Motivi di non riconoscimento delle decisioni in tema di responsabilità genitoriale (ordine pubblico)
05 Luglio 2016
Massima
L'art. 23, lett. a), del Reg. (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, deve essere interpretato nel senso che, in mancanza di una violazione manifesta, tenuto conto dell'interesse superiore del minore, di una norma giuridica considerata essenziale nell'ordinamento giuridico di uno Stato membro o di un diritto riconosciuto come fondamentale in detto ordinamento giuridico, tale disposizione non consente al giudice di uno Stato membro che si ritenga competente a statuire sull'affidamento di un minore di negare il riconoscimento della decisione di un giudice di un altro Stato membro che abbia statuito sull'affidamento di tale minore. Il caso
Un tribunale di primo grado svedese proponeva alla C.G.U.E. domanda di pronuncia pregiudiziale, vertente sull'interpretazione degli artt. 23 lett. a) e 24 del Reg. (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale (in seguito: Regolamento o Reg.). La domanda veniva presentata nell'ambito di una controversia sorta tra i «coniugi» divorziati A. e B., in merito al diritto di affidamento dei loro figli (V. e Z.). Ante iudicium, i due figli erano collocati presso la madre B., in regime di affidamento congiunto. Sul finire dell'anno 2013, A. constatava la scomparsa di B. e dei due figli. Risultava, in seguito, che B. aveva denunciato pretesi reati commessi da A. nei confronti suoi e dei figli e che unitamente ad essi era stata collocata in un luogo di accoglienza. Il procedimento penale instaurato nei confronti di A. veniva archiviato in breve periodo, venendo, peraltro, a lui imposto il divieto di entrare in contatto con i familiari. Nel marzo 2014, B. si trasferiva in Lituania unitamente ai figli e subito dopo adiva un giudice di tale Stato chiedendo una decisione provvisoria sulla residenza e l'affidamento del figlio Z., nonché il riconoscimento di un assegno alimentare per entrambi i figli. Nell'aprile 2014, A. proponeva ricorso innanzi ad un giudice svedese onde ottenere l'affidamento esclusivo dei figli. Pressoché in contemporanea, il giudice lituano adito da B. stabiliva in via provvisoria la residenza di Z. presso la madre. Nel giugno 2014, A. presentava all'Autorità Centrale svedese domanda di ritorno dei minori ai sensi della Convenzione fatta a L'Aja il 25 ottobre 1980. Tale domanda veniva respinta dal competente giudice lituano, immediatamente interessato dall'A.C. svedese, e tale decisione veniva confermata il 21/10/2014 dal giudice lituano di secondo grado, basandosi sull'art. 13 della citata Convenzione. Nell'ottobre 2014, il giudice svedese, «a seguito di istruzione svoltasi in udienza in assenza di B.», disponeva in via provvisoria l'affidamento esclusivo dei due figli ad A. Con decisione del febbraio 2015 il giudice lituano adito nell'aprile 2014 stabiliva la residenza di Z. presso il domicilio della madre B. e condannava A. al versamento di un assegno alimentare per i due figli. Successivamente, A. chiedeva al giudice svedese adito di voler negare riconoscimento alla sentenza testé ricordata, giusta contrasto con l'ordine pubblico [art. 23 lett. a) Reg.], per grave violazione, da parte del giudice lituano, intenzionalmente o per ignoranza, sia dell'art. 15 Reg. (non avendo ricevuto alcun invito ad «assumere la competenza»), sia del principio fondamentale secondo il quale, in materia di sottrazione di minori, la decisione spetta, in definitiva, ai giudici del paese di residenza d'origine del minore. Anche in considerazione delle difese esposte da B., il giudice svedese adito da A., decideva di sospendere il giudizio e, ritenuta sussistere la propria competenza ex art. 8, par, 1, Reg., sul rilievo che al momento (marzo e aprile 2014) della presentazione degli originari ricorsi entrambi i figli di A. e B. avevano la loro residenza abituale in Svezia, riteneva di sottoporre alla C.G.U.E. questione pregiudiziale: se il giudice del rinvio sia tenuto, ai sensi dell'art. 23, lett. a), del Regolamento o di qualsiasi altra disposizione, e a prescindere dall'art. 24 Reg. stesso, a negare il riconoscimento della decisione pronunciata dal giudice lituano nel febbraio 2015 e, «quindi, a proseguire il procedimento relativo all'affidamento di minori attualmente pendente» di fronte a sé. La questione
