Limiti oggettivi del giudicato formatosi sul decreto ingiuntivo

Cesare Trapuzzano
07 Luglio 2016

Il giudicato sostanziale, conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo, si estende pure alla causa petendi indicata a sostegno del credito azionato.
Massima

Il giudicato può formarsi anche sulla qualificazione giuridica di un rapporto, ove questa costituisca antecedente necessario ed indispensabile della pronuncia sulla domanda e la parte interessata non abbia proposto impugnazione, con la conseguenza che, ove l'attore abbia domandato, sia pure mediante ricorso per ingiunzione di pagamento, la condanna dell'intimato al pagamento del contributo agli oneri di un consorzio tra proprietari immobiliari relativi a spese amministrative, di vigilanza e di manutenzione dei beni comuni, deve ritenersi intervenuto il giudicato sull'accertamento compiuto dal giudice del decreto monitorio, non tempestivamente opposto, tanto in ordine alla qualificazione del contesto proprietario quanto in ordine alla sussistenza del fondamento dell'obbligo del debitore ingiunto di concorrere a dette spese, il cui fondamento sia esplicitamente indicato nella domanda di pagamento

Il caso

In sede monitoria, è stato richiesto ad uno dei consorziati il pagamento delle spese della comunione relative alle tabelle A, C ed E, relative ad un consorzio di lottizzazione, per le annualità di gestione dal 1998 al 2001. Il consorziato proponeva opposizione, contestando che fosse tenuto a partecipare alle spese amministrative (di cui alla tabella A della convenzione di lottizzazione), alle spese di vigilanza (di cui alla tabella C), nonché ad alcune voci di spesa per la manutenzione di beni in comproprietà (di cui alla tabella E), esulanti da quelle strettamente inerenti ai costi per la manutenzione delle strade ed in genere per le opere di urbanizzazione, cui la convenzione certamente lo obbligava. In proposito, negava che un precedente decreto ingiuntivo non opposto avesse dato luogo alla formazione tra le parti di un giudicato sull'esistenza e validità del rapporto tra loro corrente, derivante dall'appartenenza dell'intimato al consorzio per la gestione delle parti e dei servizi comuni, costituito con la convenzione tra i proprietari degli immobili compresi nella zona oggetto di lottizzazione e l'amministrazione comunale, regolato alla stregua della volontà manifestata dagli stessi consorziati con la disciplina adottata nelle norme statutarie e comportante l'obbligo strumentale di concorrere alle spese comuni (Cass. civ., sez. II, 3 ottobre 2013, n. 22641). I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, rigettavano l'opposizione, ritenendo che, in ordine all'obbligo del consorziato di contribuire alle spese di cui alle voci delle tre tabelle indicate, si fosse formato il giudicato esterno, in forza della mancata opposizione al pregresso decreto ingiuntivo, che riguardava voci analoghe per altre annualità. La decisione impugnata in cassazione si fondava sull'assunto secondo cui il giudicato riguardava non soltanto la partecipazione al consorzio, quanto altresì la ragione e la misura dell'obbligazione del comproprietario di versare la quota di contribuzione alle spese comuni stabilita dagli organi statutariamente competenti, nonché l'inesistenza di fatti impeditivi o estintivi, non dedotti ma deducibili nel giudizio di opposizione, quali quelli atti a prospettare l'insussistenza, totale o parziale, del credito azionato in sede monitoria sul presupposto della fruizione dei beni e dei servizi consortili, compresi quelli ripartiti nelle tabelle A, C ed E, essendo tale causa petendi esplicitata nel relativo ricorso per ingiunzione (e ciò argomentando da Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2015, n. 13207 ; Cass. civ., sez. III, 24 luglio 2007, n. 16319).

