Sospensione della vendita forzata e revoca dell'aggiudicazione a prezzo ingiusto

06 Maggio 2016

La sospensione della vendita forzata ai sensi dell'art. 586 c.p.c. può essere disposta dal giudice dell'esecuzione dopo l'aggiudicazione.
Massima

Il potere di sospensione della vendita da parte del giudice dell'esecuzione previsto dall'art. 586 c.p.c. sorge dopo l'aggiudicazione e non dopo il versamento del prezzo da parte dell'aggiudicatario .

La sospensione della vendita forzata ai sensi dell'art. 586 c.p.c. può essere disposta dal giudice dell'esecuzione dopo l'aggiudicazione sempre che: a) siano sopravvenuti fatti rispetto al momento dell'aggiudicazione; b) interferenze di natura criminale abbiano influito sul processo di vendita; c) il prezzo del bene sia stato determinato in forza di dolo, scoperto dopo l'aggiudicazione; d) vengano prospettati al giudice fatti noti ad una parte già prima dell'aggiudicazione, purché ci sia il consenso delle altre parti.

Il caso

Con ricorso straordinario, ai sensi dell'art. 111 Cost., il creditore procedente ha impugnato la sentenza del Tribunale di Palermo di rigetto dell'opposizione agli atti esecutivi avverso la revoca dell'aggiudicazione disposta dal giudice dell'esecuzione. Ciò in quanto il bene pignorato era stato aggiudicato al settimo tentativo di vendita per un importo pari alla metà del valore di mercato, come risultava da una perizia aggiornata, prodotta dal debitore dopo l'aggiudicazione.

A sostegno delle proprie ragioni, il creditore ricorrente denunciava l'illegittimità della revoca dell'aggiudicazione: il prezzo di aggiudicazione era stato determinato attraverso una corretta sequenza procedimentale. La significativa riduzione rispetto al prezzo determinato dal giudice in sede di ordinanza di vendita era conseguenza diretta dei numerosi tentativi di vendita. Né erano intervenuti fattori devianti o interferenze illecite che giustificassero la sospensione della vendita e la revoca dell'aggiudicazione ex art. 586 c.p.c.

La questione

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha chiarito la portata dell'art. 586 c.p.c., subordinando il potere di sospensione della vendita da parte del giudice dell'esecuzione all'effettiva sussistenza di determinati presupposti.

Innanzitutto i Giudici si occupano dell'esegesi dell'art. 586 c.p.c. con riferimento al momento di insorgenza del potere sospensivo regolato da questa disposizione. Dal dato normativo, infatti, non è chiaro se il giudice possa sospendere il subprocedimento di vendita già subito dopo l'aggiudicazione o debba attendere il versamento del saldo.

In secondo luogo, la Corte affronta il complesso rapporto intercorrente tra:

a) la posizione del debitore, costretto a subire l'azione esecutiva ma non la vendita del proprio bene ad un prezzo vile;

b) gli interessi del creditore che al momento dell'aggiudicazione coincidono con quello del debitore ad ottenere un prezzo che sia il più elevato possibile;

c) il diritto dell'aggiudicatario di buona fede a conseguire il trasferimento del bene, dopo aver partecipato ad un procedimento che si è svolto bel rispetto delle regole scandite dalla legge processuale e da un provvedimento dell'autorità giudiziaria.

A fronte di un dato normativo abbastanza generico che caratterizza sia l'espropriazione immobiliare sia le vendite fallimentari, il nodo centrale della questione riposa nella individuazione delle situazioni che legittimano l'esercizio del potere di sospensione e nella esatta nozione di giusto prezzo, anche alla luce della interpretazione fornita in passato dalla Corte.

A questo riguardo è stato in più occasioni precisato cheper la concessione della sospensione, il c.d. giusto prezzo, oltre a presupporre una comparazione tra l'importo di aggiudicazione «e quello che sarebbe stato conseguito in condizioni di non interferenza di fattori devianti», richiede che la differenza sia notevolmente inferiore, secondo criteri da adottarsi di volta in volta in relazione al caso concreto (Cass. civ., Sez. III, 03 febbraio 2012, n. 1612). Senza che, nell'ambito della suddetta comparazione, rilevi «il prezzo di mercato come parametro utile o vincolante: il giusto prezzo, difatti, è quello che in condizioni di non interferenza di fattori devianti, sarebbe stato conseguito nella procedura di vendita così come concretamente adottata e normativamente disciplinata» (Cass. civ., Sez. III, 23 febbraio 2010, n. 4344; Cass. civ., Sez. III, 16 novembre 2007, n. 23799; Cass. civ., Sez. III, 06 agosto 1999, n. 8464).