La questione giuridica sottoposta alla C.G.U.E. e che interessa in questa sede è stata quella di stabilire se l'art. 23, lett. a), Reg. n. 2201/2003 debba essere interpretato nel senso di consentire, in circostanze come quelle riferite nel precedente paragrafo, al giudice di uno Stato membro che si ritenga competente a giudicare sull'affidamento di un minore, di rifiutare il riconoscimento della decisione di un giudice di un altro Stato membro che abbia statuito sull'affidamento del minore medesimo. Le soluzioni giuridiche
In premessa, la Corte di Giustizia ha affermato che, poiché il disposto dell'art. 23 Reg., che enuncia i motivi legittimanti il diniego del riconoscimento di una decisione relativa alla responsabilità genitoriale, costituisce un ostacolo alla realizzazione di uno degli obiettivi fondamentali del Regolamento (considerando n. 21: «il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni rese in uno Stato membro dovrebbero fondarsi sul principio della fiducia reciproca e i motivi di non riconoscimento dovrebbero essere limitati al minimo indispensabile»), esso deve essere fatto oggetto di un'interpretazione restrittiva. A seguire, la Corte ha affermato che, pur non spettandole di definire il contenuto dell'ordine pubblico di uno Stato membro, rientra nei suoi compiti controllare i limiti entro i quali il giudice di uno Stato membro può ricorrere a tale «nozione» per non riconoscere una decisione emanata da un giudice di un altro Stato membro. La Corte ha, quindi, precisato che, stando al disposto dell'art. 23 lett. a) Reg., il ricorso alla clausola dell'ordine pubblico per dare supporto alla decisione di rifiuto di exequatur dovrebbe essere ammissibile solo ove, tenuto conto dell'interesse superiore del minore, il riconoscimento della decisione pronunciata in un altro Stato membro contrasti in modo inaccettabile, per lesione di un principio fondamentale, con l'ordinamento giuridico dello Stato richiesto: « … la lesione dovrebbe costituire una violazione manifesta, alla luce dell'interesse superiore del minore, di una norma giuridica considerata essenziale nell'ordinamento giuridico dello Stato richiesto o di un diritto riconosciuto come fondamentale in tale ordinamento». Questo posto, la Corte ha annotato che dagli atti non risultava la presenza nell'ordinamento svedese né di norme né di diritti con tali qualità, che avrebbero potuto subire lesione qualora fosse stata riconosciuta la decisione del giudice lituano del febbraio 2015. Quanto alla questione relativa all'asserita violazione delle regole di competenza da parte del giudice lituano, la Corte ha ricordato che l'art. 24 Reg. esclude il riesame della competenza giurisdizionale dell'a.g. dello Stato membro d'origine, esplicitamente precisando che l'art. 23 lett. a) non può essere utilizzato per procedere ad un tale riesame; restando, comunque, consentito, ricorrendone le condizioni, il ricorso al procedimento («riesame») di cui all'art. 11, par. 8, Reg. La Corte ha, infine, enunciato il dispositivo come da massima. Osservazioni