La questione

La questione affrontata dal giudice di legittimità concerne i limiti oggettivi del giudicato formatosi su un decreto ingiuntivo. A fronte dell'indirizzo secondo cui un provvedimento giurisdizionale passato in giudicato non può dirsi vincolante in altri giudizi aventi ad oggetto le medesime questioni di fatto o di diritto, se da esso non sia dato ricavare le ragioni della decisione ed i princìpi di diritto che ne costituiscono il fondamento; sicché, quando il giudicato si sia formato per effetto della mancata opposizione a un decreto ingiuntivo recante condanna al pagamento di un credito con carattere di periodicità, il debitore non può più contestare il proprio obbligo relativamente al periodo indicato nel ricorso monitorio, ma - in mancanza di esplicita motivazione sulle questioni di diritto nel provvedimento monitorio - non gli sarebbe inibito contestarlo per le periodicità successive (Cass. civ., sez. lav., 25 novembre 2010, n. 23918; Cass. civ., sez. lav., 20 marzo 2014, n. 6543), si contrappone l'orientamento recepito dalla giurisprudenza in commento, in ragione del quale l'accertamento contenuto nel decreto ingiuntivo, circa la sussistenza dell'obbligo di un consorziato di contribuire alle spese della comunione relative alle tabelle allegate alla convenzione, inerisce ad una connotazione, di fatto e di diritto, del rapporto consortile inter partes, idonea a produrre effetti destinati a durare per tutto il protrarsi di tale rapporto purché la situazione normativa e fattuale resti immutata. Per l'effetto, la situazione così accertata non può formare oggetto di valutazione diversa nel giudizio successivo, permanendo immutati gli elementi di fatto e di diritto preesistenti.

Le soluzioni giuridiche

Secondo l'arresto in commento, il giudice, nell'indagine volta ad accertare l'oggetto ed i limiti del giudicato esterno discendente da un decreto ingiuntivo non opposto, deve dare rilievo non unicamente al contenuto precettivo del provvedimento monitorio pronunziato, ma anche agli elementi di fatto ed alle ragioni di diritto su cui era fondata la domanda di ingiunzione. Pertanto, il giudice che emette il decreto ingiuntivo, accogliendo le ragioni del ricorrente, ne fa propri i motivi, per cui il riferimento a questi - portati a conoscenza dell'ingiunto mediante la notificazione sia del ricorso che del decreto, prevista dal comma 2 dell'art. 643 c.p.c. - è sufficiente ad integrare per relationem la motivazione del provvedimento, necessaria ai sensi del combinato disposto degli artt. 641, comma 1, e 135, comma 2, dello stesso codice di rito (Cass. civ., sez. lav., 16 giugno 1987, n. 5310; Cass. civ., sez. V, 20 agosto 2004, n. 16455). Ne consegue che il giudicato sostanziale, conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo, si estende pure alla causa petendi indicata a sostegno del credito azionato, abbracciando i fatti costitutivi esposti nel ricorso per ingiunzione, come l'inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al medesimo ricorso e non dedotti con l'opposizione, mentre non si estende soltanto ai fatti successivi al giudicato, ovvero a quelli che comportino un mutamento del petitum e della causa petendi articolati in seno alla domanda accolta. Ove si tratti di decreto ingiuntivo per le rate maturate di un'obbligazione periodica, l'autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione di quelle già risolte con provvedimento definitivo, il quale, pertanto, esplica la propria efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, con l'unico limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento (Cass. civ., sez. lav., 23 luglio 2015, n. 15493; Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2010, n. 11360).

Osservazioni

Il decreto ingiuntivo che non sia stato contestato nei termini concessi per la proposizione del giudizio di opposizione costituisce, per un verso, sul piano formale, titolo idoneo per intraprendere l'esecuzione forzata e, per altro verso, sul piano sostanziale, accertamento definitivo del diritto con efficacia di cosa giudicata. Identica conclusione vale per l'ipotesi in cui il giudizio di opposizione si estingua ovvero sia rigettato o dichiarato inammissibile o improcedibile con sentenza passata in giudicato.

