Al Primo Presidente la questione sulla validità della modalità strutturale dell'atto del processo in forma di documento informatico

Vito Amendolagine
05 Settembre 2017

La questione rimessa al Primo Presidente affinchè valuti l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite riguarda gli effetti della violazione delle disposizioni tecniche specifiche sulla forma degli «atti del processo in forma di documento informatico» (o, descrittivamente, nativi informatici) da notificare, in particolare, sull'estensione dei file in cui essi si articolano, ove siano indispensabili per valutare la loro autenticità.
Massima

Va rimessa al Primo Presidente affinchè valuti la possibile assegnazione alle sezioni unite, la quaestio juris relativa alla scelta tra l'alternativa PAdES o CAdES della modalità strutturale dell'atto del processo in forma di documento informatico e firmato da notificare direttamente dall'avvocato, circa la configurabilità o meno, al riguardo, ed in particolare, quando l'atto da notificare comprende anche la procura speciale indispensabile per la ritualità del ricorso o del controricorso in sede di legittimità, di una prescrizione sulla forma dell'atto indispensabile al raggiungimento dello scopo ai sensi dell'art. 156, comma secondo, c.p.c., posta a pena di nullità, nonché, nella stessa fattispecie, sull'applicabilità del principio di sanatoria dell'atto nullo in caso di raggiungimento dello scopo.

Il caso

Il ricorrente, affidandosi a due motivi, chiede per la cassazione della sentenza con cui il tribunale di Palermo ha rigettato l'opposizione avverso l'ordinanza del g.e., di rigetto dell'opposizione proposta contro il provvedimento di accoglimento della contestazione del credito proposta dai creditori procedenti nel procedimento di espropriazione presso terzi promosso contro il debitore esecutato.

in particolare, la ricorrente notifica un primo ricorso, in cui il suo difensore dichiara di agire in forza di procura generale alle liti, a mezzo p.e.c., e successivamente, ulteriore ricorso, come specifica nella memoria il medesimo ricorso, ma semplicemente reiterandolo, sempre a mezzo p.e.c., nella cui intestazione continua a farsi riferimento univoco alla precedente procura generale, ma che reca stavolta acclusa una procura speciale in favore del medesimo difensore che aveva formato il primo ricorso.

Gli intimati notificano separati controricorsi contro ciascuno dei due ricorsi, eccependo, nei primi controricorsi, l'inammissibilità del ricorso principale per carenza di procura speciale e, nei secondi, il vizio derivante dalla reiterazione del primo ricorso.

Viene quindi formulata proposta di definizione in camera di consiglio ai sensi del primo comma dell'art. 380-bis c.p.c., come modificato dal comma 1, lett. e), dell'art. 1-bis d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla l. 25 ottobre 2016, n. 197.

La questione

Il ricorrente deposita memoria ai sensi del secondo comma, ultima parte, del medesimo art. 380-bis, c.p.c. con la quale, solleva in via pregiudiziale la questione di ritualità della notifica del controricorso, siccome avvenuta con allegazione al messaggio di PEC di tre file in formato ".pdf" e non ".p7m" e quindi da ritenersi privi di firma digitale, ribadendo altresì la ritualità della procura allegata al ricorso notificato per secondo, sottoscritta digitalmente con file con estensione ".p7m".

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha ritenuto opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente affinchè possa essere valutata la possibilità di rimettere alle sezioni unite la questione pregiudiziale formalmente eccepita dal ricorrente nella memoria depositata su una problematica di particolare importanza, sulla quale non risulta essersi ancora consolidato un orientamento della giurisprudenza di legittimità, nonostante investa un punto focale del processo civile telematico e l'applicazione ad esso di fondamentali principi della processualistica.
Tale questione ha ad oggetto gli effetti della violazione delle disposizioni tecniche specifiche sulla forma degli atti del processo in forma di documento informatico da notificare, riferendosi gli unici precedenti di legittimità noti a fattispecie di atti in formato analogico e poi trasformati e notificati in via telematica, ovvero ad altre più articolate, ma non esattamente negli specifici termini della presente controversia e, in particolare, sull'estensione che indica o descrive il tipo dei file in cui essi si articolano, ove siano indispensabili per valutare la loro autenticità.

