Il tardivo esperimento della mediazione e conseguenze processuali connesse

Roberto Masoni
11 Luglio 2016

In caso di opposizione a decreto ingiuntivo, la parte su cui grava l'onere di avviare il procedimento di mediazione, ai sensi dell'art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010, è la parte opponente.
Massima

In caso di opposizione a decreto ingiuntivo, la parte su cui grava l'onere di avviare il procedimento di mediazione, ai sensi dell'art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010, è la parte opponente: è infatti l'opponente che ha il potere e l'interesse ad introdurre il giudizio di merito.

L'omessa richiesta di proroga del termine ordinatorio di quindici giorni assegnato dal giudice per l'esperimento della mediazione determina improcedibilità dell'azione.

Il caso

Proposta opposizione a decreto ingiuntivo e provveduto sulla richiesta di concessione/sospensione dell'esecutività, il giudice aveva assegnato a parte opponente termine di quindici giorni per depositare istanza avanti ad organismo di mediazione. L'istanza era stata depositata tardivamente, ben oltre il termine giudizialmente fissato. A fronte di eccezione sollevata dalla difesa dell'opposto, il giudice perviene a declaratoria di improcedibilità dell'opposizione, pronunziando ex art. 281-sexies c.p.c.

La questione

La sentenza pronunziata dal Tribunale di Monza pone due questioni.

Da un canto, ritiene che l'onere di presentazione dell'istanza di mediazione all'organismo competente sia posto a carico della parte opponente al monito e non già a carico dell'opposto. E, d'altro canto, opina pure che il deposito tardivo dell'istanza, una volta decorso il termine assegnato al giudice e non prorogato, determini l'effetto preclusivo dell'improcedibilità dell'opposizione, con susseguente passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo opposto.

Le soluzioni giuridiche

La prima questione è stata di recente sottoposta al vaglio del Supremo Organo di Legittimità che ha sciolto il rovello interpretativo.

Ebbene, con una pronunzia già commentata favorevolmente, la Corte di Cassazione (Cass. civ., 3 dicembre 2015, n. 24629) ha ritenuto di aderire all'orientamento interpretativo che pone a carico dell'opponente l'onere della presentazione dell'istanza all'organismo di mediazione.

La pronunzia in rassegna aderisce a questo autorevole e convincente arresto, peraltro non ancora completamente e da tutti metabolizzato.

In vero, l'ulteriore questione interpretativa affrontata dalla pronunzia di merito potrebbe sollevare maggiori perplessità interpretative, anche alla luce della gravità degli effetti processuali che essa induce.

Osservazioni

L'art. 5, comma 2-bis, del d.lg. n. 28 del 2010, espressamente dispone che, laddove il giudice rilevi che la mediazione è iniziata ma non si è conclusa, ovvero, non è stata esperita, egli «assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell'istanza di mediazione».

Non c'è dubbio che il termine dato dal giudice alle parti abbia natura giuridica di termine processuale, in quanto lo stesso viene assegnato durante lo svolgimento del processo, cosicchè è soggetto alla generale disciplina dei termini (artt. 152 - 155 c.p.c.).

E, d'altro canto, come pure ha cura di precisare la decisione in commento, neppure è discusso che il termine assegnato per l'esperimento della procedura compositiva di mediazione abbia natura ordinatoria, dato che il d.lgs. n. 28/2010 non commina decadenza o preclusione di sorta scaturente dalla sua inosservanza.

Tuttavia, da tali corrette premesse in diritto, la pronunzia perviene a ritenere improcedibile il giudizio di opposizione in quanto tardivamente introdotta la procedura compositiva obbligatoria. La motivazione dell'approdo risulta evincibile in forza del richiamo a quell'orientamento nomofilattico che, dalla mancata richiesta di proroga del termine ordinatorio, fa discendere la decadenza o la preclusione dal compimento dell'atto che doveva compiersi entro un determinato termine: «poiché i termini stabiliti dal giudice per il compimento di un atto processuale sono, ai sensi dell'art. 152 c.p.c., ordinatori, salvo che la legge li dichiari espressamente perentori o la perentorietà consegua allo scopo e alla funzione adempiuta, ad essi non si applica il divieto di abbreviazione e di proroga sancito dall'art. 153 c.p.c. per i termini perentori; peraltro, la proroga, anche d'ufficio, dei termini ordinatori è consentita dall'art. 154 c.p.c. soltanto prima della loro scadenza, sicché il loro decorso senza la presentazione di un istanza di proroga, determinando gli stessi effetti preclusivi della scadenza dei termini perentori, impedisce la concessione di un nuovo termine, salva, per quanto riguarda la fase istruttoria della causa, la rimessione in termini prevista dall'art. 184 bis c.p.c., sempre la decadenza si sia verificata per causa non imputabile alla parti» (ad es., Cass. civ., 5 febbraio 2003, n. 6895; Cass. civ., 19 gennaio 2005, n. 1064; Cass. civ., 15 dicembre 2011, n. 27086).

