Il deposito degli atti tra modalità e scopo

Michele Nardelli
05 Dicembre 2016

L'utilizzo di una modalità di deposito conosciuta ed ammessa dall'ordinamento, ancorché diversa da quella prevista per lo specifico atto (nella specie dell'invio telematico in luogo del deposito cartaceo), in assenza di una sanzione espressa di nullità, integra una mera irregolarità.
Massima

L'utilizzo di una modalità di deposito conosciuta ed ammessa dall'ordinamento, ancorché diversa da quella prevista per lo specifico atto (nella specie dell'invio telematico in luogo del deposito cartaceo), in assenza di una sanzione espressa di nullità, integra una mera irregolarità, e non impedisce il raggiungimento dello scopo del deposito, costituito dall'ingresso dell'atto nella sfera di conoscibilità del destinatario, e conseguente alla generazione della ricevuta di avvenuta consegna (seconda pec) da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia.

Il caso

In un giudizio di impugnazione di licenziamento, il Tribunale accoglie la domanda del lavoratore, e la società propone la conseguente opposizione. Allo scopo effettua l'invio dell'atto processuale telematicamente, e pur dopo la ricezione della terza pec da parte del difensore, attestante l'esito positivo dei controlli automatici, la cancelleria rifiuta l'atto, sul presupposto di una anomalia non risolvibile. Il deposito cartaceo dell'atto, a quel punto successivo rispetto al termine previsto per la proposizione della opposizione, viene ritenuto tardivo, con conseguente declaratoria di inammissibilità della opposizione stessa. L'epoca di svolgimento delle fasi richiamate è antecedente rispetto al 30 giugno 2014, prevista per l'avvio del deposito telematico, ed è antecedente anche al provvedimento del Direttore del DGSIA, previsto dall'art. 35, comma 1, del D.M. Giustizia n. 44/2011, nel senso che in quel momento non era stato ancora emanato il provvedimento per il Tribunale avanti al quale si celebrava il procedimento.

La questione

La questione controversa, in sostanza, si incentra nella individuazione delle conseguenze processuali, in caso di deposito di un atto difensivo con modalità difformi rispetto a quelle previste dalla normativa.

E si tratta poi di comprendere –c iò che rileva sotto il profilo del processo civile telematico - se la decisione possa essere influenzata dalla previa emanazione del decreto del Direttore del DGSIA, ai sensi dell'art. 35, D.M. n. 44/2011, che subordinava l'attivazione della trasmissione dei documenti informatici, da parte dei soggetti abilitati esterni, alla emanazione di tale decreto, che avrebbe dovuto accertare l'installazione e l'idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio.

Le soluzioni giuridiche

deposito di atti non previsti dallo stesso, tra quelli suscettibili di invio telematico (sul presupposto che in tal caso l'invio avverrebbe mediante uno strumento di comunicazione privo di valore legale), si è pronunciato il Trib. Padova, 1 settembre 2014, che pure aveva sostenuto che l'obbligo dell'invio con modalità telematiche degli atti endoprocedimentali non escludesse che tali modalità fossero adottate anche con riferimento agli atti introduttivi di attore e convenuto, purché però non vi ostasse –per l'appunto- il decreto dirigenziale.

Ha a sua volta sostenuto l'inammissibilità della costituzione con modalità telematiche il Trib. di Foggia, 10 aprile 2014, ancora una volta sulla base del richiamo al decreto dirigenziale, che aveva anche in quel caso autorizzato il deposito di atti telematici con valore legale, da parte di soggetti esterni al Trib. Foggia, a far data dal 15 gennaio 2014, per i soli atti endoprocessuali.

Ancora nel senso della inammissibilità Trib. Torino, 15 luglio 2014, nel caso di un ricorso ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c. depositato in via telematica, sul presupposto per il quale nessuna norma dell'ordinamento processuale avrebbe potuto consentire il deposito in forma telematica dell'atto introduttivo del giudizio, dal momento che l'articolo 16-bis D.L. n. 179/2012 consentiva tale modalità di deposito esclusivamente per gli atti processuali delle parti già costituite.

Ha invece ritenuto che il deposito telematico, ove integrato dal rituale deposito dell'atto nelle forme previste, costituisse una mera irregolarità, suscettibile di sanatoria, ed ha ordinato il deposito in cancelleria dell'originale dell'atto, con tutti i documenti ad esso allegati, in un termine assegnato, la decisione del Trib. di Latina, 15 giugno 2015.

