Il pegno mobiliare non possessorio
06 Luglio 2016
Introduzione
L'art. 1 d.l. 3 maggio 2016, n. 59, convertito con modificazioni in l. 30 giugno 2016 n. 119, ha introdotto nell'ordinamento una (semi)nuova figura di garanzia reale: il pegno mobiliare non possessorio (limitato all'attività di impresa), diretta a coniugare l'esigenza di finanziamento dell'impresa con la tutela del creditore pignoratario: norma sulla quale pare potersi esprimere, ad una prima lettura, un giudizio sostanzialmente positivo. Nel complesso, infatti, si tratta di uno strumento flessibile ed elastico, che le parti possono modellare ed adattare sotto diversi profili alle proprie esigenze, più che di un arcigno intervento intessuto di nullità e divieti — come sovente è accaduto in più settori della produzione normativa degli ultimi anni —, divieti che la pratica trova poi generalmente il modo di neutralizzare.
Di che cosa parliamo quando parliamo di pegno
La formula adottata dal legislatore, «pegno non possessorio», è un ossimoro. Nella nota definizione di Gaio (D.50, 16, 238, 2), pignus appellatum a pugno, quia res, quae pignori dantur, manu traduntur (il pegno è così chiamato da pugno, poiché le cose, che in pegno sono date, si consegnano con la mano), dal che — aggiunge Gaio — si desume che il pegno si costituisce sulle sole cose mobili. La cosa data in pegno, dunque, viene consegnata dal debitore (o dal terzo datore) al creditore (o ad un terzo): storica caratteristica del pegno è cioè lo spossessamento del debitore (o del terzo datore) a vantaggio del creditore. L'art. 2786 c.c., che apre la sezione sul pegno di mobili, si colloca sulla scia della tradizione. Esso stabilisce che il pegno si costituisce anzitutto con la consegna al creditore della cosa o del documento che conferisce l'esclusiva disponibilità della cosa. La legge, cioè, richiede come forma costitutiva del pegno di cose mobili che il possesso esclusivo venga tolto al costituente e venga dato al creditore (o ad un terzo). La consegna del bene è per un verso strumento rudimentale di pubblicità, parallelo all'iscrizione ipotecaria; per altro verso è l'essenza del carattere di realità del pegno, che consente tendenzialmente al creditore pignoratizio di realizzare la garanzia senza la cooperazione di alcuno. Occorre subito dire, tuttavia, che lo spossessamento, anche nel quadro codicistico, non ricorre sempre e comunque: esso è sostituito dalla notifica per il pegno di crediti e dell'annotazione per gli altri diritti. Il pegno alla prova del tempo
Ma l'istituto così consegnato al codice da un passato millenario non riesce sovente a stare al passo coi tempi ed altresì con le esigenze dell'impresa. Basterà citare, da un lato, il vasto fenomeno della dematerializzazione degli strumenti finanziari, la quale fa sì che, in tal caso, il pegno — lungi dal dar luogo ad un fenomeno di materiale traditio — sia costituito mediante un'operazione che lascia traccia esclusivamente sulla memoria informatica di un computer. Dall'altro lato — e questo è l'aspetto che più ci interessa — il congegno che per la costituzione del pegno richiede lo spossessamento è evidentemente confliggente con le esigenze dell'impresa, la quale, in ragione di tale congegno, è impedita a costituire in pegno (e così a dotarsi di una garanzia che consente di accedere al credito bancario, e dunque di investire nello sviluppo e nella crescita) i beni che costituiscono il capitale aziendale ovvero le merci che sono oggetto della propria attività: se lo facesse, infatti, la stessa attività di impresa ne verrebbe compromessa. Questa esigenza — l'esigenza di impiegare i beni aziendali per ottenere credito — è particolarmente «calda», tant'è che ha dato luogo a diverse novità nel mondo del diritto: il sale and lease back, ad esempio, figura contrattuale che ci viene dal mondo anglosassone, oltre a presentare eventuali vantaggi fiscali, ha in buona sostanza una funzione di finanziamento, giacché l'imprenditore vende, ad esempio, il proprio capannone industriale (o il bene di cui di volta in volta si tratti) alla società di leasing, ne riscuote il prezzo, che rimborserà man mano nel corso del tempo pagando il canone, ma continua a svolgere l'attività senza soluzione alcuna di continuità. A monte della medesima esigenza sta in definitiva anche il fenomeno del pegno rotativo. In passato si riteneva perlopiù che il mutamento convenzionale dell'oggetto del pegno determinasse — proprio perché il pegno si costituisce con la traditio della cosa — la nascita di un nuovo diritto di pegno. Immaginate la costituzione in pegno di Bot semestrali: ciò vorrebbe dire che ad ogni scadenza dei titoli e sostituzione di