A tale dogmatica si contrappone un'antitetica impostazione la quale afferma, invece, che: «i termini ordinatori possono essere prorogati sia prima che dopo la loro scadenza senza che, nella seconda ipotesi, possano derivare effetti preclusivi analoghi a quelli che conseguono all'inosservanza di un termine perentorio; pertanto, il termine per la notifica del ricorso per la riassunzione del processo interrotto e del decreto di fissazione dell'udienza apposto ai sensi dell'art. 303 c.p.c. può essere prorogato dopo la scadenza, salvo che non sia già decorso il semestre dalla dichiarazione di interruzione» (Cass. civ., 8 febbraio 2000, n. 1364; Cass. civ., 16 agosto 1993, n. 8711).

Quindi, stando al primo orientamento, il mancato rispetto del termine ordinatorio non prorogato determina il medesimo effetto processuale susseguente al mancato rispetto del termine perentorio (Cass. civ., 23 giugno 1980, n. 3933; Cass. civ., 25 luglio 1992, n. 8976; Cass. civ., 26 novembre 1992, n. 12640; Cass. civ., 29 gennaio 1999, n. 808), ovvero la decadenza; mentre, secondo la seconda dommatica (che nella giurisprudenza di legittimità parrebbe minoritaria), nessuna conseguenza processuale sarebbe rinvenibile per effetto dell'omissione dal tempestivo compimento dell'atto.

In vero, anche nella nostra processualistica, non da poco tempo, è riscontrabile un contrasto di opinioni al riguardo, ad oggi irrisolto.

In questa sede e nel limite dettato da queste brevi note si può unicamente rilevare che un termine fissato dal giudice, per quanto avente natura ordinatoria, viene posto per essere rispettato, ponendosi altrimenti l'ordinamento processuale in trasparente contraddizione con sé stesso. Appare così corretto ritenere che l'istituto della decadenza sia connaturato alla stessa nozione dei termini.

In conclusione, il primo orientamento nomofilattico testè riferito, formatosi in materia di termini ordinatori non prorogati, laddove applicato alla materia della mediazione può determinare effetti processuali assai gravi, per non dire dirompenti, come ha evidenziato l'arresto in rassegna, che giunge alla pronunzia di improcedibilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo.

Tuttavia, se i principi generali hanno un senso, ad essi non può derogarsi in casi o situazioni peculiari (e sempre che si condivida la prima impostazione dogmatica in precedenza riferita), per quanto gravose possano rivelarsi le conseguenze processuali. D'altro canto, in termini di carattere generale, un'interpretazione rigorosa in materia potrebbe rivelarsi utile nell'ottica deflattiva che caratterizza l'istituto; siffatta interpretazione potrebbe contribuire a rafforzare e valorizzare la cultura della mediazione così garantendo il doveroso rispetto e l'effettiva applicazione della normativa affidata al d.lgs. n. 28/2010, e, dall'altro, assicurare la concreta osservanza del provvedimento giudiziale che dispone il componimento conciliativo.

Guida all'approfondimento

ANDRIOLI, Commentario al codice di procedura civile, Napoli, 1961, III° ed., I, 409;

BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, Bari, 2015, IV° ed., I, 252;

COSTA, voce Termini diritto processuale civile, in Noviss. Dig., it., Torino, 1973, XIX, in part. 121;

MANDRIOLI, CARATTA, Diritto processuale civile, Torino, 2014, XXIII° ed., I, 505;

MASONI, La mediazione nel processo civile, Milano, 2015, 148-149;

MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, Padova, 2012, VI° ed., I, 306;

REDENTI, Diritto processuale civile, Milano, 1980, III° ed., I, 247;

SATTA, Commentario al codice di procedura civile, Libro primo, Milano, 1959, 532.

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