Ciò al fine di stabilire se esse prevedano o meno una nullità di forma e, quindi, se questa sia poi da qualificarsi indispensabile ai sensi dell'art. 156, comma secondo, c.p.c., rendendosi in tale ipotesi, necessario definire l'ambito ed i limiti dell'applicabilità alla fattispecie del principio generale di sanatoria degli atti nulli in caso di raggiungimento dello scopo previsto dall'art. 156, comma terzo, c.p.c.

Il Collegio, nell'ordinanza di rimessione degli atti al Primo Presidente, precisa altresì che la sezione di cui all'art.376, primo comma, primo periodoc.p.c. ha il potere di rimettere direttamente la questione alle Sezioni Unite, anziché alla pubblica udienza della sezione ordinaria ex ultimo comma dell'art. 380-bisc.p.c., come modificato dal comma 1, lett. e), dell'art. 1-bis d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla l. 25 ottobre 2016, n. 197, in quanto la problematica della ritualità della notifica di uno o più degli atti di costituzione della parte dinanzi al giudice di legittimità, eseguita con un documento nativo informatico a mezzo p.e.c. ma con file - ricorso o controricorso e soprattutto relativa indispensabile procura speciale - con estensione diversa da quella espressamente prescritta, attiene all'ammissibilità o meno dei medesimi, e, quindi, rileva agli effetti dell'applicazione del n. 1) dell'art. 375 c.p.c., trattandosi di materia riservata alla cognizione della sesta sezione ai sensi degli artt. 376, primo comma, primo periodo, nonché del novellato art. 380-bis c.p.c..

Osservazioni

La Corte, con l'ordinanza interlocutoria in esame, esaminati i precedenti giurisprudenziali editi, rileva che non può trovare diretta ed immediata applicazione il principio generale di sanatoria della nullità dell'atto, perché l'osservanza delle specifiche tecniche sullo stesso confezionamento del file informatico nativo dovrebbe poter attenere all'esistenza stessa dell'atto e, quanto alla procura speciale, all'ufficiosa indispensabile verifica dell'instaurazione di un valido e rituale rapporto processuale dinanzi a questa Corte, alla stregua della disciplina ormai applicabile.

Al riguardo, ritiene infatti inapplicabili alla presente fattispecie i precedenti costituiti da Cass., Sez. Un., 18 aprile 2016, n. 7665,in GiustiziaCivile.com, riferito ad un documento nativo analogico, notificato in via telematica con estensione ".doc" anziché ".pdf"; Cass., ord., 26 gennaio 2016, n. 1403, relativa ad un atto trasmesso mediante file con estensione "p7m" dedotto come illeggibile ma comunque decifrato o reperito al punto da consentire la piena difesa.

Inapplicabile nella stessa fattispecie controversa viene altresì ritenuto il principio di eguale portata generale, dell'insussistenza di un diritto all'astratta regolarità del processo ribadito, in materia, dalla citata Cass., sez. un.,n.7665/2016, in quanto l'intrinseca esistenza dell'atto e della procura ad litem attiene ad elementi talmente coessenziali dell'uno e dell'altro ai fini di una valida instaurazione del rapporto processuale dinanzi al giudice di legittimità da suggerirne come indispensabile la verifica ufficiosa, non trovando applicazione neppure il principio elaborato da Cass., 19 dicembre 2016, n. 26102, in Guida al dir., 2017, 4, 51, riguardante la mera carenza della firma digitale riferita ad un documento formato ab origine su supporto analogico.