nuovi titoli sostanzialmente identici viene a costituirsi un nuovo pegno, con tutto quanto ne consegue sotto molti profili, ma soprattutto su quello della esperibilità della revocatoria ordinaria e fallimentare. È così che la dottrina ha ideato la costruzione del pegno rotativo, che consente la sostituibilità convenzionale dell'oggetto della garanzia, costruzione che ha immediatamente convinto la giurisprudenza (Cass. civ., 28 maggio 1998, n. 5264) e successivamente è stata adottata, in particolari settori, dal legislatore. Parliamo ora di prosciutti e formaggi. L'ipotesi di pegno senza spossessamento, che oggi il legislatore ha ampliato, è stata espressamente prevista dalla l. 24 luglio 1985, n. 401, recante norme sulla costituzione di pegno sui prosciutti a denominazione di origine tutelata. In tal caso stante la evidente inapplicabilità dello spossessamento ai prosciutti (che certo il creditore pignoratizio, normalmente una banca, avrebbe difficoltà a conservare), il legislatore ha previsto che il pegno si costituisca mediante apposizione di uno speciale contrassegno indelebile e contestuale annotazione su appositi registri. Dato il trattamento riservato ai produttori di prosciutti, i produttori di formaggi si sono adontati, sicché il legislatore ha provveduto anche in loro favore disciplinando il pegno sui prodotti lattiero-caseari con l'art. 7 l. 27 marzo 2001, n. 122. La nuova norma in generale
Si tratta, in breve, di una generalizzazione al complessivo ambito dell'attività imprenditoriale, con le necessarie precisazioni e i necessari adeguamenti normativi, della previsione già dettata per prosciutti e formaggi. In particolare, ai sensi del comma 1, la disposizione in esame è dettata per la sola attività di impresa. Essa si apre stabilendo che gli imprenditori iscritti nel registro delle imprese possono costituire un pegno non possessorio (cioè senza che occorra lo spossessamento, in deroga, dunque, alla previsione del citato art. 2786 c.c.) per garantire i crediti inerenti all'esercizio dell'impresa, presenti e futuri, determinati o determinabili, comunque recanti l'indicazione dell'importo massimo garantito, concessi a loro o a terzi. I crediti oggetto della garanzia si connotano così per un doppio requisito. Essi devono: a) far capo, soggettivamente, ad un imprenditore iscritto nel registro delle imprese; b) inerire all'esercizio dell'impresa, sicché non può trattarsi di debiti personali dell'imprenditore. Tali crediti possono essere non soltanto attuali, ma anche futuri. Non è il caso qui di dilungarsi sulle complesse questioni poste dall'ammissibilità del pegno a garanzia di crediti futuri, la quale si collega al tema di fondo del carattere di accessorietà del pegno, che si desume dalla formulazione dell'art. 2784 c.c., ove è detto cheil pegno è costituito «a garanzia dell'obbligazione». Basterà dire che, linea di massima, si ritiene ammissibile il pegno costituito per garantire un credito futuro, purché sia già in atto il rapporto giuridico dal quale il credito potrà nascere. In questo caso la relazione di accessorietà finisce per risolversi nella stessa inerenza del credito (futuro) all'attività di impresa. Deve inoltre trattarsi di crediti determinati o determinabili, comunque recanti l'indicazione dell'importo massimo garantito. La norma sembra qui richiamare il testo dell'art. 1938 c.c., il quale, attraverso il riferimento all'importo massimo garantito, ha inteso al tempo stesso legittimare e porre un limite alla pratica della fideiussione omnibus. Sicché, a quanto par di comprendere, la simultanea previsione dei caratteri del credito garantito, che può essere anche soltanto futuro e determinabile, unitamente all'indicazione dell'importo massimo garantito, pare aprire la strada al pegno omnibus, che incontrerebbe altrimenti un ostacolo tutt'altro che trascurabile della previsione dell'art. 2787, comma 3, c.c., il quale, per il pegno, pone il requisito della «sufficiente indicazione del credito». Si consideri, per comprendere la notevolissima importanza pratica del problema, che la SC ha fino ad ora ritenuto l'invalidità del pegno, in ragione della radicale indeterminatezza dell'oggetto del medesimo, nell'ipotesi di pegno genericamente concesso a garanzia di una certa linea di credito, senza ulteriori specificazioni (Cass. civ., 28 ottobre 2005, n. 21084; Cass. civ., 7 novembre 1996, n. 9727). Qui, invece, si offre alle banche uno strumento di garanzia agile ed efficace proprio in situazioni simili: strumento che giova indirettamente allo stesso imprenditore, che è facilitato all'accesso al credito. La norma stabilisce infine che può trattarsi di crediti concessi all'imprenditore o a terzi. Il riferimento ai terzi è stata opportunamente inserito in sede di conversione, in modo da ovviare ai problemi che altrimenti la norma avrebbe posto in caso di pegno costituito nell'ambito di gruppi di imprese: resta fermo, naturalmente, che deve trattarsi di crediti inerenti all'esercizio dell'impresa. Oggetto del pegno non possessorio
