Le misure di coercizione indiretta all'esito della riforma di cui al d.l. 27 giugno 2015, n. 83, conv., con mod., in l. 6 agosto 2015, n. 132
13 Luglio 2016
Il quadro normativo
L'art. 13, comma 1, lett. cc-ter), della l. di conversione n. 132/2015 del d.l. n. 83/2015 ha introdotto la modifica dell'art. 614-bis c.p.c., con decorrenza dal 21 agosto 2015. Segnatamente, la novella è intervenuta sulla disposizione dedicata al tema dell'esecuzione indiretta nei termini che seguono: a) in primo luogo, ha introdotto un nuovo titolo, il titolo IV-bis «Delle misure di coercizione indiretta», composto da una sola norma (appunto l'art. 614-bis, che prima era compreso nel titolo IV «Dell'esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare»); b) quindi, ha modificato la rubrica dell'art. 614-bis c.p.c., che non è più intitolata all'attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare, bensì alle misure di coercizione indiretta; c) in ultimo, è stato mutato il testo della disposizione, la quale si riferisce, non più genericamente ai provvedimenti di condanna, bensì più dettagliatamente ai provvedimenti di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro.
Per il resto, il tenore della norma è rimasto immutato rispetto alla versione precedente. La soluzione cui ha aderito la novella - per un verso - riprende l'impostazione già contenuta nei lavori della Commissione Vaccarella del 2013, ancorché poi non tradottasi in una corrispondente proposta di modifica, e - per altro verso – anticipa, almeno in parte, le conclusioni del disegno di legge delega della Commissione Berruti n. 2953, presentato dal Governo alla Camera in data 11 marzo 2015, nel quale si prospetta un «ampliamento dell'ambito di applicazione dell'istituto delle misure coercitive indirette di cui all'art. 614-bis c.p.c., mediante la previsione della possibilità, per la parte vittoriosa, di chiedere al giudice la fissazione della somma dovuta dalla parte soccombente, a causa della mancata o ritardata esecuzione dell'ordine giudiziale, in presenza di qualunque provvedimento di condanna, indipendentemente dal carattere fungibile o infungibile dell'obbligazione a cui esso si riferisce». Nondimeno, a differenza del d.d.l. n. 2953/2015, le misure di coercizione indiretta non si applicano nel caso di inattuazione degli obblighi di natura pecuniaria. D'altro canto, l'esperienza del processo amministrativo volge nella stessa direzione, atteso che l'art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a. non prevede alcuna limitazione all'irrogazione delle misure coercitive (c.d. penalità di mora), ammesse per qualsiasi statuizione condannatoria, anche in ordine all'esecuzione avente ad oggetto prestazioni di natura pecuniaria (Cons. St., sez. V, 9 aprile 2015, n. 1821; Cons. St., Ad. pl., 25 giugno 2014, n. 15). Siffatta estensione dell'ambito operativo della norma ha le seguenti ricadute immediate: per un verso, il ricorso allo strumento delle misure coercitive indirette è praticabile non solo nelle ipotesi in cui sia inammissibile l'attivazione della procedura di esecuzione forzata mediante surrogazione dello Stato terzo, ma anche nei casi in cui sia possibile avvalersi dell'esecuzione forzata per consegna o rilascio o per obblighi di fare o non fare; per converso, le misure di coercizione indiretta non possono essere invocate a supporto dell'adempimento degli obblighi di pagamento di somme di denaro, a fronte della cui inattuazione non è ammessa alternativa all'espropriazione forzata; in ultimo, il nuovo dettato della previsione porta con sé il beneficio di rendere superflua ogni indagine sulla natura infungibile dell'obbligo, la cui attuazione si intende garantire attraverso l'istanza di irrogazione di una misura compulsoria. Resta ferma, comunque, la natura delle misure coercitive indirette, le quali, pur essendo funzionali a dissuadere il debitore dall'inadempimento e a sollecitarne, per contro, l'adempimento, rientrano tra le condanne pecuniarie, la cui disposizione compete al giudice della cognizione e non dell'esecuzione. Sicché, da