Nel senso invece della ammissibilità della costituzione telematica, Trib. Roma, 12 gennaio 2015, che ha ritenuto irrilevante la mancanza del decreto dirigenziale previsto dall'art. 35 D.M.n. 44/2011, e ha qualificato il deposito telematico quale mera deviazione dallo schema legale, da valutare alla stregua di una semplice irregolarità, non essendo prevista dalla legge una nullità in correlazione a tale tipo di vizio. Analogamente Trib. Genova, sez. Lav., 1 dicembre 2014; Trib. Milano, 7 ottobre 2014, che ha escluso rilievo al decreto dirigenziale del DGSIA, e ha valorizzato i principi di cui agli artt. 121 e 156 c.p.c., oltre che i generali principi dettati dal codice dell'amministrazione digitale, artt. 20, 21 e 45.

Osservazioni

La decisione in commento permette di operare alcune considerazioni, in ordine ai rapporti tra regole processuali generali, e regole tecniche dettate per il processo civile telematico.

Al fine di analizzare le questioni giuridiche, è utile un breve cenno ai profili tecnici.

L'utilizzo dello strumento telematico, a fini di deposito degli atti processuali, è previsto dall'art. 16-bis D.l. n. 179/2012, nel senso che a decorrere dal 30 giugno 2014 i difensori delle parti precedentemente costituite devono procedere al deposito esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Peraltro, l'art. 35, D.M. 21 febbraio 2011 n. 44 prevede che l'attivazione della trasmissione dei documenti informatici, da parte dei soggetti abilitati esterni, sia preceduta da un decreto dirigenziale, che accerti l'installazione e l'idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio.

Sotto l'aspetto più propriamente telematico, il comma 7 dell'art. 16-bis prevede che il deposito degli atti si abbia per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del ministero della giustizia (la c.d. seconda pec, essendo la prima quella che attesta l'accettazione del messaggio di posta elettronica certificata inviato dal mittente, da parte del gestore della sua posta, in vista della successiva consegna al sistema giustizia).

Sono poi previsti due controlli ulteriori (art. 13, comma 7, D.M. n. 44/2011), il primo dei quali è rimesso al gestore dei servizi telematici, che restituisce al mittente l'esito dei controlli effettuati dal dominio giustizia, e il secondo dei quali è rimesso agli operatori della cancelleria o della segreteria, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell'articolo 34.

In particolare, il primo controllo (art. 14 del Provvedimento 16 aprile 2014, in G.U. n. 99 del 30 aprile 2014) si articola in verifiche formali sul messaggio, con la gestione di alcune eccezioni (comma 5: l'indirizzo del mittente non è censito in ReGIndE; il formato del messaggio non è aderente alle specifiche; la dimensione del messaggio eccede la dimensione massima consentita), nonché in controlli automatici (formali) sulla busta telematica, con l'individuazione di tre diverse tipologie di possibili anomalie (comma 7):

  • WARN (WARNING): anomalia non bloccante; si tratta in sostanza di segnalazioni, tipicamente di carattere giuridico (ad esempio manca la procura alle liti allegata all'atto introduttivo);
  • ERROR: anomalia bloccante, ma lasciata alla determinazione dell'ufficio ricevente, che può decidere di intervenire forzando l'accettazione o rifiutando il deposito (esempio: certificato di firma non valido o mittente non firmatario dell'atto);
  • FATAL: eccezione non gestita o non gestibile (esempio: impossibile decifrare la busta depositata o elementi della busta mancanti ma fondamentali per l'elaborazione).

All'esito di tale primo controllo, il gestore dei servizi telematici invia al depositante un messaggio di posta elettronica certificata riportante eventuali eccezioni riscontrate (la c.d. terza pec).

Il secondo e ultimo controllo attiene invece all'intervento dell'ufficio, e all'esito viene inviato al depositante un messaggio di posta elettronica certificata contenente l'esito dell'intervento di accettazione operato dalla cancelleria o dalla segreteria dell'ufficio giudiziario destinatario (la c.d. quarta pec).

Nel caso che qui rileva, il mittente aveva ricevuto anche la terza pec (l'esito dei controlli formali ed automatici) – entro i termini previsti per il deposito dell'atto -, e solo con la quarta pec (l'esito dell'attività della Cancelleria) –successiva invece al termine per il deposito- aveva appreso del rilievo di un'anomalia non risolvibile. Il deposito cartaceo che aveva eseguito il primo giorno utile successivo era poi stato ritenuto tardivo rispetto al termine per la proposizione dell'opposizione, sicché la procedura era stata dichiarata inammissibile.