Il comma 2 della norma in commento stabilisce che il pegno non possessorio può essere costituito su beni mobili, anche immateriali, destinati all'esercizio dell'impresa e su crediti derivanti da o inerenti a tale esercizio, ad esclusione — ovviamente — dei beni mobili registrati, che sono oggetto di ipoteca. Non vi sono qui novità rilevanti rispetto alla disciplina codicistica: anche il richiamo ai beni immateriali (un vecchio manuale di diritto privato avrebbe probabilmente parlato di cose incorporali) non sembra suscitare insormontabili problemi. I beni mobili possono inoltre essere esistenti o futuri, determinati o determinabili anche mediante riferimento a una o più categorie merceologiche o a un valore complessivo. Così la norma. In effetti non si è mai dubitato che il pegno possa avere ad oggetto una cosa futura: il fatto è, però, che, in tal caso, il vincolo di garanzia, avendo ad oggetto un bene che ancora non esiste in rerum natura, può avere unicamente effetti obbligatori e la costituzione del diritto reale avviene, per il pegno di cosa mobile, con la venuta ad esistenza della cosa. Non sembra che la norma intenda innovare sul punto. Stesso discorso vale per il richiamo ai beni determinabili mediante riferimento ad una o più categorie merceologiche (p. es. dieci tonnellate di cartone, nell'ambito delle scorte che l'imprenditore impiega per produrre scatole). Oggetto di pegno deve essere una cosa specifica, ma ciò non esclude che il pegno possa essere concesso su cose generiche, nel qual caso, però, il diritto di garanzia si costituisce solo al momento dell'individuazione. Aggiunge ancora la norma che, ove non sia diversamente disposto nel contratto, il debitore o il terzo concedente il pegno è autorizzato a trasformare o alienare, nel rispetto della loro destinazione economica, o comunque a disporre dei beni gravati da pegno. La previsione è ovvia: la nuova norma non avrebbe senso se, ad esempio, un produttore di posate da tavola, una volta costituite in pegno le scorte di metallo occorrenti per la produzione, non potesse poi trasformarle in coltelli, forchette e cucchiai, ovvero non potesse vendere il prodotto. In tal caso il pegno si trasferisce, rispettivamente, al prodotto risultante dalla trasformazione (nell'esempio fatto sulle posate), al corrispettivo della cessione del bene gravato o al bene sostitutivo acquistato con tale corrispettivo, senza che ciò comporti costituzione di una nuova garanzia: in quest'ultimo inciso riceve un'espressa copertura legislativa la costruzione della rotatività del pegno, in un'ottica già seguita, come accennato, in materia di strumenti finanziari (art. 5, comma 3, d.lgs. n. 170 del 2004; art. 34, comma 2, d.lgs. n. 213 del 1998 e art. 87, comma 1, d.lgs. n. 58 del 1998). Se il prodotto risultante dalla trasformazione ingloba, anche per unione o commistione, più beni appartenenti a diverse categorie merceologiche (immaginiamo metalli, materiali plastici, motorini elettrici e componentistica varia occorrente alla produzione di elettrodomestici) e oggetto di diversi pegni non possessori, le facoltà di soddisfarsi sul pegno spettano a ciascun creditore pignoratizio con obbligo da parte sua di restituire al datore della garanzia, secondo criteri di proporzionalità, sulla base delle stime effettuate con determinate modalità che la norma successivamente precisa, il valore del bene riferibile alle altre categorie merceologiche che si sono unite o mescolate. È fatta salva la possibilità per il creditore di promuovere azioni conservative o inibitorie nel caso di abuso nell'utilizzo dei beni da parte del debitore o del terzo concedente il pegno. La costituzione del pegno non possessorio