un lato, si tratta di strumenti sollecitatori o compulsori che sono comminati in via preventiva, giustappunto allo scopo di favorire l'attuazione delle situazioni giuridiche soggettive alla cui tutela sono funzionali, non già sanzionatori ex post; dall'altro, supportano e rafforzano la disposizione della condanna all'adempimento dell'obbligo principale già nel momento in cui interviene la pronuncia giudiziale condannatoria, su istanza della parte interessata. Siffatto quadro normativo deve essere contemperato con i principi consolidati espressi in sede nomofilattica dalla S.C., la quale ha ribadito, anche recentemente, che le misure di coercizione indiretta, generali o speciali, non hanno natura risarcitoria, bensì induttiva dell'adempimento: esse, infatti, sono dirette ad attuare, con il pagamento di una somma crescente con il protrarsi dell'inadempimento, una pressione per propiziare l'adempimento di obblighi non coercibili in forma specifica, poiché contrasta con l'ordine pubblico interno il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo con caratteristiche e finalità punitive (Cass. civ., sez. I, 15 aprile 2015, n. 7613). Sicché è estranea all'ordinamento l'idea della punizione e della sanzione del responsabile civile ed è indifferente la valutazione a tal fine della sua condotta; per converso, il risarcimento è ammesso in relazione all'effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso, non essendo previsto l'arricchimento, se non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto all'altro. È, quindi, incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto dei danni punitivi (Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 2012, n. 1781; Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2007, n. 1183). In proposito, il d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 37, in attuazione della decisione quadro del Consiglio 2005/214/Gai del 24 febbraio 2005 sul riconoscimento reciproco delle sanzioni pecuniarie tra gli Stati europei, ha previsto che l'Italia riconosce le sanzioni pecuniarie irrogate da altri Stati membri dell'UE nei limiti in cui le relative disposizioni non siano incompatibili con i principi dell'ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali, diritti di libertà e giusto processo.
Misure di coercizione indiretta degli obblighi di consegna o rilascio e di fare o non fare
Il ricorso alle misure di coercizione indiretta è ammesso anche al fine di favorire l'adempimento delle condanne giudiziali al rilascio di un immobile o alla consegna di un mobile ovvero all'adempimento di un obbligo di fare o di non fare. Questo ampliamento determina la potenziale convergenza tra rimedi concorrenti, lato sensu esecutivi: per un verso, i mezzi di esecuzione forzata diretta in forma specifica, per altro verso, gli strumenti conformativi di esecuzione indiretta. Il legislatore non regola tale potenziale convergenza. In astratto, le soluzioni possibili sono le seguenti: a) il ricorso alle misure coercitive indirette in tali fattispecie è residuale, nel senso che la loro spendibilità è subordinata all'esito negativo dell'attivazione della procedura di esecuzione forzata; b) l'irrogazione della misura coercitiva indiretta su istanza della parte interessata è indicativa di una scelta implicita di avvalersi in via principale dei rimedi compulsori, che opereranno in sostituzione dei rimedi di esecuzione in forma specifica, con abdicazione per facta concludentia a questi ultimi; c) tali categorie eterogenee di rimedi possono coesistere in modo illimitato, sicché la parte avente diritto potrà avvalersi contestualmente sia delle misure di sollecitazione sia degli strumenti di esecuzione diretta; d) la coesistenza tra i rimedi è relativa, ossia è subordinata alla circostanza che la misura conformativa sia stabilita per il ritardo ovvero per ciascuna violazione di obblighi ad attuazione continuativa o periodica mentre l'avvio della procedura di esecuzione in forma specifica è volto ad ottenere la definitiva soddisfazione dell'obbligo violato.
