L'art. 360-bis c.p.c.: tra inammissibilità e merito
06 Dicembre 2016
Massima
Deve essere rimessa al Primo Presidente, perché valuti l'opportunità di sottoporla alle Sezioni Unite, la questione circa la corretta interpretazione dell'art. 360-bis c.p.c. alla luce dell'introduzione degli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c.. Il caso
La controversia al vaglio della Suprema corte riguardava una sentenza che, in tema di intollerabilità di immissioni rumorose da impianti di refrigerazione e condizionamento, aveva respinto il gravame della società proprietaria attenendosi a principi desunti da una consolidata giurisprudenza di legittimità. Il ricorso aveva la sorte segnata in quanto:
La fattispecie era dunque semplicissima e rientrava nell'ambito di applicazione dell'art. 360-bis, n. 1, c.p.c.. La Cassazione ha però ritenuto di rimettere la causa al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. Ha infatti ravvisato l'opportunità di rimeditare l'indirizzo a tenore del quale la Corte rigetta il ricorso, perché manifestamente infondato, se, al momento della sua pronuncia, la decisione impugnata si presenta conforme alla propria giurisprudenza e il ricorso non prospetta argomenti per modificarla (Cass., Sez. Un., ord., 6 settembre 2010, n. 19051). La questione
L'art. 360-bis c.p.c. prevede che il ricorso è inammissibile, e non semplicemente infondato o (come pur si dice con superfetazione) manifestamente infondato, quando il provvedimento ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l'esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l'orientamento della stessa. La norma – si è detto fin dall'esordio, e con pochi dissensi – ha la funzione di filtro interno alla Corte, sostitutivo di quello anteriormente rappresentato dai quesiti di cui all'abrogato art. 366-bis c.p.c.. Nel 2010 le Sezioni Unite hanno assunto una posizione ambigua. Non hanno posto in dubbio la suddetta funzione dell'art. 360-bis, ma hanno affermato che la norma deve intendersi riferita in ogni caso a una decisione di rigetto: dunque a una decisione di merito, non di rito. Il passaggio essenziale è che non sopporta di esser qualificato come di inammissibilità il risultato di un giudizio, se verta – secondo lo schema dell'art. 360-bis – su un oggetto di cui la prima componente, in funzione dell'accertamento di un vizio di violazione di legge, sia la relazione di conformità o difformità tra interpretazione accolta dal giudice di merito (a proposito delle norme applicate) e interpretazione risultante dalla giurisprudenza di legittimità. Le soluzioni giuridiche
Una simile affermazione è parsa subito poco soddisfacente, perché ridotta a petizione di principio. Tuttavia essa è stata seguita, almeno all'inizio, dalle sezioni semplici. Lo è stato finché una decisione l'ha consapevolmente disattesa, senza ritenersi astretta dalla necessità di investire nuovamente del problema le Sezioni unite, attesa la preminenza del valore di ragionevole durata del processo dinanzi a questione, nella specie, di sola sistemazione concettuale. È stato così in quella prospettiva affermato che il ricorso per cassazione, che non offra elementi per modificare la giurisprudenza di legittimità a cui la sentenza impugnata sia stata conforme, deve essere rigettato in rito e non nel merito ai sensi dell'art. 360-bis, n. 1, c.p.c., giacché tale norma, nell'evocare un presupposto processuale, ha introdotto una griglia valutativa di ammissibilità in luogo di quella anteriore costituita dal quesito di diritto, ponendo a carico del ricorrente un onere argomentativo, il cui parametro di valutazione è costituito dal momento della proposizione del ricorso (Cass., Sez. V, 18 novembre 2015, n. 23586). Questa tesi ha trovato concorde Cass.,Sez. I, 4 maggio 2016, n. 8804 ma non Cass., Sez. I, 18 marzo 2016, n. 5442, che l'ha del tutto ignorata finendo col determinarsi in base a un mero richiamo di quanto sostenuto dalle Sezioni unite nel 2010. L'ordinanza in rassegna ha richiamato quanto detto da Cass., Sez. V, n. 23586/2015 e ha richiamato pure Cass., Sez. I, n. 5442/2016, per evidenziare (verosimilmente) l'esistenza di contrasti. Non ha invece considerato la terza decisione. Ha motivato l'opportunità di rimeditare l'orientamento del 2010 sottolineando la sostanziale progressiva irrilevanza assunta dalla norma all'esito di esso, giacché nel tempo la disposizione è stata confinata a mera giustificazione del rito camerale adottato per accogliere o rigettare il ricorso, ferma la parcellizzazione dell'esame “censura per censura”, secondo la consueta tecnica motivazionale di ogni provvedimento di legittimità, in evidente contraddizione con lo scopo deflattivo perseguito dal legislatore. A tale rilievo l'ordinanza ha aggiunto un'altra considerazione: ha evidenziato che le modifiche apportate