La norma prevede per la costituzione del pegno non possessorio l'atto scritto e l'iscrizione nel registro dei pegni non possessori: formalità che nel complesso sembrano potersi sintetizzare — questo il succo del nuovo istituto — in un significativo avvicinamento del pegno all'ipoteca. Quanto al primo aspetto, viene espressamente richiesto per il contratto costitutivo del pegno il requisito della forma scritta ad substantiam: «Il contratto costitutivo, a pena di nullità, deve risultare da atto scritto con indicazione del creditore, del debitore e dell'eventuale terzo concedente il pegno, la descrizione del bene dato in garanzia, del credito garantito e l'indicazione dell'importo massimo garantito». È, questa, una novità, necessitata dalla configurazione stessa del pegno non possessorio: viceversa, nel quadro della disciplina codicistica, il contratto di pegno è a forma libera, mentre la necessità della scrittura (art. 2787, comma 3, c.c.; art. 2800 c.c.) rileva solo per far valere il diritto di prelazione, a favore del creditore pignoratizio, rispetto agli altri creditori, e quindi essenzialmente come criterio di risoluzione dei conflitti tra le diverse classi di creditori (Cass. civ., 26 gennaio 2010, n. 1526; Cass. civ., 5 settembre 2006, n. 19059). Quanto al secondo aspetto, la norma richiede una formalità pubblicitaria — l'iscrizione in un registro informatizzato costituito presso l'Agenzia delle entrate e denominato «registro dei pegni non possessori» —, che assume carattere di pubblicità costitutiva. È espressamente indicato il contenuto che l'iscrizione deve avere. Aggiunge il comma 4 che dalla data dell'iscrizione il pegno prende grado ed è opponibile ai terzi e nelle procedure concorsuali: qui trova conferma anche sul piano letterale l'avvicinamento del pegno all'ipoteca la quale, per l'appunto, prende grado dal momento della sua iscrizione secondo l'art. 2852 c.c. L'iscrizione ha una durata di dieci anni (quella dell'ipoteca venti: art. 2847 c.c.) e può essere rinnovata. Può essere chiesta di comune accordo dal creditore pignoratizio e dal datore del pegno la cancellazione dell'iscrizione oppure può essere domandata giudizialmente. Il comma 7 regola le modalità di escussione del pegno, contemplando una previa intimazione rivolta dal creditore al debitore e all'eventuale terzo concedente il pegno, nonché agli eventuali titolari di pegno non possessorio successivamente trascritto. Il creditore: i) può procedere alla vendita dei beni costituiti in pegno, trattenendo il corrispettivo a soddisfacimento del credito fino a concorrenza della somma garantita; sono previsti taluni adempimenti da parte del creditore pignoratizio a garanzia del debitore e degli altri creditori; ii) può procedere alla escussione dei crediti oggetto di pegno (in caso appunto di pegno di crediti) fino a concorrenza della somma garantita; iii) può procedere alla locazione del bene oggetto del pegno imputando i canoni a soddisfacimento del proprio credito fino a concorrenza della somma garantita, qualora ciò sia previsto nel contratto di pegno e risulti dall'iscrizione nel registro delle imprese; qui è evidente la novità della previsione, ed è evidente il vantaggio dello stesso debitore, che non si vede privato del bene, ma solo per il tempo necessario del reddito che esso produce; iv) può procedere all'appropriazione dei beni oggetto del pegno fino a concorrenza della somma garantita, sempre nel caso in cui ciò sia previsto nel contratto e risulti dall'iscrizione: qui, se mettiamo insieme questa disposizione con l'art. 2 dello stesso d.l., come convertito, che ha introdotto una versione rivisitata dal patto marciano («Finanziamento alle imprese garantito da bene immobile sospensivamente condizionato»), possiamo dire che il legislatore ha in misura rilevante mandato in soffitta un divieto, il divieto del patto commissorio di cui all'art. 2744 c.c., che pareva fondamentale nel sistema, ma che la pratica — secondo quanto si è detto in apertura — ha sempre tentato di aggirare e neutralizzare: un certo uso proprio del già citato sale and lease back ne è testimonianza tra molte altre. Il debitore e l'eventuale terzo concedente il pegno, una volta ricevuta l'intimazione da parte del creditore, hanno diritto di proporre opposizione al giudice entro cinque giorni, secondo la procedura prevista. A seguito dell'intimazione, sempre che non venga proposta ed accolta l'opposizione, il debitore ovvero il terzo datore di pegno devono consegnare la cosa al creditore; la norma detta in proposito dettagliate formalità: basterà dire che, in mancanza di ottemperanza all'intimazione, l'ufficiale giudiziario può eseguire senza titolo e senza precetto. Dunque massima tutela del creditore. È inoltre disciplinata la possibilità per il debitore e per il terzo di agire per il risarcimento del danno nei confronti del creditore che abbia abusato del pegno. Pegno non possessorio e fallimento
Ai sensi del comma 8, in caso di fallimento del debitore, il creditore può procedere a soddisfarsi direttamente solo dopo che il suo credito è stato ammesso al passivo con prelazione. Agli effetti di cui agli artt. 66 e 67 r. d. 16 marzo 1942, n. 267. il pegno non possessorio è equiparato al pegno; il curatore può dunque esercitare le azioni revocatorie. |