La soluzione del nodo deve tenere conto di due profili tra essi antitetici. Sotto il primo profilo, in mancanza di alcuna specifica previsione normativa, sarebbe arbitraria qualsiasi lettura volta ad escludere la facoltà della parte avente diritto di avvalersi dei presidi generali a garanzia dell'esecuzione, in conseguenza della comminatoria di una misura coercitiva indiretta. Se così fosse, l'ampliamento previsto dalla novella non sarebbe rafforzativo delle tutele spettanti, ma implicherebbe un'indebita rinuncia, che non può essere desunta dal sistema e che sarebbe peraltro lesiva del diritto costituzionale di difesa. Sotto altro profilo, il cumulo dei rimedi esperibili non può prestarsi a determinare un ingiustificato arricchimento a vantaggio del creditore, né può tramutare il fine della misura da autenticamente preventivo-compulsorio in essenzialmente successivo-afflittivo, come accadrebbe qualora la misura fosse concepita come un aggravio dell'inadempimento in aggiunta all'esecuzione in forma specifica. Se così fosse, le coercitorie sarebbero private della loro originaria propensione dissuasiva, a fronte del perseguimento di uno scopo marcatamente punitivo o sanzionatorio, eventualmente cumulabile con l'acquisizione del bene della vita sotteso al diritto leso, avvalendosi dei mezzi di esecuzione in forma specifica. In questa prospettiva, sarebbe inconcepibile assicurare al rivendicante della restituzione di un immobile, al contempo, l'esecuzione in forma specifica per rilascio, con la conseguente acquisizione del bene in natura, e la comminatoria di una misura coercitiva per l'inattuazione dell'obbligo di rilascio, la cui quantificazione sia commisurata al valore del bene: il creditore si vedrebbe riconosciute due prestazioni, il bene in natura e una prestazione pecuniaria equiparata al suo valore. Per l'effetto, in presenza di obblighi di consegna o rilascio ovvero di fare o non fare, i sistemi rimediali contemplati dall'ordinamento possono concorrere e cumularsi quando siano diretti al perseguimento di scopi complementari: ove la misura sia stabilita per il ritardo, essa può essere invocata ad integrazione dell'esecuzione in forma specifica di obblighi istantanei; e così quando la misura sia contemplata a garanzia dell'adempimento di obblighi ad attuazione continuativa o periodica, la misura fissata per ogni violazione o inosservanza può coesistere con l'esperimento dei rimedi dell'esecuzione per consegna o rilascio ovvero dell'esecuzione degli obblighi di fare o non fare. Nondimeno, in tali ipotesi il concorso degli strumenti si esplicherà in chiave di successione diacronica, poiché ricorrerà una priorità logica e cronologica dei mezzi di esecuzione forzata a fronte delle misure di coercizione indiretta. Sicché, ove il provvedimento giudiziale di condanna al rilascio di un immobile o all'abbattimento di un muro sia corredato da una misura sollecitatoria per il ritardo, dovrà essere fissato un termine per l'esecuzione della condanna. Scaduto tale termine senza che l'immobile sia restituito o il muro abbattuto, il creditore potrà attivare i rimedi di esecuzione diretta e, all'esito del raggiungimento del risultato (acquisizione dell'immobile o distruzione del muro), potrà pretendere il pagamento della pena pecuniaria di cui alla misura coercitiva per ogni giorno o mese o anno di ritardo rispetto al momento finale del conseguimento del bene della vita. Nel caso di esecuzione di obblighi istantanei eseguibili per surrogazione di un terzo, il creditore potrà richiedere già nel procedimento di cognizione che la condanna principale sia supportata da una condanna accessoria a titolo di misura coercitiva per l'ipotesi di inosservanza (non già di semplice ritardo) della condanna principale; all'esito dell'irrogazione, il creditore potrà scegliere nella fase esecutiva se agire con i rimedi dell'esecuzione specifica, rinunciando così ad avvalersi della coercitoria ottenuta, ovvero se pretendere il pagamento della somma di denaro contenuta nella misura coercitiva, abdicando così alla tutela esecutiva in forma specifica. Per tornare all'esempio prima citato, ove l'avente diritto alla restituzione di un immobile formuli istanza per la comminazione di una coercitoria nel caso di inattuazione della condanna principale al rilascio entro un dato termine, all'esito dell'irrogazione della misura, il cui ammontare tenga conto del valore della causa e della natura della prestazione o del danno quantificato o prevedibile, il beneficiario della condanna, nel caso di persistenza dell'inadempimento del debitore, potrà optare per l'esecuzione in forma specifica, senza attivarsi per richiedere il pagamento della coercitoria, ovvero potrà pretendere tale pagamento, desistendo dall'attivazione dell'esecuzione in forma specifica. In tali casi sarà il giudice dell'opposizione a precetto o all'esecuzione a dover rilevare l'improcedibilità dell'azione esecutiva intrapresa per seconda, all'esito della soddisfazione del diritto mediante ultimazione della procedura di esecuzione specifica ovvero dell'incameramento della somma fissata a titolo di coercitoria. E ciò sempre che non si ritenga a monte, facendo riferimento al dato letterale della norma, che la coercitoria in ordine agli obblighi ad esecuzione istantanea sia ammissibile per il solo ritardo mentre la coercitoria per le violazioni o inosservanze sia configurabile per i soli obblighi continuativi o periodici. Così si spiegherebbe il riferimento alla locuzione «ogni violazione o inosservanza». Ove si aderisse a tale impostazione, sarebbero sempre compatibili i rimedi esecutivi specifici per l'inadempimento di obblighi istantanei di consegna o rilascio, fare o non fare e quelli esecutivi indiretti per il ritardo nell'attuazione di detti obblighi. Esclusione della coercizione indiretta per gli obblighi di pagamento di somme di denaro
