La domanda ex art. 96 c.p.c. è proponibile esclusivamente nel giudizio di merito, e non può essere avanzata in autonomo giudizio
30 Maggio 2017
Massima
L'azione di risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. non può, di regola, esercitarsi in un giudizio separato ed autonomo rispetto a quello da cui la responsabilità stessa ha origine, salvo che la sua proposizione sia stata preclusa per l'evoluzione propria dello specifico processo da cui detta responsabilità è scaturita, ovvero per ragioni non dipendenti dalla inerzia della parte. Il caso
Un debitore agiva in giudizio, formulando istanza di risarcimento ex art. 96 c.p.c., nei confronti di una banca che in un altro giudizio di opposizione ex art. 617 c.p.c. aveva ottenuto la revoca del provvedimento di riduzione del pignoramento, ritenendo che il creditore avesse prodotto documenti “artefatti”. I giudici di merito dichiaravano inammissibile la richiesta di condanna ex art. 96 c.p.c. I giudici di legittimità, con la pronuncia in commento, confermano la statuizione dei giudici di merito. La questione
La questione in esame è la seguente: qual è il giudice competente a conoscere della domanda ex art. 96 c.p.c.? Le soluzioni giuridiche
La responsabilità processuale aggravata, disciplinata dall'art. 96 c.p.c. si declina in due diverse ipotesi l'una relativa all'aver agito o resistito in giudizio in malafede o colpa grave e l'altra relativa invece all'aver agito senza la normale prudenza istando per un provvedimento cautelare o trascrivendo una domanda giudiziale o iscrivendo una ipoteca giudiziale ovvero ancora iniziando o compiendo l'esecuzione forzata. La responsabilità processuale aggravata è in sostanza una reazione al comportamento illecito della parte attinente al rapporto di diritto sostanziale ma proiettato nell'ambito processuale e costituisce una tutela di tipo aquiliano avente carattere di specialità rispetto a quella prevista, in via generale, dall'art. 2043 c.c. (Cass.n. 18344/2010). In linea generale, dottrina e giurisprudenza ritengono, sulla base dell'inequivoco dato normativo rinvenibile nell'art. 96 c.p.c. che la domanda volta ad ottenere il risarcimento dei danni provocati da iniziative giudiziarie asseritamente avventate non è proponibile al di fuori del processo in cui la condotta generatrice della responsabilità aggravata si è manifestata (Cass. n. 2727/2017, ove si è affermato che il potere di rivolgere l'istanza, essendo previsto come potere endoprocessuale collegato e connesso all'azione o alla resistenza in giudizio, non può essere considerato come potere esercitabile al di fuori del processo e, quindi, suscettibile di essere esercitato avanti ad altro giudice, cioè in via di azione autonoma; Cass. n. 10960/2010; Cass. n. 24538/2009, ove si è precisato che l'stanza ai sensi dell'art. 96 c.p.c., pur essendo volta ad attivare una tutela di tipo aquiliano …non può tuttavia essere considerata espressione di una potestas agendi esercitabile al di fuori del processo in cui la condotta generatrice della responsabilità aggravata si è manifestata, e quindi in via autonoma e consequenziale e successiva, davanti ad altro giudice, salvo i casi in cui la possibilità di attivare il mezzo offerto dall'art. 96 c.p.c. sia rimasta preclusa in forza dell'evoluzione propria dello specifico processo dal quale la responsabilità aggravata ha avuto origine; Cass. n. 17155/2009; nella giurisprudenza di merito: Trib. Verona, 23 gennaio 2015). Si è precisato che qualora fosse proposta una domanda ex art. 96 c.p.c. al di fuori del processo – cui la responsabilità processuale si riferisse – non ricorrerebbe una situazione di esercizio di un'azione davanti ad un giudice diverso da quello che sarebbe stato competente, bensì, l'esercizio di un'azione per un diritto non previsto dall'ordinamento, il quale prevede il diritto di vedersi liquidare il danno da responsabilità aggravata (nelle due ipotesi previste dall'art. 96 c.p.c., 2° comma) soltanto come diritto espressione del diritto di azione esercitato in un processo a tutela della situazione giuridica principale che vi sia dedotta e, quindi, come diritto che di tale situazione è conseguenza e che, perciò, lo è anche dell'azione con cui essa è fatta valere, in via attiva o passiva (Cass. n. 9297/2007). L'assunto poggia su una duplice ragione di motivazioni: a) nessun giudice può giudicare la temerarietà processuale meglio di quello stesso che decide sulla domanda che si assume temeraria; b) la valutazione del presupposto della responsabilità processuale è così strettamente collegata con la decisione di merito da comportare la possibilità, ove fosse separatamente condotta, di un contrasto pratico di giudicati (Cass. n. 12952/2007; Cass. n. 12642/1992). Da ciò i giudici fanno discendere la inammissibilità di una pronuncia limitata all'an, con rimessione della liquidazione del quantum in separato giudizio, ancorché vi sia istanza o accordo delle parti (Cass. n. 9309/2015; Cass. n. 2013/2014; Cass. n. 2967/1999). Questa regola è passibile di qualche deroga, qualora il