Per la parte da analizzare in questa sede, i giudici di merito hanno in particolare ritenuto privo di rilievo che la parte avesse tentato di inviare un atto processuale a mezzo dello strumento telematico, poiché hanno affermato la totale inidoneità di tale tentativo rispetto al raggiungimento dello scopo (deposito), non essendo in quella data l'Ufficio ancora in grado di ricevere gli atti telematici, in assenza del decreto dirigenziale.

I principi giuridici affermati ora dalla Cassazione appaiono di tutto rilievo, non solo in vista della soluzione del caso concreto, ma anche quali utili strumenti per il raggiungimento di conclusioni più generali.

In particolare, la Corte ha dovuto affrontare alcune questioni, tutte però accomunate e basate su una domanda preliminare, vale a dire se il ricorso a una modalità di deposito conosciuta ed ammessa dall'ordinamento, ancorché diversa da quella prevista per lo specifico atto, in assenza di una sanzione espressa di nullità, integri una mera irregolarità, non impedendo il raggiungimento dello scopo del deposito (costituito dall'ingresso dell'atto nella sfera di conoscibilità del destinatario), ovvero se sia suscettibile di sanzione processuale.

A corollario di tale quesito la Corte ha anche verificato quale fosse il rilievo da attribuire nella specie al decreto dirigenziale (di cui si è parlato in precedenza), e quale fosse il momento determinante per ritenere avvenuto il tentativo di deposito telematico, in vista della verifica della sua tempestività, rispetto al termine di legge per la proposizione dell'opposizione.

Va subito detto che la decisione della Cassazione appare del tutto condivisibile.

Ridotta all'osso, la questione sottesa alla decisione investe i rapporti tra regole processuali ordinarie e regole tecniche. A seguito dell'avvio del processo civile telematico, sono state molte le decisioni di merito che hanno tratto, dal mancato rispetto formale delle regole e/o delle previsioni tecniche in generale, conseguenze sanzionatorie processuali (anche se non sono mancate decisioni di segno contrario).

Lo si è fatto per l'utilizzo di un formato del documento informatico diverso rispetto a quello previsto dalle norme (il PDF immagine invece che il PDF nativo: nel senso della inammissibilità Trib. Roma, 9 giugno 2014; in senso contrario Trib. Milano, sez. IX civ., sent., 3 febbraio 2016 n. 1432); lo si è fatto per la costituzione telematica invece che cartacea (Trib. Foggia, 10 aprile 2014, in senso contrario Trib. Bologna, 16 luglio 2014); lo si è fatto per il deposito cartaceo invece che telematico del foglio di precisazione delle conclusioni (nel senso della inammissibilità Trib. Milano, 23 febbraio 2016; in senso contrario Trib. Milano, 3 marzo 2016); lo si è fatto per l'errata indicazione del numero del registro del fascicolo (Trib. Torino, 22 marzo 2016, in senso contrario Trib. Torino, 13 maggio 2016), o ancora per l'errata indicazione del registro di iscrizione del fascicolo (Trib. Bologna, 4 luglio 2016).

In tutti i casi, le decisioni sono state accomunate da un filo conduttore unitario, che ha dato rilievo preponderante al mancato rispetto delle regole tecniche, essendosi ritenuto tale profilo suscettibile di sanzione processuale.

E tuttavia, devono registrarsi alcune decisioni della Cassazione, tra le quali quella che si commenta, che hanno affermato importanti principi.

In primo luogo, va richiamata la decisione delle Sezioni Unite (nr. 7665 del 18 aprile 2016), che dopo aver affermato che «il principio, sancito in via generale dall'articolo 156 del codice di rito, secondo cui la nullità non può essere mai pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato», ha proseguito affermando che «la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme di rito non tutela l'interesse all'astratta regolarità del processo, ma garantisce solo l'eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione (Cass., sez. trib., n. 26831/2014). Ne consegue che è inammissibile l'eccezione con la quale si lamenti un mero vizio procedimentale, senza prospettare anche le ragioni per le quali l'erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o possa comportare altro pregiudizio per la decisione finale della Corte».

Questa decisione appare di estremo rilievo, perché impone di valorizzare la violazione di norme di rito non in quanto tale, ma solo in quanto rifletta effetti negativi sul diritto di difesa della controparte. Si tratta di un controlimite fondamentale, perché comporta che lo scostamento dalle norme processuali debba essere apprezzato sulla base di un punto di riferimento certo, che è rappresentato una volta per tutte dal diritto di difesa.

