L'efficacia probatoria del certificato straniero munito di "apostille"

07 Marzo 2017

La contraffazione di apostille presente sulla documentazione prodotta a riprova della sua autenticità non può essere desunta da un mero ed apodittico riferimento alla presunta diversità di inchiostro su uno dei certificati allegati.
Massima

La contraffazione di apostille presente sulla documentazione prodotta a riprova della sua autenticità non può essere desunta da un mero ed apodittico riferimento alla presunta diversità di inchiostro su uno dei certificati allegati.

Il caso

Tizio presentava all'Autorità diplomatica istanza ex art. 29, D.Lgs. n. 286/1998 al fine di ottenere il visto per ricongiungimento del coniuge e dei figli, cui seguiva il diniego dell'amministrazione. Avverso tale provvedimento veniva proposto ricorso giurisdizionale davanti al Tribunale, che accoglieva la domanda, ordinando all'Amministrazione il rilascio del prescritto provvedimento.

Il Tribunale difatti riteneva che, una volta ottenuto il nulla osta da parte dello Sportello Unico della Immigrazione, il visto fosse un atto dovuto da parte dell'Autorità diplomatica, salva l'esistenza di motivi ostativi da documentare.

Avverso questa sentenza l'Amministrazione spiegava atto di appello, censurando la decisione di primo grado per plurime ragioni, ed in particolare esponendo come il certificato di nascita del coniuge – presentato a corredo dell'istanza di ricongiungimento- non si presentasse conforme a quello rilasciato dall'Ufficiale dello Stato civile del Paese straniero, in quanto questo normalmente presenta la traduzione in lingua inglese redatta a mano con lo stesso inchiostro delle parti in lingua del Paese, mentre quello prodotto presentava inchiostri di colori differenti ed inoltre le attestazioni delle Autorità preposte alla legalizzazione non erano leggibili.

La questione

La questione in esame è la seguente: il documento con valenza certificativa formato all'estero da Autorità estera una volta munito di Apostille è dotato di efficacia documentale quanto al suo contenuto, oppure tale forma di legalizzazione primaria afferisce solo alla provenienza dell'atto da un pubblico ufficiale straniero?

Le soluzioni giuridiche

La Corte d'Appello rigettava la domanda spiegata dall'Amministrazione di riforma della sentenza di primo grado ritenendo che la sola presenza della "Apostille" fosse idonea a superare i rilievi sul certificato prodotto.

In motivazione, la decisione sottolineava che le ragioni esposte dal Ministero nell'atto di appello erano “prive di qualsivoglia riscontro fattuale. (…) quanto alla contraffazione, oltre ad un apodittico riferimento alla presunta diversità di inchiostro su uno dei certificati allegati, null'altro si ricava per vincere l'obiettività della Apostille presente sulla documentazione prodotta a riprova della sua autenticità”.

In presenza di un atto giuridico redatto all'estero da pubbliche autorità straniere è necessario, normalmente (sono infatti esenti da ogni forma di certificazione preventiva gli atti provenienti dagli Stati contraenti della Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987), procedere alla legalizzazione, al fine di munirlo di una certificazione della sua provenienza da un pubblico ufficiale.

L'art. 1, comma 1, lettera l) del D.P.R. n. 445/2000 definisce la legalizzazione di firma quella l'attestazione ufficiale della legale qualità di chi ha apposto la propria firma sopra atti, certificati, copie ed estratti, nonché dell'autenticità della firma stessa e il successivo art. 30 stabilisce che le legalizzazioni debbano indicare il nome e il cognome di colui la cui firma si legalizza e che il pubblico ufficiale legalizzante debba indicare la data e il luogo della legalizzazione, il proprio nome e cognome, la qualifica rivestita, nonché apporre la propria firma per esteso ed il timbro dell'ufficio.

L'art. 33 del citato D.P.R. n . 445/2000 si occupa specificatamente della legalizzazione di firme di atti da e per l'estero, riservando tale compito alle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all'estero.

La Convenzione dell'Aia del 5 ottobre 1961, cui l'Italia ha aderito, prevede un procedimento semplificato di certificazione della firma dell' autenticante, che viene così legalizzata dalla sola autorità dello Stato nel quale l'atto è formato. Tale forma semplificata di legalizzazione afferisce agli atti pubblici stranieri, vale a dire quelli che promanano dall'autorità statale o comunque da un funzionario investito dell'autorità dello Stato, compresi i pubblici ministeri, cancellieri e ufficiali giudiziari, i documenti amministrativi, gli atti notarili, le dichiarazioni ufficiali quali la menzione della registrazione, e concernenti la data certa e le scritture private autenticate, escludendo da tale novero i documenti compilati dagli agenti diplomatici o consolari ed i documenti amministrativi concernenti direttamente un'operazione commerciale o doganale (art. 1).

