L'anticipazione delle spese per la conservazione dell'immobile pignorato

Pasqualina Farina
05 Luglio 2016

Le spese necessarie alla conservazione dell'immobile pignorato, finalizzate al mantenimento in fisica e giuridica esistenza del bene in quanto strumentali al perseguimento del risultato fisiologico della espropriazione, rientrano tra le spese per gli atti necessari al processo.
Massima

Le spese necessarie alla conservazione dell'immobile pignorato (finalizzate al mantenimento in fisica e giuridica esistenza del bene in quanto strumentali al perseguimento del risultato fisiologico della espropriazione) rientrano tra le spese "per gli atti necessari al processo" che, ai sensi dell'art. 8 del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, il giudice può porre in via di anticipazione a carico del creditore procedente. Tali spese dovranno essere rimborsate come privilegiate ex art. 2770 c.c. al creditore che le abbia corrisposte in via di anticipazione.

Il caso

Nel corso di un'espropriazione forzata immobiliare, il giudice addossava al creditore procedente l'anticipazione di euro 3.869,90, per rimediare alle infiltrazioni di acqua che avevano interessato una parte del bene pignorato, somme che il debitore pignorato aveva escluso di poter affrontare.

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha rigettato l'opposizione agli atti esecutivi proposta dal creditore procedente, decisione successivamente impugnata con ricorso per cassazione.

La Suprema Corte ha confermato la sentenza resa dal Tribunale sull'opposizione agli atti.

La questione

La Cassazione si era già pronunciata sui costi per la conservazione dell'immobile pignorato, affermando che nell'impossibilità di custodire i beni pignorati senza spese, queste vanno anticipate dal creditore procedente su provvedimento del giudice. Laddove tale provvedimento non sia stato emesso o eseguito ed il custode non si sia dimesso, le suddette spese gravano sul medesimo custode che, su autorizzazione del giudice, può utilizzare i redditi ricavati dalle cose pignorate. Di qui il principio che il custode non può assumere obbligazioni nei confronti dei terzi, impegnando direttamente verso costoro il creditore procedente (Cass. civ., 20 luglio 1976, n. 2875, in Giur. it., 1977, I, 1, 1960, e in Giust. civ., 1976, I, 1776).

A distanza di quaranta anni dal precedente richiamato, la Corte prende atto che nell'attuale contesto normativo, successivo alle modifiche del 2005, va escluso un obbligo di anticipazione da parte del custode, stante il munus di carattere pubblicistico ad esso affidato e una mancata previsione in tal senso negli artt. 559 s. c.p.c.

Soluzioni giuridiche

La soluzione a tale quesito non è di poco conto e viene individuata dai Giudici nel primo comma dell'art. 8, d.P.R. n. 115/2002(T.U. Spese di giustizia) per il quale ogni parte provvede alle spese degli atti processuali che compie e che chiede e le anticipa per gli atti necessari al processo, se così stabilito dalla legge o dal magistrato.

Nella ricostruzione della Corte l'attribuzione al creditore delle spese di manutenzione sarebbe imposta dal risultato fisiologico cui tende il processo di esecuzione, senza peraltro esporre il creditore al rischio di una (eventuale) responsabilità per il perimento del bene pignorato e/o di eventuali danni a terzi.

Distingue, inoltre la Corte, le spese necessarie - volte alla conservazione fisica, attinenti alla struttura, e giuridica del bene, oltre a quelle per la custodia - da quelle inerenti alla manutenzione ordinaria e straordinaria e alla gestione condominiale, spese quest'ultime che non possono invece addossarsi al creditore; al contempo viene precisato che il creditore ha diritto al rimborso delle spese anticipate, assistite dal privilegio ex art. 2770 c.c.

Né potrebbe ritenersi, secondo i Giudici, fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata sulle norme della custodia nell'esecuzione singolare rispetto all'art. 146, T.U. Spese di giustizia: non sussisterebbe, difatti, disparità di trattamento tra creditore procedente (o custode) e curatore fallimentare, trattandosi di posizioni del tutto disomogenee.

Resta da dire che la sentenza in commento rimette al giudice dell'esecuzione il compito di valutare l'economicità della procedura ex art. 164-bis disp. att. c.p.c., computando tra i costi necessari della procedura anche quelli della custodia e quelli di cui all'art. 8, T.U. Spese di giustizia.

Osservazioni

La sentenza in commento non convince per diverse ragioni. Innanzitutto perchè limita l'accesso all'espropriazione ai soli creditori forti (gli istituti di credito) o con ampia capacità reddittuale, sempre che siano in possesso di un titolo esecutivo per un importo elevato. Se alle spese necessarie per l'esecuzione si sommano quelle per la conservazione dell'immobile, è inevitabile che il creditore agirà in executivis dopo aver valutato la convenienza dell'esecuzione, ovvero e cioè se il credito da recuperare è di notevole valore oppure l'immobile del debitore è in buone condizioni (circostanza non sempre semplice da accertare).

In secondo luogo va rilevato che il diritto di credito potrebbe essere soddisfatto dalla vendita dell'immobile nello stato in cui si trova o addirittura dal terreno su cui insiste il bene pericolante, senza gravare il creditore di ulteriori esborsi.

Non solo. A differenza del precedente del 1974, nulla si dice sulle conseguenze della mancata anticipazione delle somme. Nonostante il riferimento all'art.164-bis disp att. c.p.c. (richiamato per superarere i rilievi del ricorrente onerato dell'anticipazione di ulteriori somme per un'esecuzione che potrebbe rivelarsi infruttuosa), non sembrano sussistere i presupposti perché il giudice «sanzioni» l'omesso versamento delle somme con la chiusura ex art. 164-bis, che deve essere necessariamente preceduta da diversi tentativi di vendita (almeno 4) come dimostra implicitamente il novellato art. 591 c.p.c.

Da ultimo, lascia perplessi l'individuazione di un diverso regime delle spese per la conservazione dell'immobile nell'esecuzione singolare, rispetto a quello proprio del fallimento. Se è vero che i compiti di curatore e quelli del custode non sono affatto coincidenti, è indiscutibile che l'efficienza dell'espropriazione singolare si fonda su quelle prassi virtuose che hanno accentuato i «poteri di custodia attiva» di cui agli artt. 559 s. c.p.c., sulla falsariga delle funzioni svolte dal curatore fallimentare. Si aggiunga che, come affermato dalla dottrina, entrambe le procedure perseguono la soddisfazione dei creditori: non sussiste, dunque, la disomogeneità riscontrata dalla Corte tra creditore procedente/custode e curatore. A sconfessare tale assunto, basti considerare che l'art. 107 l. fall., consente al curatore di sostituirsi nel ruolo del creditore procedente per proseguire l'esecuzione intrapresa nei confronti del debitore (poi fallito); e che la più attenta giurisprudenza di merito ha confermato la compatibilità dei principi di cui all'art. 560 c.p.c. con la legge propria del fallimento (cfr., si vis, P. Farina,La liberazione della casa del debitore ex art. 560, comma 3, c.p.c. ed il divieto posto dall'art. 47, comma 2, l. fall.., in Dir. fall., 2014, 364 ss., nota a Trib. Reggio Emilia, 26 ottobre 2013).

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