Che il decreto ingiuntivo divenuto definitivo faccia stato in ordine all'accertamento del diritto in esso incorporato può essere desunto, nonostante il difetto di alcuna specifica previsione normativa al riguardo, dai seguenti indici:

a) dal riconoscimento della possibilità di spiegare l'opposizione tardiva nei soli casi regolati dall'art. 650 c.p.c.;

b) dall'ammissibilità, ai sensi dell'art. 656 c.p.c., dei mezzi di impugnazione della revocazione straordinaria e dell'opposizione di terzo revocatoria avverso il decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo ai sensi dell'art. 647 c.p.c.;

c) dalla possibilità di esperire la revocazione avverso il decreto ingiuntivo divenuto esecutivo per contrasto con una precedente sentenza passata in giudicato.

Il fatto che l'accertamento discenda da un provvedimento avente la forma del decreto, emesso a seguito di una cognizione sommaria e senza contraddittorio, non esclude che detto accertamento faccia comunque stato ai sensi dell'art. 2909 c.c., norma che si riferisce espressamente ai provvedimenti aventi forma di sentenza.

E ciò perché tale accertamento sommario diviene definitivo solo per effetto della mancata proposizione del giudizio di opposizione a cognizione piena, che il debitore aveva facoltà di instaurare e che di fatto non ha instaurato. Pertanto, il decreto ingiuntivo non opposto acquista autorità di cosa giudicata sostanziale, sia in relazione al diritto in esso consacrato, sia in ordine ai soggetti, sia in ordine all'oggetto.

Diversamente non fa stato il provvedimento di rigetto, anche parziale, del decreto ingiuntivo richiesto, atteso che l'art. 640 c.p.c. espressamente ammette la riproposizione della stessa domanda. Ciò implica la non impugnabilità del provvedimento di rigetto, in relazione alla natura monitoria del procedimento, nel quale la pronuncia di rigetto emessa inaudita altera parte non può avere il valore di un accertamento negativo della domanda dell'attore (Cass. civ., sez. III, 8 ottobre 1956, n. 3408; Cass. civ., sez. III, 3 maggio 1974, n. 1244; Cass. civ., sez. lav., 2 aprile 1987, n. 3188; Cass. civ., sez. III, 24 giugno 1993, n. 7003; contra Cass. civ., sez. lav., 20 gennaio 1999, n. 499, e Cass. civ., sez. lav., 15 marzo 1999, n. 2304). Infatti, il rigetto, anche parziale, della domanda in sede monitoria non necessariamente dipende dal fatto che essa non trovi in assoluto alcun riscontro, e sia conseguentemente infondata, ma ben può dipendere dalla circostanza che difettino le condizioni di ammissibilità di cui all'art. 633 c.p.c. D'altronde, in caso di accoglimento parziale della domanda monitoria, l'effettuazione della notifica del decreto a cura del ricorrente non importa alcuna acquiescenza in ordine alla porzione di credito disattesa, essendo piuttosto funzionale ad impedire che il decreto perda efficacia ai sensi dell'art. 644 c.p.c.

Proprio il diverso trattamento riservato all'accoglimento del ricorso ingiuntivo, a fronte del trattamento previsto per il rigetto, anche parziale, ha indotto a ritenere che la commisurazione dell'ambito oggettivo del giudicato non solo al dedotto ma anche al deducibile, quale coerente conseguenza dell'accertamento ordinario cui si riferisce l'art. 2909 c.c., non è, di contro, compatibile con la peculiarità del procedimento per ingiunzione, che è strutturato, almeno nella fase propriamente monitoria, secondo regole finalizzate ad accertare non già la fondatezza o l'infondatezza della pretesa creditoria, ma esclusivamente la sussistenza di elementi sufficienti a giustificare l'ingiunzione (Cass. civ., sez. un., 1 marzo 2006, n. 4510). Nondimeno, secondo una più convincente elaborazione, il giudicato sostanziale formatosi in conseguenza della mancata opposizione del provvedimento monitorio copre non solo il dedotto ma anche il deducibile, poiché deve essere equiparato, a tutti gli effetti, al giudicato derivante da una sentenza, sicché non potrà essere fatta valere in un successivo giudizio l'inesistenza di fatti impeditivi, estintivi o modificativi che l'ingiunto avrebbe potuto eccepire attraverso l'atto di opposizione. Piuttosto, il giudicato non copre esclusivamente i fatti successivi alla sua formazione nonché le pretese che abbiano un'autonoma connotazione sul piano del petitum e della causa petendi, sulla scorta dei principi generali in tema di limiti oggettivi e temporali del giudicato delle sentenze.