Dunque al procedimento di legalizzazione davanti alle autorità diplomatiche o consolari italiane si sostituisce l'apposizione di una postilla, che a sua volta deve rispettare i requisiti formali previsti dalla Convenzione stessa.

La postilla, a norma dell'art. 4, viene rilasciata a domanda del firmatario o del portatore dell'atto e, ove dovutamente compilata, attesta l'autenticità esclusivamente della firma, del titolo secondo il quale il firmatario abbia agito e della identità del sigillo o del bollo apposto sull'atto.

La Convenzione prevede che ogni autorità designata a postillare debba tenere un registro o uno schedario nel quale annotare le postille rilasciate, con l'indicazione del numero d'ordine e della data, del nome del firmatario dell'atto pubblico, del titolo in virtù del quale questi abbaia agito, dell'indicazione dell'autorità che ha apposto il sigillo o il bollo, per gli atti non firmati. L'art. 7 inoltre dispone che l'autorità postillatrice, a semplice richiesta di qualsiasi interessato, debba verificare se le iscrizioni recate sulla postilla corrispondano a quelle del registro o schedario.

La stessa può essere apposta (anche in un momento successivo alla firma) in fondo all'atto o su un allegato, redatta in francese, lingua ufficiale della Convenzione, o nella lingua dell'autorità che la rilascia; le menzioni che vi sono contenute possono essere scritte anche in una seconda lingua; il titolo "Apostille" deve essere sempre riportato in francese.

L'apostille assolve la funzione di rendere certa la provenienza dell'atto, attestando l'autenticità della firma del notaio o del pubblico ufficiale straniero e la relativa qualifica, ma non sostituisce la funzione di verifica della legalità dell'atto stesso ai fini dell'utilizzo nell'ordinamento italiano.

La postilla difatti non attesta però l'autenticità del contenuto dell'atto cui si riferisce e non si estende alla reale riferibilità dei dati alla situazione di fatto.

La postilla dunque non ha la forza di conferire all'atto cui è apposta l'efficacia di fede privilegiata dell'atto pubblico formato ex art. 2700 c.c., a mente del quale l'atto redatto da un pubblico ufficiale fa prova sino a querela di falso delle dichiarazioni delle parti e dei fatti che il pubblico ufficiale attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.

Sul punto la giurisprudenza di legittimità ritiene infatti che “la certificazione rilasciata da uno Stato estero rileva per l'ordinamento interno alla stregua di ogni altro mezzo di prova, e non può ritenersi assistita da fede privilegiata, in quanto in tal caso si attribuirebbe all'Autorità straniera la vesta di pubblico ufficiale, con riguardo alle attestazioni contenute nel documento di cui si tratta, veste che invece della autorità non ha per l'ordinamento interno” (Cass. n. 12649/2007).

Si ritiene dunque che il documento munito della postilla, per poter produrre effetti nel nostro ordinamento, debba comunque ricevere il controllo di legalità, che nel caso di atti rogati all'estero e da inserire nei pubblici registri avviene mediante il deposito presso un archivio notarile o un notaio italiano, nel caso di procure alle liti avviene a cura del giudice davanti al quale pende la causa.

Quanto poi ai provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone nonché all'esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità, l'art. 65, legge n. 218/1995, dispone che abbiano effetto in Italia quando essi sono stati pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle norme della presente legge o producono effetti nell'ordinamento di quello Stato, anche se pronunciati da autorità di altro Stato, purché non siano contrari all'ordine pubblico e siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa.

Anche tale disposizione impone al giudice il controllo di legalità sul documento estero, soprattutto al fine di evitare che questo venga utilizzato come strumento contrario all'ordine pubblico.

Il nostro ordinamento vieta la contraffazione (vale a dire la creazione di un atto o documento mai redatto dal suo vero autore e, quindi, non preesistente) e/o l'alterazione (vale a dire la modificazione di un atto o documento autentico dopo la sua definitiva formazione di documenti) al fine di determinare il rilascio di un visto di ingresso o di reingresso, di un permesso di soggiorno, di un contratto di soggiorno o di una carta di soggiorno e punisce tale comportamento con la reclusione da uno a sei anni. Se la falsità concerne un atto o parte di un atto che faccia fede fino a querela di falso la reclusione è da tre a dieci anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale (art. 5, comma 8-bis c.p.).

La sentenza in commento invece rigettava le censure e i rilievi proposti quanto alla alterazione del contenuto del documento formato all'estero limitandosi a ritenere che questi non fossero idonei a vincere l'obiettività dell'apostille.