L'esclusione delle condanne aventi ad oggetto il pagamento di una somma di denaro dall'ambito operativo delle misure di coercizione indiretta esalta il ruolo centrale che nell'impianto dell'esecuzione forzata riveste l'espropriazione. Tanto più che, a loro volta, anche le misure coercitive indirette costituiscono delle condanne pecuniarie, la cui inattuazione giustifica il ricorso all'espropriazione forzata. Ed infatti, a fronte dell'inesecuzione di obbligazioni pecuniarie già sussistono dei rimedi coercitivi satisfattivi di cui il creditore può avvalersi, ossia i consistenti interessi giudiziari regolati dall'art. 1284, commi 4 e 5, c.c., come introdotti dal d.l. n. 132/2014, applicabili non solo qualora siano proposte domande giudiziali di condanna pecuniaria, ma anche ove siano spiegati atti di promozione dei procedimenti arbitrali a decorrere dall'11 dicembre 2014. La misura di tali interessi corrisponde a quella prevista dalla legislazione speciale sui ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali di cui all'art.5 del d.lgs. n. 231/2002. Siffatto aggravio degli interessi opera ipso iure in via di automatico effetto sostanziale, quale che sia la causa petendi dell'obbligo pecuniario (contrattuale, extracontrattuale, da quasi-contratto o quasi-delitto, da contatto sociale o ex lege, da restituzione o da risarcimento). E ciò sino al definitivo soddisfacimento dell'obbligo rimasto inadempiuto. La previsione normativa di tali accessori non costituisce comunque una misura coercitiva indiretta in senso stretto, atteso che la relativa applicazione spetta per legge e non per effetto di un provvedimento giudiziale preventivo comminatorio ad hoc; inoltre, il tasso di tali interessi è prestabilito dal legislatore, ove le parti non lo abbiano determinato contrattualmente, e non è rimesso alla determinazione discrezionale dell'autorità giudiziaria. Nondimeno, è omogeneo il fine perseguito dagli interessi giudiziari, comunque riconducibile ad uno scopo di deterrenza: quello di scoraggiare la resistenza del debitore dal pagamento degli obblighi pecuniari, costringendo il creditore ad aprire un processo giudiziale o un procedimento arbitrale per ottenere la relativa condanna. La comminazione della misura coercitiva indiretta non esige, all'esito della novella, alcuna indagine sulla natura infungibile dell'obbligo principale. E pone altresì al riparo dai possibili inconvenienti che il riferimento ad una nozione prettamente processuale di infungibilità era suscettibile di determinare secondo l'originaria versione della norma. Infatti, fuori dei casi di infungibilità sostanziale (materiale o giuridica) in senso stretto della prestazione, l'infungibilità processuale non rileva a priori, né emerge in senso assoluto, bensì si enuclea in termini dinamici sulla scorta della tipologia degli interessi incisi e del concreto assetto del rapporto instaurato tra le parti: piuttosto, essa si esprime nel rapporto tra soggetto obbligato e natura della prestazione, tanto da attrarre nella sua orbita anche le prestazioni con spiccato contenuto personale o fondate sull'intuitus personae, fra cui si annoverano le prestazioni artistiche o scientifiche, le ipotesi di mera difficoltà o complicazione della sostituzione nell'esecuzione della prestazione a cura di un organo terzo ovvero della possibilità che l'esecuzione si presti a condotte fraudolente od elusive, le obbligazioni complesse, i fasci inscindibili di rapporti, di cui solo alcune delle prestazioni siano infungibili, le prestazioni la cui attuazione postula il fatto o la cooperazione di un terzo, le prestazioni a carattere continuativo o periodico, le forniture rese da un monopolista o da un oligopolista. Ciò avrebbe potuto compromettere la stessa certezza dell'ambito applicativo dello strumento coercitivo ovvero avrebbe potuto determinare vuoti di tutela, a fronte dell'emersione dell'infungibilità non già nel processo di cognizione, ma direttamente nella fase esecutiva. Si pensi alle prestazioni aventi ad oggetto il rendimento del conto, l'esibizione documentale, la trasmissione di informazioni ai soci di una società, la comunicazione al genitore non collocatario delle informazioni relative al luogo di dimora della prole convivente con il genitore collocatario, l'apprestamento di accorgimenti volti ad impedire le immissioni. Tuttavia, il problema dell'identificazione della natura infungibile dell'obbligo, con i conseguenti riflessi applicativi che esso comporta, può tornare a presentarsi ove si ritenga che la comminazione della misura compulsoria per la definitiva violazione degli obblighi ad esecuzione istantanea sia ammissibile per i soli obblighi infungibili.