Resta da chiedersi quale sia il momento in cui si forma il giudicato nel caso di mancata opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso. Secondo la tesi prevalente in giurisprudenza (Cass. civ., sez. I, 13 marzo 2009, n. 6198; nello stesso senso Cass. civ., sez. I, 27 gennaio 2014, n. 1650; così anche Cass. civ., sez. I, 31 gennaio 2014, n. 2112), la formazione del giudicato sostanziale risale al momento in cui è adottato il decreto che dispone l'esecutorietà del provvedimento monitorio, ai sensi dell'art. 647 c.p.c. E ciò anche quando sia stata notificata la citazione introduttiva dell'opposizione, ma l'opponente non si sia costituito, iscrivendo la causa a ruolo. Il conferimento dell'esecutorietà in ragione dell'integrazione dei relativi presupposti ha, pertanto, valenza costitutiva ed efficacia ex nunc. Esso spetta al giudice che ha pronunciato il provvedimento monitorio, su istanza anche verbale del ricorrente. La relativa verifica non può essere compiuta in via incidentale dal giudice dell'esecuzione, poiché tra l'altro postula il controllo della notifica del ricorso e del decreto ingiuntivo, all'esito del quale il giudice del monitorio può disporre la rinnovazione, ove risulti o appaia probabile che l'intimato non abbia avuto conoscenza del decreto.

