Una prima lettura delle modifiche al procedimento monitorio conseguenti al Jobs act autonomiFonte: L. 22 maggio 2017 n. 81
06 Luglio 2017
L'art. 15, comma 1, lett. b), della l. n. 81/2017, entrata in vigore il 14 giugno 2017, ha modificato il secondo comma dell'art. 634 c.p.c. prevedendo che la prova scritta del credito per corrispettivi dei lavoratori autonomi, idonea a fondare un decreto ingiuntivo, può essere costituita anche dagli estratti autentici delle scritture contabili di cui agli artt. 2214 ss. c.c. e delle scritture contabili prescritte dalle leggi tributarie purché tenuti in conformità alle relative discipline. In particolare, sotto questo profilo, il credito del lavoratore autonomo è stato equiparato a quello per prestazione di servizi fatta dall'imprenditore commerciale. Siffatta efficacia probatoria peraltro è limitata, per i lavoratori autonomi, al solo procedimento monitorio mentre, come è noto, l'art. 2710 c.c., la riconosce a favore dell'imprenditore anche nei rapporti con altri imprenditori. La norma, data l'ampiezza della sua previsione, pare riferirsi a tutti i lavoratori autonomi, compresi quindi i professionisti intellettuali, e risulterebbe quindi coerente con l'art. 1 della novella, che precisa che le disposizioni in essa contenute si applicano ai rapporti di lavoro autonomo di cui al titolo III del libro quinto del codice civile, ivi inclusi i rapporti di lavoro autonomo che hanno una disciplina particolare ai sensi dell'art. 2222 c.c.. Poiché però non sono state modificate le norme del procedimento di ingiunzione riguardanti specificamente i professionisti intellettuali (artt. 633, comma 1, nn. 2 e 3 e 636 c.p.c.) è necessario stabilire quale sia il loro rapporto con quella di nuovo conio La soluzione più immediata è quella di ritenere che essa, ampliando la nozione di prova scritta di cui all'art. 633, comma 1, n. 1) c.p.c., abbia introdotto per i professionisti intellettuali una facoltà alternativa a quella di cui ai numeri 2,3 dello stesso comma. Se così fosse ne risulterebbe esteso anche l'ambito di applicazione dell'art. 186-ter c.p.c.. Questa norma infatti, nel fissare, al primo comma, i presupposti per l'emissione dell'ordinanza richiama(va) l'art. 633, primo comma, n.1 e secondo comma, c.p.c. e non anche i nn. 2 e 3 della prima di tali norme o l'art. 636 c.p.c.. Sulla base di tali presupposti normativi, non era quindi possibile ricorrere all'ordinanza ingiunzionale nei casi di cui agli art. 635 c.p.c. (prova scritta per i crediti dello Stato o degli enti pubblici) e 636 (parcella delle spese e prestazioni eseguite da avvocati, notai e professionisti in genere), con la conseguenza che la parcella opinata dall'ordine non costituiva prova scritta del credito ai fini del rilascio dell'ordinanza in esame, mentre può giustificare l'emissione del provvedimento monitorio (in tali termini si veda: Trib. Verona, 26 novembre 2015). Per verificare la validità della interpretazione della nuova previsione proposta nel paragrafo precedente occorre tener conto di quale fosse l'assetto normativo precedente alla novella. Già prima di essa parte della dottrina e della giurisprudenza di merito avevano dubitato, a ragione, della permanenza degli artt. 633, comma uno, nn. 2 e 3 e 636 c.p.c., quale conseguenza dell'entrata in vigore, a decorrere dal 23 agosto 2012, dei parametri. Al riguardo era stato in primo luogo evidenziato il dato normativo, costituito dall'art. 9, comma 2, l. n. 27/2012 che menziona i parametri come criterio di determinazione del compenso “nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale”. Questa norma, a ben vedere, ha sostituto il comma 1 dell'art. 2233 c.c. cosicché si può affermare che, con essa, il legislatore aveva scelto di abbandonare il sistema precedente, fondato su una pluralità di strumenti di determinazione del compenso (autonomia negoziale, usi, tariffe professionali e determinazione da parte del giudice, previa consultazione con l'ordine professionale) per optare per un sistema nel quale l'accordo tra professionista e cliente costituiva la regola. In mancanza di esso suppliva la liquidazione ad opera del giudice sulla base di parametri stabiliti con decreto del Ministro della Giustizia. A conforto di tale lettura va evidenziato come la relazione ministeriale al reg. 140/2012 attribuisca all'art. 9, comma 5, l. n. 27/2012 una portata parzialmente abrogatrice dell'art. 2233, comma 1, c.c.. laddove osserva che la prima norma «a) non menziona gli usi e b) esclude implicitamente la necessità, per l'organo