In conclusione
Gli esiti della riforma, benché siano volti a risolvere alcuni dei nodi che l'originaria formulazione della norma aveva posto, da un lato, lasciano immutate le questioni controverse relative al significato della condizione preclusiva esterna della manifesta iniquità e all'esclusione dal campo applicativo della disposizione dei rapporti di lavoro subordinato, pubblico e privato, e parasubordinato, con i conseguenti profili di illegittimità costituzionale che ne discendono ai sensi dell'art. 3 Cost. (a fronte dei rapporti di lavoro autonomo nonché dell'equiparazione tra obblighi del datore di lavoro e obblighi del lavoratore, obblighi negativi del lavoratore e obblighi positivi, consistenti in primis nella prestazione dell'attività lavorativa); dall'altro, inseriscono nel dibattito ulteriori questioni interpretative di non facile soluzione. In particolare, il nuovo testo della disposizione impone una delicata operazione di bilanciamento tra l'assistenza delle misure di deterrenza a supporto delle condanne giudiziali per consegna o rilascio e per obblighi di fare o non fare e l'attivazione delle procedure di esecuzione in forma specifica. La relativa ponderazione dovrà tenere conto - da un lato - della tutela dell'avente diritto, alla cui difesa è rimessa la possibile scelta tra rimedi in concreto inconciliabili, e - dall'altro - dell'individuazione dell'area giuridica in cui detti rimedi possono concorrere, senza che si prestino al raggiungimento di un fine sanzionatorio ex ante. Altrimenti si giungerebbe a configurare in via surrettizia la categoria dei punitive damages, che la giurisprudenza di legittimità ritiene incompatibile con i principi generali dell'ordinamento. Molti di tali inconvenienti nascono da un vizio di origine della norma, che è rimasto tale anche all'esito della novella: ossia la rimessione del potere di irrogazione della misura coercitiva indiretta al giudice della cognizione, in vista di una futura potenziale inosservanza della condanna principale, anziché al giudice dell'esecuzione all'esito della constatazione dell'inadempienza alla condanna disposta.
BENATTI, Dall'astreinte ai danni punitivi: un passo ormai obbligato, in Banca, borsa e tit. di cred., 2015, 6, 2, 679; CHIARLONI, Esecuzione indiretta. Le nuove misure coercitive ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c., in www.Treccani.it, 2012; FINOCCHIARO, Misure di coercizione indiretta, in Guida al dir., 2015, 38, 56; MONDINI, Astreintes, ordine pubblico interno e danno punitivo, in Foro it., 2015, 12, I, 3951; TEDOLDI, Le novità in materia di esecuzione forzata nel d.l. n.83/2015 … in attesa della prossima puntata …, in Corr. giur., 2016, 2, 153; TRAPUZZANO, Le misure coercitive indirette, Padova, 2012; VENCHIARUTTI, Le Astreintes sono compatibili con l'ordine pubblico interno. E i punitive damages?, in Resp. civ. e prev., 2015, 6, 2, 1899; VINCRE, Le astreintes a seguito della riforma del 2015, in www.scuolamagistratura.it, 2015.
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