento, l'interruzione è sottratta all'ordinario regime dettato in materia dall'art. 300 c.p.c., nel senso, cioè, che è automatica e deve essere dichiarata dal giudice non appena sia venuto a conoscenza dall'evento, ma non anche nel senso che la parte non fallita sia tenuta alla riassunzione del processo nei confronti del curatore indipendentemente dal fatto che l'interruzione sia stata, o meno, dichiarata (Cass., sez. VI-1, ord. 1° marzo 2017, n. 5288).

Osservazioni

La soluzione affermata dalla pronuncia in commento è senz'altro corretta sebbene la stessa sia supportata da argomentazioni non pertinenti rispetto alla questione esaminata.

Sotto un primo profilo, infatti, nel ritenere ammissibile la rimessione della causa sul ruolo sebbene già trattenuta in decisione in ragione dell'intervenuto fallimento di una delle parti, il Tribunale di Roma sottolinea la autonomia della disciplina dettata dall'art. 43 l.fall. rispetto a quella generale prevista dall'art. 300 c.p.c.

Peraltro, non può trascurarsi di ricordare, a riguardo, che l'ultima parte del comma 4 dell'art. 300 c.p.c. effettivamente stabiliva, nel testo originario, che se alcuno degli eventi previsti dall'art. 299 c.p.c. si avvera o è notificato dopo la discussione dinanzi al collegio, lo stesso non produce effetto se non nel caso di riapertura dell'istruzione. Tuttavia la legge 18 giugno 2009 n. 69 ha abrogato tale inciso.

La norma aveva infatti determinato alcuni problemi interpretativi a seguito della rimodulazione dei modelli decisori nel primo grado di giudizio ad opera della legge 26 novembre 1990 n. 353 ed, in particolare, della circostanza che, divenuta la discussione orale soltanto eventuale, a seguito della rimessione della causa in decisione vi è ancora un'effettiva esigenza di tutela del diritto di difesa della parte ex art. 24 Cost., ai fini del deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

Peraltro valorizzando la ratio della previsione normativa, secondo quanto evidenziato anche dalla dottrina più autorevole,la giurisprudenza anche di legittimità aveva ormai chiarito, anche prima dell'ormai non recentissima riforma di cui alla legge n. 69/2009, che nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, qualora la morte della parte costituita in giudizio sia notificata successivamente all'udienza di precisazione delle conclusioni ma prima della scadenza dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., richiamato dall'art. 281-quinquies, deve essere dichiarata l'interruzione del processo (Cass., n. 23042/2009).

Alla luce di quanto evidenziato, è chiaro che non vi era alcuna esigenza di argomentare una differente disciplina dell'art. 300 c.p.c. e dell'art. 43 l.fall. per sostenere la tesi favorevole alla possibilità di rimettere la causa, già trattenuta in decisione, sul ruolo ai fini della dichiarazione di interruzione del processo.

Né appare pertinente, a tal fine, il richiamo alla recente pronuncia della S.C. n. 5288/2017 che riguarda questione assolutamente distinta, ossia quella dell'impossibilità di far valere nei confronti della parte non colpita dall'evento fallimento la valenza automatica dello stesso onde far decorrere i termini per la riassunzione del giudizio interrotto.

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