I limiti oggettivi del giudicato attengono all'immutabilità, irretrattabilità o intangibilità dell'accertamento dell'esistenza del diritto soggettivo fatto valere nel procedimento monitorio. Siffatto vincolo, che si suole ricondurre al principio del ne bis in idem, opera in tutti i futuri giudizi in cui sia dedotto in via principale quello stesso diritto soggettivo acclarato dal decreto ingiuntivo (c.d. effetti diretti) o siano fatti valere diritti soggettivi, la cui esistenza dipende dal diritto verificato in sede monitoria (c.d. effetti riflessi). In ragione del più accreditato indirizzo interpretativo, accolto anche dalla pronuncia in commento (Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2010, n. 11360; Cass. civ., sez. I, 24 novembre 2000, n. 15178), il giudicato sostanziale conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo copre, non soltanto l'esistenza del credito azionato (ossia del bene della vita invocato dal ricorrente), del rapporto di cui esso è oggetto e del titolo su cui il credito ed il rapporto stessi si fondano, ma anche l'inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito, precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotti con l'opposizione, mentre non si estende ai fatti successivi al giudicato ed a quelli che comportino un mutamento del petitum ovvero della causa petendi in seno alla domanda rispetto al ricorso esaminato dal decreto ingiuntivo divenuto esecutivo (Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2006, n. 6628; vedi anche le più risalenti Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1974, n. 3175; Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 1967, n. 2326). Ne discende che la valenza preclusiva del relativo accertamento si estende non solo al bene della vita che ha formato oggetto della domanda, ma anche all'esistenza e alla validità del rapporto sottostante sul quale si fonda lo specifico effetto giuridico dedotto. Spunti favorevoli al riconoscimento di questa estensione provengono dalle decisioni in tema di regolamento preventivo di giurisdizione (di cui a Cass. civ., sez. un., 16 novembre 1998, n. 11549; Cass. civ., sez. un., 12 luglio 2005, n. 14546). È precluso, dunque, il rinnovato esame del rapporto dedotto nell'ambito del decreto ingiuntivo da cui il credito fatto valere deriva, con la relativa causale, in un successivo giudizio. Sicché l'autorità e l'efficacia di giudicato del decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo sono assimilabili al giudicato di una sentenza di condanna (Cass. civ., sez. III, 16 aprile 1968, n. 1125; vedi anche Cass. civ., sez. III, 14 luglio 1967, n. 1776; Cass. civ., sez. I, 17 maggio 1966, n. 1246; nella giurisprudenza di merito vedi Trib. Cassino 30 gennaio 2007; Trib. Roma 2 marzo 2006). Né siffatta conclusione si pone in tensione con gli artt. 3 e 24 Cost., in ragione della natura sommaria dell'accertamento rimesso al procedimento monitorio, in quanto al debitore, dopo l'emanazione di un provvedimento immediato a seguito di una sommaria cognizione, è consentita la difesa più completa, mediante l'atto di opposizione, che instaura il giudizio a cognizione piena (vedi Cass. civ., sez. Lav., 20 aprile 1996, n. 3757). Il fatto che l'ingiunto non se ne sia avvalso non pregiudica l'idoneità del provvedimento a determinare un pieno giudicato. Ma vi è di più. In base ad un'opzione ermeneutica ancora più penetrante e incisiva (Cass. civ., sez. III, 28 agosto 2009, n. 18791; Cass. civ., sez. I, 6 settembre 2007, n. 18725; Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 2002, n. 2083; Cass. civ., sez. I, 14 luglio 2000, n. 9335), cui aderisce la pronuncia in commento, il decreto ingiuntivo non opposto acquista efficacia di giudicato anche in relazione agli accertamenti che costituiscono i necessari e inscindibili antecedenti o presupposti logico-giuridici della pronunzia d'ingiunzione, impedendo che gli stessi possano essere riportati all'attenzione dell'autorità giudiziaria in altro giudizio tra le medesime parti. Essi possono essere desunti dal collegamento dinamico tra motivi del ricorso ed esito della domanda monitoria, atteso che anche il ricorso è notificato all'ingiunto, tanto che tali motivi integrano per relationem il contenuto precettivo del decreto ingiuntivo. In conclusione, il giudicato che consegue alla mancata opposizione del provvedimento monitorio, per un verso, fa stato in ordine all'esistenza e alla validità del rapporto sul quale si fonda lo specifico effetto giuridico dedotto e, per altro verso, copre il dedotto ed il deducibile (Cass. civ., sez. Un., 16 novembre 1998, n. 11549, che, proprio in ragione di tale principio, nega l'ammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione proposto nel corso del giudizio di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c.; nello stesso senso Cass. civ., sez. un., 12 luglio 2005, n. 14546; contra Cass. civ., sez. un., 6 luglio 2005, n. 14208). In questa prospettiva si è affermato che il decreto ingiuntivo concesso per il pagamento di canoni locatizi insoluti, emesso all'esito di convalida di sfratto, una volta divenuto inoppugnabile, acquista efficacia di giudicato sull'esistenza del contratto di locazione, sulla ricorrenza del credito per il pagamento dei canoni e sull'inesistenza di fatti impeditivi, modificativi od estintivi dell'uno o dell'altro, che non siano stati dedotti, benché deducibili, nel corso del giudizio (Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2015, n. 13207; Cass. civ., sez. III, 24 maggio 2013, n. 12994; Cass. civ., sez. III, 24 luglio 2007, n. 16319). Tuttavia, alla stregua dell'indirizzo recepito dalla giurisprudenza, non può fare stato sulla qualificazione del contratto ed, in particolare, sulla sua assoggettabilità o meno alla disciplina di cui alla l. 27 luglio 1978, n. 392, che non abbia formato oggetto di accertamento, nemmeno sommario, da parte del giudice (Cass. civ., sez. III, 2 aprile 2009, n. 8013).

Guida all'approfondimento

BALBI, Ingiunzione (procedimento di), in Enc. Giur. it., 1989, XVII, 12;

GARBAGNATI-ROMANO, Il procedimento d'ingiunzione, 2a ed., Milano, 2012;

MANDRIOLI-CARRATTA, Diritto processuale civile, III, I procedimenti speciali. L'arbitrato, la mediazione e la negoziazione assistita, 14a ed., Torino, 2015, 54;

PROTO PISANI, Appunti sul giudicato civile e sui suoi limiti oggettivi, in Riv. dir. proc., 1990, 411;

VALITUTTI-DE STEFANO, Il decreto ingiuntivo e l'opposizione, Padova, 2013.

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