Impugnazione del lodo, sindacabilità della convenzione e verifica della potestà arbitrale
04 Ottobre 2016
Massima
La questione concernente la portata di una clausola compromissoria per arbitrato rituale, rispetto ad un'altra, intercorrente tra le stesse parti, per arbitrato irrituale, anche a seguito dell'ordinanza n. 24153 emessa dalle Sezioni Unite il 25 ottobre 2013 (Cass. civ., sez. un., 25 ottobre 2013 n. 24153), non integra una questione di “competenza”, bensì di merito, la cui soluzione richiede l'interpretazione della clausola secondo gli ordinari canoni ermeneutici, dettati per l'interpretazione dei contratti, con conseguente impossibilità da parte della S.C. di esaminare, anche d'ufficio, quale giudice del “fatto processuale”, le clausole compromissorie per stabilire quale sia il giudice competente a decidere della controversia. Il caso
Nell'ambito di una complessiva sistemazione di rapporti contrattuali tre due società le stesse stipulano un accordo quadro mediante il quale pongono fine alle reciproche divergenze e programmano una cessione di un ramo d'azienda. Gli accordi attuativi del contratto quadro hanno luogo e rimandano ad una clausola compromissoria appositamente stipulata dalle parti per arbitrato rituale. Con riferimento alla programmata cessione del ramo d'azienda, invece, le parti sottoscrivono una scrittura integrativa contenente una specifica clausola compromissoria che, in relazione ai rapporti di dare ed avere gestionali relativi a crediti diversi, in caso di disaccordo rinvia alle decisioni di un collegio arbitrale in via irrituale e secondo equità. Una delle due società aziona giudizio arbitrale ed il collegio arbitrale accoglie l'eccezione d'incompetenza in relazione a richieste inerenti rapporti di dare-avere gestionale, in forza della clausola di arbitrato irrituale, e si pronuncia in merito ai rapporti relativi agli accordi attuativi dell'accordo quadro, in virtù della clausola di arbitrato rituale. Impugnato il lodo per nullità, ai sensi dell'art. 829 c.p.c., la Corte d'appello dichiara la parziale nullità del lodo, distinguendo, all'esito dell'interpretazione della volontà negoziale delle parti, le questioni inerenti gli accordi attuativi dell'accordo quadro (suscettibili di fondare arbitrato rituale) da quelle inerenti i rapporti di dare ed avere gestionali (suscettibili di fondare arbitrato irrituale) in maniera parzialmente difforme da quanto effettuato dal collegio arbitrale La sentenza emessa in sede di impugnazione per nullità è oggetto di ricorso per cassazione con il quale si sindaca la possibilità, da parte del giudice dell'impugnazione per nullità del lodo, di compiere una verifica del perimetro della clausola arbitrale e di concludere per l'esistenza o meno della potestas iudicandi da parte degli arbitri.
La questione
La questione in esame concerne la possibilità, da parte del giudice dell'impugnazione per nullità del lodo, di compiere una verifica del perimetro della clausola arbitrale, al fine di concludere per l'esistenza o meno della potestas iudicandi da parte degli arbitri, e, conseguentemente, i limiti del sindacato di legittimità della relativa sentenza emessa in sede di impugnazione. Le soluzioni giuridiche
La tesi dell'impossibilità di compiere, da parte del giudice dell'impugnazione del lodo, una verifica del perimetro della clausola arbitrale e di concludere per l'esistenza o meno della potestas iudicandi degli arbitri, muove dall'arresto giurisprudenziale di legittimità formatosi a seguito della sentenza n. 527 del 2000, emessa dalle S.U. circa la natura negoziale del lodo rituale e, quindi, del relativo arbitrato. (Cfr., Cass. civ., sez. un., sent., 3 agosto 2000 n. 527). In forza della detta natura negoziale, in particolare, le citate S.U precisano, difatti, che una volta che gli arbitri abbiano fissato, mediante l'interpretazione di essa, l'ambito oggettivo della clausola, e, quindi, del loro potere decisorio, il relativo dictum, proprio in quanto ha previamente definito i confini della clausola stessa, non è impugnabile per nullità per aver pronunciato fuori dei limiti della convenzione di arbitrato, ex art. 829, comma 1, n. 4, c.p.c., ma solo per violazione o falsa applicazione delle regole ermeneutiche codicistiche o per radicale inidoneità della motivazione alla comprensione dell'iter logico-giuridico seguito o all'individuazione della “ratio decidendi”. La sentenza in commento fornisce invece risposta positiva al quesito di diritto con il principio innanzi massimato, prendendo espressamente in esame l'overruling in materia processuale, attuato dalle S.U. nel 2013, circa la natura non negoziale ma giurisdizionale del lodo rituale e, quindi, del relativo arbitrato, e precisando che, nonostante esso, nel caso di specie deve escludersi la sussistenza di una questione di competenza. Il riferimento è, in particolare, a Cass. civ., sez. un., ord., 25 ottobre 2013 n. 24153, per la quale l'attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla l. 5 gennaio 1994, n. 25 e dal d.lg. 2 febbraio 2006, n. 40, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicché lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, dà luogo ad una questione di giurisdizione. Nel caso di specie, però, precisa la S.C. con la sentenza in commento, non si verte in materia di conflitto di competenza tra giudici comuni ed arbitri, caso al quale, invece, si riferisce il principio di diritto di cui a S.U. 2013, ma, esclusivamente, in tema di regolamentazione del perimetro delle due clausole compromissorie, negoziate dalle stesse parti, finalizzata a stabilire quale sia la clausola applicabile alla controversia insorta tra le stesse e, quindi, quale sia il tipo di arbitrato proponibile (rituale o irrituale). Non si tratta, quindi, di una questione di competenza bensì di profilo inerente la corretta delimitazione del complesso delle clausole compromissorie negoziate dalle parti che non è stato investito dal descritto ovverruling, continuando a porsi quale questione di merito. Sicché la S.C. esclude che il giudice di legittimità, quale giudice del fatto processuale, possa esaminare, anche d'ufficio, le clausole compromissorie per stabilire se la controversia in atto rientri nella competenza del giudice ordinario ovvero degli arbitri rituali, potere invece riconosciuto alla S.C. per definire questioni in materia di competenza. Il detto accertamento, quindi, conclude la sentenza in commento, inerendo l'interpretazione di una clausola contrattuale, si traduce in un'indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo nel caso di motivazione inadeguata al punto da non consentire la ricostruzione dell'iter logico-giuridico seguito per giungere ad attribuire all'atto negoziale un determinato contenuto oppure nel caso di violazione di norme ermeneutiche (in tal senso si veda, anche, Cass. civ., sez. VI – I, 30 settembre 2015 n. 19546). Osservazioni
Le argomentazioni della sentenza in esame sembrerebbero condivisibili nella parte in cui chiariscono che la questione di diritto di cui innanzi non è investita dall'overruling del 2013, inerendo non la competenza bensì l'interpretazione della convenzione stipulata tra le parti, per verificare se si versi in materia di arbitrato rituale o di arbitrato irrituale. Nel caso in esame, difatti, il problema non è difatti quello di accertare la competenza del giudice ordinario o degli arbitri rituali bensì verificare se la controversia, per volontà delle parti, debba essere decisa da arbitri rituali ovvero composta negozialmente da arbitri irrituali. La statuizione in commento potrebbe però destare qualche perplessità, in termini di compatibilità con altro arresto della giurisprudenza di legittimità, ove statuisce in merito ai limiti del sindacato di legittimità in merito alla sentenza emessa in sede di impugnazione per nullità del lodo, con la quale la Corte territoriale abbia individuato il perimetro della clausola compromissoria in arbitrato rituale. La stessa S.C., difatti, con altra sentenza, precisa che al fine di qualificare l'arbitrato come rituale o irrituale, circostanza che rileva nel caso oggetto di attuale disamina, la Corte di cassazione opera come giudice del fatto ed ha, dunque, il potere di accertare direttamente, attraverso l'esame degli atti e degli elementi acquisiti al processo, la volontà delle parti espressa nella clausola compromissoria, in quanto la relativa qualificazione incide sull'ammissibilità dell'impugnazione della decisione arbitrale, esclusa nel caso di arbitrato irrituale (Cfr., Cass. civ., sez. I, 18 novembre 2015 n. 23629). Nell'esercizio di tale attività di accertamento, il criterio discretivo tra le due figure consiste nel fatto che nell'arbitrato rituale le parti vogliono la pronuncia di un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all'art. 825 c.p.c., con le regole del procedimento arbitrale, mentre nell'arbitrato irrituale esse intendono affidare all'arbitro la soluzione di controversie solo attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla loro stessa volontà (Cfr., Cass. civ., sez. I, 18 novembre 2015n. 23629). L'arbitrato rituale e quello irrituale sono dunque riconducibili all'autonomia negoziale ed alla legittimazione delle parti a derogare alla giurisdizione per ottenere una decisione privata della lite. La loro differenza va invece ravvisata nel fatto che le parti, nel primo, vogliono che si pervenga ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all'art. 825 c.p.c., seguendo le relative regole procedimentali, mentre nell'arbitrato irrituale intendono affidare all'arbitro la soluzione di controversie soltanto attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla volontà delle parti stesse, che si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà. Così argomentando, la citata Cass. civ., sez. I, 18 novembre 2015n. 23629 del, precisa che, proprio alla stregua di tali principi, deve essere interpretata la clausola compromissoria, dovendosi comunque tenere conto, quale criterio sussidiario di valutazione ex art. 1362 c.c., della condotta complessiva tenuta dalle parti nelle trattative, nella formazione dei quesiti, nello stesso corso del procedimento arbitrale e successivamente alla pronuncia del lodo. È infine il caso di evidenziare che, qualora, all'esito del procedimento ermeneutico avente ad oggetto la portata del patto compromissorio, residuassero dubbi in ordine all'effettiva scelta dei contraenti, per Cass. civ., sez. I, 7 aprile 2015 n. 6969, anche con riferimento alla disciplina applicabile prima della introduzione dell'art. 808-ter c.p.c. ad opera del d.lg. 2 febbraio 2006, n. 40, essi andrebbero risolti nel senso della ritualità dell'arbitrato, tenuto conto della natura eccezionale della deroga alla norma per cui il lodo ha efficacia di sentenza in ragione della natura giurisdizionale dell'arbitrato rituale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario. CONSOLO C. Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, III ed., Padova, 2012; VERDE G., Arbitrato e giurisdizione: le Sezioni Unite tornano all'antico, in Dir. proc. civ., 2014, n. 1, pag. 91 e ss.; PETRILLO C., in “Commentario alle riforme del processo civile”, a cura di Bruguglio A. e Capponi B., Volume III, Tomo II, “Arbitrato – Entrata in vigore della nuova discipline sul giudizio di cassazione e dell'Arbitrato”, sub art. 27 d.lg., 2 febbraio 2006, n. 40, e sub art. 58 l. 18 giugno 2009, n. 69, Padova, 2009. |