I motivi di non riconoscimento delle decisioni relative alla responsabilità genitoriale sono tassativamente indicati nell'art. 23 Reg. Fra essi rileva, per quanto di interesse in questa sede, quello secondo cui il riconoscimento non può avvenire «se, tenuto conto dell'interesse superiore del minore, il riconoscimento è manifestamente contrario all'ordine pubblico dello Stato membro richiesto ... ». ii) L'ordine pubblico di riferimento è quello interno (complesso di principi fondamentali che caratterizzano l'ordinamento interno in un determinato periodo storico), in quanto istituzionalmente chiamato a costituire barriera all'ingresso nelle realtà socio-giuridiche dei vari Stati membri dell'U.E. di provvedimenti portatori di principi non compatibili con scelte di valori irrinunciabili, peraltro con contenuti via via tendenti ad uniformarsi, in un costante processo di ravvicinamento, per adattamento al diritto comunitario, oltre che al diritto internazionale consuetudinario e pattizio. iii) Deve essere chiarito che il limite dell'ordine pubblico è da riferire sia al contenuto (c.d. ordine pubblico sostanziale) della decisione straniera, sia al suo procedimento formativo (c.d. ordine pubblico processuale). Per ciò che attiene all'ordine pubblico processuale, la Corte Suprema di Cassazione ha affermato che i principi da tenere in considerazione sono unicamente quelli riconducibili ai principi inviolabili posti, nel nostro ordinamento, a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio, non anche alle modalità con cui tali diritti sono regolamentati o si esplicano nelle singole fattispecie; e ciò in ragione delle statuizioni in materia della Corte di Giustizia, le cui pronunce costituiscono l'interpretazione autentica del diritto dell'U.E. e, in forza del primato del diritto comunitario, sono vincolanti per il giudice interno(Cass. civ., sez. I, 9 maggio 2013, n. 11021; nello stesso senso, Cass. civ., sez. I, 3 settembre 2015, n. 17519). iv) Nel caso sottoposto all'attenzione della C.G.U.E. nella vicenda in esame, è venuto in considerazione l'ordine pubblico processuale. v) Non è controverso che in ambiti comunitari il limite dell'ordine pubblico vada interpretato restrittivamente (considerando n. 12 del Regolamento – si veda il precedente paragrafo). Tale modalità è, nel caso concreto, necessitata dall'utilizzo, nell'art. 23 Reg., dell'avverbio «manifestamente», con cui si vuole chiaramente indicare che il ricorso al limite dell'ordine pubblico deve essere eccezionale. Per di più, ogni valutazione deve essere effettuata tenendo prioritariamente conto dell'interesse superiore del minore. In altri termini, la contrarietà all'ordine pubblico può divenire rilevante agli effetti del diniego di riconoscimento della decisione straniera nelle sole ipotesi in cui la stessa, nonché essere «manifesta», vada ad incidere negativamente sulla vicenda del minore. vi) Nella fattispecie, stando a ciò che si evince dalla sentenza in commento, l'invocabilità del limite dell'ordine pubblico appariva preclusa, non essendo rilevabile nell'ordinamento dello Stato richiesto la presenza di norme essenziali o di diritti fondamentali suscettibili di lesione in caso di riconoscimento della decisione straniera. Il limite dell'ordine pubblico non poteva ritenersi invocabile neppure nell'ipotesi in cui il giudice straniero fosse apparso manifestamente incompetente alla luce delle stesse norme regolamentari in base alle quali aveva affermato la propria competenza. Ed invero, essendo stabilito (art. 24 Reg.) che il criterio dell'ordine pubblico non può essere applicato alle norme sulla competenza, esso non potrà essere invocato per consentire al giudice dello Stato richiesto di sottoporre a riesame la competenza giurisdizionale del giudice dello Stato di origine. Va chiarito che, se pur la citata disposizione, nell'escludere la possibilità di tale riesame, fa richiamo unicamente agli articoli da 3 a 14 del Regolamento e non anche all'art. 15, ciò non comporta alcuna eccezione, dal momento che quest'ultima norma si colloca, semplicemente integrandolo, nel sistema, senza che le si possa attribuire valenza autonoma.
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