procedimento, per qualsiasi motivo, non pervenga alla fase conclusiva della decisione, ovvero, quando i danni si manifestino in uno stadio processuale in cui non sia più possibile farli valere tempestivamente davanti il giudice di merito — come nel caso in cui le frasi offensive siano contenute nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado, per cui osterebbe alla successiva proposizione il divieto dello ius novum anche in appello. In tal caso, l'azione di danni per responsabilità processuale può essere proposta davanti al giudice competente secondo le norme ordinarie, dal momento che la responsabilità processuale ha natura analoga a quella aquiliana, e quindi, l'antigiuridicità dei comportamenti previsti nelle norme suddette non si esaurisce nell'ambito del processo (Cass. n. 11617/1992; Cass. sez. un. n. 6597/2001: l'azione di risarcimento del danno subito in conseguenza della trascrizione di una domanda giudiziale trova il suo titolo giuridico nell'art. 2043 c.c. nell'ipotesi di domanda non trascrivibile, in quanto non ricompresa in nessuno dei casi previsti dagli artt. 2652 e 2653 c.c., dovendosi ravvisare nella formalità eseguita contra legem un vero e proprio fatto illecito (trascrizione illegittima); ne consegue che la domanda di risarcimento dei danni può, in tale fattispecie, essere proposta in un separato processo e non soltanto nel corso del giudizio relativo alla pronuncia di merito; l'azione risarcitoria trova invece fondamento nell'art. 96, comma 2º, c.p.c., che disciplina la responsabilità processuale aggravata, nell'ipotesi di domanda che, pur essendo astrattamente suscettibile di trascrizione, in concreto non poteva esserlo, non sussistendo il diritto che con quella domanda viene fatto valere (trascrizione ingiusta), sicché solo in tale evenienza è preclusa la possibilità di accertare il danno in un giudizio autonomo). Un'altra deroga si ha se la parte interessata non abbia potuto partecipare al giudizio, come accade se è pronunciata la nullità della sentenza dichiarativa di fallimento per inesistenza della notifica dell'istanza introduttiva, avvenuta, in ipotesi, nei confronti di soggetto diverso dal legittimo contraddittore. Chi è stato dichiarato irritualmente fallito, rimasto estraneo alla procedura concorsuale, può proporre l'ordinaria azione di responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., restandogli invece preclusa l'azione di responsabilità aggravata ai sensi degli artt. 96 c.p.c. e art. 22, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, non avendo partecipato al giudizio (Cass. n. 12841/2014). Osservazioni
Il fenomeno della responsabilità aggravata per illecito processuale si colloca all'interno di un processo già pendente e si esprime nell'esercizio di un potere all'interno di esso, quello di formulare l'istanza (e non di promuovere una azione) di risarcimento del danno il cui esercizio impone al giudice di provvedere sull'oggetto della istanza, strettamente collegata e connessa ad agire o a resistere in giudizio. Si tratta quindi di un potere endoprocessuale non esercitabile al di fuori del processo che legittima tale potere e quindi non suscettibile di essere esercitato davanti ad un altro giudice, in via di azione autonoma. In quest'ultimo caso si avrebbe esercizio di una azione per un diritto non previsto dall'ordinamento e come tale inammissibile: la vicenda della responsabilità aggravata per illecito processuale, che non si configura quale oggetto di una autonoma domanda, presuppone soltanto una istanza endoprocessuale. Pertanto, se soltanto il giudice che ha deciso la controversia è competente a pronunciarsi sulla domanda risarcitoria, significa che con queste norme sono funzionali alla tutela dell'interesse dello Stato a non dover impiegare inutilmente le – già scarse – risorse giurisdizionali. Così invece non pare, dal momento che il giudice può provvedere d'ufficio sul quantum, ma sul presupposto di una esplicita domanda di parte, anche ai sensi dell'art. 96, comma ult., c.p.c. la cui condanna pare più vicina alla astreinte che al risarcimento del danno. Se, al contrario, si attribuisce a qualsiasi giudice il potere di pronunciarsi sulla medesima domanda, il soggetto maggiormente tutelato diventa la vittima di un processo ingiusto. La parte che nel primo grado del processo, pur risultando vittoriosa, non abbia ottenuto soddisfazione sulla domanda ex art. 96 c.p.c., necessariamente dovrebbe promuovere l'appello della sentenza, ma in questo modo si vedrebbe ulteriormente pregiudicata dal rischio di un ulteriore ed infondato appello incidentale che le farebbe rivivere il disagio già provato nel precedente grado. In mancanza di precise indicazioni normative sulla questione, mi sembra opportuno rivedere l'orientamento e con esso lo stretto legame con il processo in atto (Cass. n. 7100/1993: la richiesta di risarcimento danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., non è proponibile per la prima volta in cassazione quando sia riferita al comportamento tenuto dalla parte nelle fasi precedenti del giudizio). |