giurisdizionale che debba procedere alla liquidazione, di sentire l'associazione professionale cui si riferisce l'art. 2233 c.c.» . Se pertanto, sotto il profilo normativo, poteva ritenersi tacitamente abrogata, ai sensi dell'art. 15 preleggi la norma, di diritto sostanziale, che richiedeva il coinvolgimento dell'associazione professionale nella determinazione del compenso del professionista, la medesima sorte hanno avuto le disposizioni processuali che di quella costituivano una specifica applicazione (gli artt. 633 comma 1, nn. 2 e 3 e l'art. 636 c.p.c.). A conferma di quanto appena detto concorrono alcune considerazioni di ordine funzionale. Nella relazione al d.m. n. 140/2012 si chiarisce che i criteri sostanziali ai quali si deve ispirare il giudice per determinare l'entità del compenso da riconoscere al professionista sono quelli dell'importanza, della complessità e del pregio dell'opera, mentre l'art. 1 comma 7, del regolamento stabilisce che le soglie numeriche da esso individuate non sono vincolanti nei minimi e nei massimi. La relazione al regolamento ribadisce quest'ultimo principio, aggiungendo che i parametri costituiscono un criterio meramente orientativo, utile al giudice per adeguare la liquidazione alle caratteristiche del caso concreto. È evidente pertanto che, nel sistema conseguente a quelle modifiche, la verifica che, ai predetti fini, doveva compiere il giudice, riguardava in primo luogo l'effettiva esecuzione delle attività, giudiziali o stragiudiziali, asserite dal professionista. La necessità di una indagine, diretta e penetrante, su quegli aspetti da parte del giudice, era del tutto incompatibile con il mantenimento dell'opinamento in capo agli ordini professionali, soprattutto se, nella vigenza del sistema tariffario, questo intervento fosse stato inteso, come verifica di carattere sostanziale secondo le indicazioni della Corte Costituzionale (C. Cost. 4 maggio 1984, n.137; C. Cost. 19 gennaio 1988, n. 34) e di una parte della giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. 29 ottobre 1992, n. 11765; Cass. Civ., Sez. Un., ord., 12 marzo 2008, n. 6534), ma anche qualora lo si fosse considerato come una valutazione di mera corrispondenza tra importi richiesti e importi indicati nelle tabelle, atteso che comunque era stato ritenuto vincolante per il giudice nella fase monitoria. In altri termini la valutazione che prima spettava all'associazione professionale era stata rimessa esclusivamente all'autorità giudiziaria. Alla luce delle suddette considerazioni, per effetto dell'abrogazione dell'art. 636 c.p.c., e di quella conseguente, e parziale, dell'art. 633 comma 1, nn. 2 e 3 c.p.c., i professionisti ai quali si applicava la riforma parametri non avrebbero più potuto azionare il loro credito nelle forme del procedimento monitorio «puro» ma avrebbero dovuto ricorrere a quello fondato su prova scritta, secondo la regola generale dell'art. 633 comma 1, n.1, c.p.c. (in tali termini Trib. Varese 11 ottobre 2012; Trib. Verona 25 settembre 2013). Le conclusioni sopra esposte non possono però ritenersi più valide per i soli avvocati dopo l'entrata in vigore, il 2 febbraio 2013, della legge di riforma dell'ordinamento forense (l. 31 dicembre 2012, n. 247). Infatti l'art. 29, lett. l), di tale legge ha riaffermato il potere del consiglio dell'ordine di dare pareri ai propri iscritti sull'entità del compenso e ha quindi determinato la reviviscenza , per i soli avvocati, degli artt. 633 comma 1, nn. 2 e 3 e 636 c.p.c. (sulla permanenza de potere di opinamento dell'ordine degli avvocati dopo la riforma dell'ordinamento forense: Trib. Milano, 13 gennaio 2016). In tal modo però, se si condivide quanto sopra detto, si era delineata una disciplina del procedimento d'ingiunzione differente per gli avvocati e per gli altri professionisti intellettuali che difficilmente può sottrarsi ad un rilievo di incostituzionalità, con riguardo al parametro dell'art. 3 Cost., non potendo rinvenirsi una ragionevole giustificazione per essa. Secondo una tesi (nota n.21 del presidente del consiglio nazionale dei dottori commercialisti del 7 marzo 2012), sebbene l'abrogazione della tariffa professionale abbia comportato il venir meno della funzione del parere di liquidazione, sarebbe rimasto in vigore il parere previsto dall'art. 2233, primo comma, c.c.. Esso peraltro non dovrebbe configurarsi come un parere di liquidazione della parcella (parere che si esprime sulla corretta applicazione della tariffa), bensì come parere che supporta il giudice nella comprensione