In secondo luogo va richiamata la decisione della seconda sezione (Sentenza n. 9772 del 12 maggio 2016), secondo la quale «Nei procedimenti contenziosi incardinati dinanzi ai tribunali dal 30 giugno 2014, anche nella disciplina antecedente alla modifica dell'art. 16-bis del d.l. n. 179/2012, inserito dall'art. 1, comma 19, n. 2, della l. n. 228/2012, introdotta dal d.l. n. 83/2015, il deposito per via telematica, anziché con modalità cartacee, dell'atto introduttivo del giudizio, ivi compreso l'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, non dà luogo ad una nullità della costituzione dell'attore, ma ad una mera irregolarità, sicché ove l'atto sia stato inserito nei registri informatizzati dell'ufficio giudiziario, previa generazione della ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia, è integrato il raggiungimento della scopo della presa di contatto tra la parte e l'ufficio giudiziario e della messa a disposizione delle altre parti».

Anche questa decisione appare di estremo rilievo, poiché permette di valorizzare lo scopo del deposito degli atti processuali, che consiste unicamente nella presa di contatto tra la parte e l'Ufficio Giudiziario. Ovviamente, ciò non significa che qualunque modalità di deposito venga adottata, essa sia sempre e comunque idonea al raggiungimento di tale scopo. Non a caso la decisione in commento ha precisato che deve trattarsi comunque di una modalità conosciuta ed ammessa dall'ordinamento, ancorché diversa da quella prevista per lo specifico atto (e in questo caso si è trattato dell'invio telematico in luogo del deposito cartaceo). Questo supera le obiezioni basate sul paradosso per il quale privare di rilievo le regole dettate per il processo telematico, con l'ammissione di depositi cartacei e/o telematici, al di fuori dei casi espressamente previsti, significherebbe ammettere qualunque forma di deposito. E priva di rilievo la valorizzazione formale delle regole tecniche, quando non siano funzionali alla garanzia del diritto di difesa.

La conseguenza è che deve ritenersi rituale qualunque modalità di deposito che sia stata idonea a far conseguire il contatto tra la parte e l'Ufficio Giudiziario. Non c'è dubbio che in alcuni casi ciò possa comunque comportare delle necessità di aggiustamento. Ad esempio, se c'è una errata indicazione del numero di registro, o se c'è una errata indicazione dello stesso registro, l'atto non verrebbe comunque inserito nel fascicolo corretto, e sarebbero necessarie operazioni ulteriori per ovviare all'errore. Ma queste operazioni non altererebbero la partecipazione delle parti al processo, e solo potrebbero imporre una diversa scansione dei termini processuali, a garanzia dei termini a difesa delle controparti. Ad esempio, un errore che si verificasse nel deposito delle memorie ex art. 183 c.p.c., imporrebbe di rideterminare le decorrenze dei termini di deposito; un errore che si verificasse in sede di proposizione di gravame, o di fase genericamente oppositiva ad un primo provvedimento giudiziario, imporrebbe di garantire alla controparte i termini a difesa, con la diversa decorrenza costituita dalla regolarizzazione del primo deposito errato. Altre situazioni critiche sono facilmente ipotizzabili, e a loro volta superabili sulla base dei medesimi criteri.

Ciò che appare suscettibile di superamento, in ultima analisi, e proprio sulla base delle decisioni della Corte di legittimità richiamate, è la posizione che invece riconnette alla violazione delle regole formali conseguenze processuali preclusive. D'altra parte, se si considera che di norma è lo stesso Legislatore ad operare a monte una valutazione negativa, in conseguenza di specifiche condotte processuali (ad esempio prevedendo ipotesi di decadenza - art. 327 c.p.c. -, di inammissibilità -art. 331 comma 2 c.p.c.-, di improponibilità -art. 329 comma 1 c.p.c.-, di improcedibilità -art. 348 c.p.c.-), deve convenirsi che trarre conseguenze sanzionatorie genericamente preclusive dello sviluppo processuale di merito, in assenza di una espressa previsione, è operazione che dovrebbe conseguire a interpretazioni da operare in senso prettamente restrittivo.

Guida all'approfondimento
  • COMOGLIO, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2015, 3, 953;
  • BRUNELLI, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2015, 1, 261;
  • AMENDOLAGINE, in Corriere Giur., 2015, 5, 694;
  • POLI, in Riv. Dir. Proc., 2015, 2, 353;
  • MINAZZI, in Quotidiano Giuridico, 15.9.2016;
  • REALE, in Quotidiano Giuridico, 1.8.2016.

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