Le soluzioni giuridiche

Quanto alla prima questione la Corte ha stabilito il principio che la sospensione della vendita può essere disposta già dopo l'aggiudicazione indipendentemente dall'avvenuto versamento del saldo prezzo.

Quanto all'individuazione delle situazioni che giustificano l'esercizio del potere sospensivo di cui all'art. 586 c.p.c. la soluzione fornita dalla Corte passa per la corretta interpretazione della locuzione «giusto prezzo», intesa come nozione di carattere schiettamente processuale (già Cass. civ.,sez. III, 17 maggio 2005, n. 10334), che origina dall'incontro della domanda (dell'organo esecutivo) con l'offerta migliore (formulata dall'aggiudicatario); e, ad un tempo, fondata sulla circostanza che il prezzo di stima del perito estimatore (lungi dal costituire il giusto prezzo) è meramente indicativo (e aleatorio), inidoneo a pregiudicare l'esito della vendita e la realizzazione del giusto prezzo, rispetto al quale riveste invece carattere essenziale la pubblicità e la gara tra più offerenti (Cass. civ., sez. III, 17/5/2005, n. 10334 ).

Si tratta di considerazioni corrette che vanno condivise, per due diversi ordini di ragioni: sia perché, come dimostrato dall'esperienza delle prassi virtuose, un prezzo base calmierato ha la funzione di rendere appetibile la vendita, tant'è che il legislatore del 2015 ha introdotto la c.d. offerta minima proprio nel tentativo di coinvolgere il numero più ampio possibile di offerenti; sia perché solo la corretta pubblicità della vendita, in assenza di ingerenze indebite o illecite, consente l'effettiva partecipazione dei soggetti interessati all'acquisto e, conseguentemente, costituisce la condizione necessaria perché il prezzo di aggiudicazione sia intrinsecamente giusto.

Per queste ragioni, il potere di cui all'art. 586 c.p.c. non può mai prescindere dalle modalità con cui le parti hanno gestito il processo esecutivo; né può essere esercitato dal giudice in forza di elementi o fatti che le parti conoscevano già prima dell'aggiudicazione ma non hanno mai dedotto. Di qui l'affermazione che il diritto dell'aggiudicatario al trasferimento del bene cede in caso di fatti sopravvenuti all'aggiudicazione, non conoscibili o ignoti alle parti ed al giudice, ma è insensibile rispetto ad elementi che potevano essere dedotti dalle parti o rilevati dal giudice prima dell'aggiudicazione.

Laddove poi i fatti (che incidono sulla corretta determinazione del prezzo) fossero noti solo ad una parte (nel caso di specie il debitore) e siano stati conosciuti dalle altre parti (creditori e aggiudicatario) dopo l'aggiudicazione, il potere di sospensione è subordinato al consenso di queste ultime. In altre parole, se il creditore non ha interesse alla rinnovazione del procedimento di vendita, la sospensione finirebbe per tutelare un comportamento chiaramente dilatorio del debitore che, pur avendo interesse ad una vendita per un importo più elevato, non ha segnalato tempestivamente (recte prima dell'aggiudicazione) al giudice l'incongruità del prezzo.

Osservazioni

L'interpretazione fornita dalla Suprema Corte va condivisa perché stigmatizza una condotta tenuta frequentemente dal debitore che rimane inerte fino a quando gli esperimenti di vendita non si concludono con un esito positivo, salvo impugnare l'aggiudicazione o addirittura il decreto di trasferimento per ingiustizia del prezzo, adducendo la non adeguatezza della perizia di stima o fatti sopravvenuti rispetto alla ordinanza di vendita di cui all'art. 568 c.p.c. (come risulta da Cass. civ., sez. III, 20 maggio 2015, n. 10251).

La sentenza che si commenta è, dunque, da approvare: a ritenere diversamente, si provocherebbero, difatti, “guasti” di non poco conto su efficienza, durata e costi del processo esecutivo tanto più se si considera che, fino all'aggiudicazione il giudice può, anche su sollecitazione delle parti, attraverso l'esercizio dei suoi poteri di direzione ex art. 484 c.p.c. revocare l'ordinanza di vendita ed adottare un nuovo prezzo base ex art. 568 c.p.c. .

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