al c.p.c. dagli artt. 348-bis e 348-ter, nel riferimento alla declaratoria di inammissibilità dell'appello ritenuto privo di ragionevole possibilità di accoglimento, debbono essere intese come confermative, a livello di sistema, di tecniche di decisione di tipo delibativo, prognostico e globale, aventi come oggetto l'appello nella sua interezza (e v. Cass., Sez. Un., 2 febbraio 2016, n. 1914 a proposito della suddetta natura “complessiva” del giudizio prognostico rimesso al giudice d'appello, incompatibile con la denunzia, in cassazione, del vizio di omessa pronuncia su un motivo di gravame). E' stata quindi ipotizzata l'eventualità che una valutazione d'insieme simile a quella dianzi detta possa farsi anche in sede di cassazione, ai fini della declaratoria di inammissibilità ex art. 360-bis c.p.c.; ne è stata tratta, cioè, un'indicazione di fondo per differenziare, compatibilmente con le differenze di ciascun ricorso, il trattamento decisorio della Corte suprema in coerenza col principio di eguaglianza, nel quale la nomofilachia e la garanzia individuale debbono trovare adeguata sintesi. Osservazioni
L'ordinanza della sesta sezione è importante perché implica una scelta di fondo. Non si può deflettere dallo stabilire se l'art. 360-bis debba avere o meno una vera (e non solo labiale) funzione di filtro di accesso alla valutazione di pieno merito delle censure consegnate ai motivi di ricorso per cassazione. Commentando a suo tempo l'arresto delle Sezioni Unite del 2010 avemmo modo di sottolineare che l'inammissibilità, esplicitamente richiamata nella norma, è categoria logica necessariamente attinente a questione di rito: essa riguarda un presupposto processuale dell'impugnazione. L'inammissibilità è l'unica categoria concettuale che può prestarsi alla logica di un filtro in funzione deflattiva, perché non può esistere, per la contraddizione che non consente, un filtro “di merito”. Se il ricorso va sempre deciso nel merito delle censure affidate ai singoli motivi, si finisce con l'incentivare prassi distorte, se non del tutto abusive, e resta vano discettare di filtri di accesso. Sicché, guardato l'art. 360-bis dall'angolo visuale del filtro, (era ed) è sbagliato infrangere la primaria valutazione dettata dal legislatore in funzione deflattiva. Le Sezioni Unite saranno chiamate a decidere su un altro essenziale aspetto del problema, che l'ordinanza non ha affrontato. Non basta risolvere la questione definitoria (o formale), ma è necessario stabilire come debba operare l'art. 360-bis in rapporto alla tecnica di redazione del ricorso per cassazione e all'inevitabile mutare degli indirizzi giurisprudenziali. Ove vi sia stato un mutamento di giurisprudenza, le Sezioni Unite dovranno stabilire quale sia il rapporto tra l'onere del ricorrente di farsi carico dello stato della giurisprudenza al momento del suo ricorso e l'onere della Corte di valutare le censure alla stregua della mutata interpretazione delle norme afferenti, risultante dallo stato della giurisprudenza al momento della decisione. La risposta a questo problema condiziona l'aspetto deflattivo, perché è ovvio che il livello di argomentazione che si richiede al ricorrente designa la sorte dell'istituto più ancora del livello di profondità della risposta motivazionale della Corte. Sarebbe auspicabile che la norma non venisse sterilizzata nel quadro delle mere forme, come cioè mera e irrilevante fattispecie di completamento delle ipotesi di chiusura in via breve attraverso le forme semplificate del rito camerale. Se alla fine questo fosse l'esito della rimessione alle Sezioni unite, vorrebbe dire che si è rinunciato ad affrontare il problema della selezione dei ricorsi con gli strumenti convenzionali che il legislatore ha previsto, per recedere invece verso forme surrettizie ancorate alla inutile sollecitazione di tecniche di motivazione semplificata. Forme oltre tutto pericolose, perché dettate da esigenze contingenti. E quindi arbitrarie e non coerenti con la funzione di una Corte suprema. BRIGUGLIO, Ecco il “filtro” ! (l'ultima riforma del giudizio di cassazione), in Riv. proc. civ., 2009, 1276 e seg. VITTORIA, Il filtro per l'accesso al giudizio di legittimità, in Ianniruberto e Morcavallo (a cura di), il nuovo giudizio di cassazione, Milano, 2010. LUISO, La prima pronuncia della Cassazione sul c.d. filtro (art. 360-bis c.p.c.), in Giusto proc. civ. 2010, 1131 e seg. TERRUSI, Il filtro di accesso al giudizio di cassazione: la non soddisfacente risposta delle sezioni unite, in Giust. civ. 2011, 403 e seg. CARRATTA, L'art. 360-bis c.p.c. e la nomofilachia “creativa” dei giudici di cassazione, in Giur. it. 2011, 885 e seg. FORNACIARI, L'inammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 360-bis c.p.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, 645 e seg. |