della complessità della prestazione resa. Il parere quindi non avrebbe ad oggetto la quantificazione dei compensi, ma dovrebbe “fornire indicazioni su tutti gli elementi che caratterizzano la prestazione resa”. Questa opinione però non considera, da un lato, quale sia stata la portata abrogatrice del d.l. 1/2012 e, dall'altro, quale sia la funzione propria dei parametri come sopra ricostruite. Orbene, le considerazioni che avevano indotto a ritenere tacitamente abrogata la previsione che attribuiva al Cdo dei professionisti il potere di opinamento valgono anche come criterio orientativo dell'attività di individuazione dell'ambito di applicazione dell'art. 15, comma 1,lett. b), l. n. 81/2017. In particolare se si condivide quanto detto in ordine alla funzione dei parametri è evidente come il loro utilizzo non possa essere attribuito al solo professionista, per di più senza prevedere nessun tipo di verifica di esso da parte di un organo terzo. A prescindere da tali considerazioni poi la liquidazione del credito sulla base di essi non è predeterminabile, come non lo era quella del credito per prestazioni di servizi prima della modifica dell'articolo 634, comma 2, c.p.c. ad opera e dell'art. 8, comma 2, d.l. n. 432/1995. Sul punto è opportuno ricordare che prima della novella sopra citata la Corte Costituzionale, con la ordinanza 25 luglio 1990 n. 378, aveva escluso che l'art. 634 c.p.c. fosse in contrasto con l'art. 3 Cost. nella parte in cui non attribuiva valenza di prova scritta anche agli estratti autentici delle scritture contabili obbligatoriamente tenute dall'imprenditore per i crediti relativi alla prestazione di servizi. Secondo il giudice delle leggi quel regime era giustificato dal fatto che la somministrazione di danaro o di merci hanno un oggetto determinato in re ipsa (somme di danaro) ovvero il prezzo di merci il cui ammontare è comunque agevolmente determinabile sulla base di elementi obbiettivi, quali il prezzo corrente stabilito per atto della pubblica autoritaà o quello desumibile da listini o da mercuriali (cfr. artt. 1474 e 1515, terzocomma, c.c.), mentre quelli aventi ad oggetto compensi per prestazioni di servizi, crediti, questi ultimi, non presentavano nessuno dei requisiti suindicati. Queste osservazioni valgono mutatis mutandis per i parametri, specie per quelli da utilizzarsi per la liquidazione di attività di consulenza che non si traducono in un relazione scritta o, per quanto riguarda specificamente l'avvocato, per quelle di assistenza stragiudiziale, dal momento che il relativo compenso va calcolato quasi sempre sulla base del tempo dedicatovi. La soluzione che scongiura le problematiche evidenziateal termine del precedente paragrafo, oltre ad assicurare una diversità di disciplina a situazioni tra loro diverse, in conformità al parametro 3 Cost., è allora quella di ritenere che la nuova previsione si applichi solo ai lavoratori autonomi, quali artigiani e agenti di commercio, il cui credito sia agevolmente determinabile sulla base delle tariffe professionali, degli usi, (si tratta di criteri espressamente richiamati dall'arti. 2225 c.c.) o dei contratti collettivi di categoria. In alternativa si può pensare che il nuovo intervento abbia voluto ovviare a quella disparità di trattamento tra avvocati ed altri professionisti intellettuali conseguente alla legge di riforma dell'ordinamento forense, di cui si è detto. La conseguenza sarebbe che per i primi continuerebbe a trovare applicazione il combinato disposto degli art. 633, comma 2, n. 2) e 636 c.p.c., ovviamente nel caso in cui non sia fornita prova scritta del compenso pattuito, ad esempio producendo il contratto di patrocinio o una ricognizione di debito, mentre per tutti gli altri trova applicazione la nuova previsione. Una simile conclusione non determinerebbe una disparità di trattamento date le peculiarità della professione forense rispetto alle altre. Una terza opzione invece è quella di ritenere che, proprio in conseguenza dell'abrogazione tacita delle norme speciali relative al procedimento di ingiunzione per i professionisti intellettuali, la nuova disposizione abbia inteso uniformare il trattamento per tutti i professionisti intellettuali, con conseguente tacita abrogazione anche del disposto dell'articolo 633, comma 1, n.2) c.p.c.. Se così fosse però non sarebbero state minimamente considerate le difficoltà di utilizzo dei parametri ai fini dell'autoliquidazione del compenso del professionista che si sono evidenziate.
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