I giudici di legittimità, nel pervenire alla decisione di rimettere gli atti al Primo Presidente, rilevano che il formato dell'atto del processo in forma di documento informatico è regolato, in via di sostanziale delegificazione, dall'art. 12 del Provvedimento 28 dicembre 2015 del Direttore Generale per i sistemi informativi automatizzati (DGSIA) del Ministero della Giustizia in forza dell'art. 11, D.M. Giustizia, 21 febbraio 2011, n. 44, recante il regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell'art. 4, commi 1 e 2, del d.l. 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella l. 22 febbraio 2010 n. 24 e successive modificazioni.

Ciò premesso, secondo il Collegio, con l'imposizione dell'elaborazione del file in documento informatico con estensione "p7m" il normatore tecnico ha inteso offrire la massima garanzia possibile, allo stato, di conformità del documento, non creato ab origine in formato informatico ma articolato anche su di una parte o componente istituzionalmente non informatica, quale la procura a firma analogica su supporto tradizionale, al suo originale composito, incorporando i due documenti in modo inscindibile e, per quel che rileva ai fini processuali con riferimento alla presente fattispecie, della regolare costituzione nel giudizio di legittimità, per la quale, è considerata quale presupposto indispensabile la ritualità della procura speciale, con assicurazione di genuinità ed autenticità di entrambi in quanto costituenti un'unicum.
Nella motivazione dell'ordinanza di rimessione si precisa che il potere di autenticazione riconosciuto in via generale dalla normativa primaria all'avvocato notificante, riguarda la sola conformità degli atti già ritualmente formati ai loro rispettivi originali, ma non potendo riferirsi anche all'intrinseca o strutturale regolarità della procura speciale indispensabile per il ricorso od il controricorso in Cassazione, e per la firma in calce a questi ultimi due atti, riguardo ai quali le formalità previste dalle norme tecniche specifiche potrebbero porsi come indispensabili presupposti od elementi di esistenza stessa di un atto riferibile a colui che vi figura essere il suo autore.

A ben vedere, come si evince dalle conclusioni a cui sembra pervenire lo stesso Collegio nell'ordinanza che si annota, si tratterà di valutare se la quaestio juris che qui interessa possa essere risolta muovendo dal principio cardine di strumentalità delle forme degli atti del processo civile desumibile dal combinato disposto degli artt. 121 e 156 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. Un., 18 aprile 2016, n. 7665), secondo il quale, le forme degli atti del processo non sono prescritte dalla legge per la realizzazione di un valore in sè o per il perseguimento di un fine proprio ed autonomo, ma sono previste come lo strumento più idoneo per la realizzazione di un certo risultato, il quale si pone come l'obiettivo che la norma disciplinante la forma dell'atto intende conseguire.

Il tessuto normativo del codice di rito, ispirato ad un principio di economia conservativa, mostra di ritenere la nullità come un sistema di limiti e di rimedi.

Considerando irrilevante l'eventuale inosservanza della prescrizione formale se l'atto viziato ha egualmente raggiunto lo scopo cui è destinato, l'ordinamento decrementa le volte che il processo civile si conclude con una pronuncia di carattere meramente processuale, incapace di definire il merito della lite con una distribuzione del torto e della ragione tra le parti.

Muovendosi in tale prospettiva, in una diversa fattispecie, esaminando un'ipotesi di deposito irrituale, avvenuto attraverso l'invio a mezzo posta dell'atto processuale destinato alla cancelleria al di fuori delle ipotesi speciali in cui tale modalità è consentita, la giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. Un., 4 marzo 2009, n.5160), aveva già chiarito che la deviazione dallo schema legale deve essere valutata come una mera irregolarità, laddove non sia prevista dalla stessa legge una nullità correlata a tale tipologia di vizio, giungendo così alla conclusione che l'attestazione da parte del cancelliere del ricevimento degli atti ed il loro inserimento nel fascicolo processuale integravano il raggiungimento dello scopo della presa di contatto tra la parte e l'ufficio giudiziario, e che, in tal caso, la sanatoria si produceva dalla data di ricezione dell'atto da parte del cancelliere ai fini processuali, ed in nessun caso da quello di spedizione (così anche Cass., sez. I, 17 giugno 2015, n. 12509).

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