Al contrario il Giudice avrebbe dovuto esaminare il contenuto dell'atto munito di apostille e solo dopo aver verificato che lo stesso non fosse stato alterato avrebbe potuto tenerne conto ai fini della decisione. Difatti la sola apposizione della apostille non ha efficacia certificativa del del contenuto dell'atto cui si riferisce e non è idonea a garantire la reale riferibilità dei dati indicati nel documento alla situazione di fatto.

In sede di giudizio difatti il giudice non è vincolato a ritenere come certo l'intrinseco del documento stesso, il suo contenuto, facendo esso fede fino a querela di falso solo con riferimento all'autorità che lo ha emanato. (Cass. pen., n. 35890/2012)

Inoltre la Corte di appello avrebbe dovuto svolgere ulteriori approfondimenti istruttori visto che le attestazioni delle Autorità preposte alla legalizzazione non erano leggibili: l'Apostille è una forma semplificata di legalizzazione, ma conserva sempre un rigido carattere formale, pertanto nel caso in cui tale carattere non sia rispettato questa non attribuisce al documento cui viene apposta neppure la certezza del provenienza dell'atto da parte di un pubblico ufficiale estero.

Non a caso la giurisprudenza di legittimità sulla efficacia processuale della procura alle liti rilasciata all'estero richiede oltre alla legalizzazione o apposizione di apostille, anche che venga autenticata da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge dello Stato estero ad attribuirle pubblica fede; essa, pertanto, non può essere autenticata dal difensore italiano della parte, giacché tale potere di autenticazione non si estende oltre i limiti del territorio nazionale (Cass. n. 27282/2008).

Difatti per il disposto dell'art. 12, l. 31 maggio 1995, n. 218, la procura alle liti utilizzata in un giudizio che si svolge in Italia, anche se rilasciata all'estero, è disciplinata dalla legge processuale italiana, la quale tuttavia, nella parte in cui consente l'utilizzazione di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata, rinvia al diritto sostanziale, sicché in tali evenienze la validità del mandato deve essere riscontrata, quanto alla forma, alla stregua della lex loci; occorre però che il diritto straniero quanto meno conosca i suddetti istituti e li disciplini in maniera non contrastante con le linee fondamentali che lo caratterizzano nell'ordinamento italiano e che consistono, per la scrittura privata autenticata, nella dichiarazione del pubblico ufficiale che il documento è stato firmato in sua presenza (Cass. n. 12821/2004).

Osservazioni

La presenza dell'Apostille su un atto pubblico straniero, se apposta secondo le formalità richieste dalla Convenzione dell'Aia del 5 ottobre 1961, attesta solo l'autenticità della firma del notaio o del pubblico ufficiale straniero e la relativa qualifica, ma non è idonea ad attribuire all'atto estero la stessa efficacia, quanto al suo contenuto, di un atto pubblico redatto -secondo le formalità prescritte dall'art. 2700 c.c.- da un pubblico ufficiale: la Apostille non dunque alcuna efficacia “obiettiva” quanto al contenuto del documento cui è apposta.

Inoltre tale forma di legalizzazione non esime il Giudice dalla verifica della legalità dell'atto stesso ai fini dell'utilizzo nell'ordinamento italiano, soprattutto al fine di evitare che possa essere leso l'ordine pubblico.

Pertanto in presenza di un documento formato all'estero da un pubblico ufficiale estero sarà necessario innanzitutto verificare che l'Apostille sia stata conferita nel rispetto delle formalità prescritte dalla convenzione dell'Aja del 1961, accertare che il documento non sia stato in alcun modo contraffatto o alterato, ma soprattutto accertare che il contenuto dello stesso sia rispondente alla reale situazione di fatto, visto che la legalizzazione semplificata non afferisce a quanto dichiarato nel documento.

Guida all'approfondimento
  • Emanuele Calò, Brevi considerazioni In tema di legalizzazione, Corriere Giur., 2003, 4, 457
  • Cinzia Brunelli,Le dichiarazioni sostitutive degli stranieri e le dichiarazioni sostitutive redatte all'estero, Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 6/2006/A;
  • Massimo Lascialfari, Procura alle liti rilasciata all'estero mediante scrittura privata. Legalizzazione della firma ed «Apostille», Giur. It., 1997, 9;
  • Barel B. – Pasqualis P., L'efficacia degli atti stranieri, in La condizione di reciprocità. La riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato - Aspetti di interesse notarile (Quaderni del Notariato, diretta da P. Rescigno, F. Galgano, M. Leva), Milano, 2001;
  • Carpi F., L'efficacia delle sentenze ed atti stranieri, in RIFORMA (La) del sistema di diritto internazionale privato e processuale (Seminario Milano 16 dicembre 1995), Milano, 1996;
  • Lapenna E., Forma degli atti (dir. Internaz.), in Enc. Dir., XVII, Milano, 1968;

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