Chi è onerato di promuovere la mediazione delegata nel processo d'opposizione a decreto ingiuntivo?

Giampaolo Di Marco
Silvio Campidelli
06 Settembre 2017

Il provvedimento in esame si colloca nel solco dell'orientamento giurisprudenziale largamente maggioritario in tema di opposizione a decreto ingiuntivo e successivo, mancato esperimento del tentativo di mediazione.
Massima

È

l'opponente a dover introdurre tempestivamente ed a coltivare diligentemente il procedimento di mediazione, ove delegata dal Giudice del processo di opposizione a decreto ingiuntivo; in difetto, il titolo giudiziale acquisisce definitività e l'opponente deve essere condannato alla rifusione delle spese di lite.

Il caso

Un ente pubblico ha promosso opposizione a decreto ingiuntivo e si è, successivamente, astenuto dal radicare la mediazione civile e commerciale, nonostante fosse stata disposta dal Giudice ai sensi dell'art. 5 comma 1 bis, D. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28.

La questione

Il provvedimento in esame si colloca nel solco dell'orientamento giurisprudenziale largamente maggioritario in tema di opposizione a decreto ingiuntivo e successivo, mancato esperimento del tentativo di mediazione.

La decisione si distingue, non tanto per le conclusioni a cui perviene, condivise, oramai, dalla massima parte dei Giudici territoriali (Trib. Vasto, 30 maggio 2016; Trib. Trento, 23 febbraio 2016, n° 177; Trib. Monza, sez. I, 21 gennaio 2016, n° 156; Trib. Nola, 24 febbraio 2015; Trib. Bologna, 20 gennaio 2015; Trib. Firenze, 30 ottobre 2014; Trib. Rimini, 5 agosto 2014; Trib. Firenze, sez. III, 30 gennaio 2014), specialmente a seguito dell'arresto di legittimità che si è pronunziato in tal senso (Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 2015, n° 24629), quanto, piuttosto, per l'assortito ventaglio di argomentazioni addotte a sostegno della tesi.

Le soluzioni giuridiche

La soluzione proposta dal Tribunale di Bologna può così sintetizzarsi:

  • l'opponente, nell'ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, riveste, sotto il profilo formale, il ruolo di attore e rappresenta, dunque, la parte portatrice dell'interesse alla prosecuzione del processo;
  • i provvedimenti emessi in fase monitoria, costituendo il frutto di un (pur sommario) sindacato giudiziale, sono dotati di una tendenziale stabilità e la loro rimozione implica l'adozione, ad opera del debitori, di una serie di contegni processuali attivi, tra i quali non può che rientrare anche l'onere di vincere le cause di improcedibilità della domanda.

Di contro, sempre ad avviso del Giudice bolognese, la teoria alternativa, secondo cui incomberebbe sull'opposto, quale asserito titolare del diritto sostanziale controverso, l'onere di attivare la mediazione, presterebbe il fianco a talune illogicità ed incoerenze sistematiche, nella misura in cui:

  • assegnerebbe al creditore il compito di favorire la prosecuzione di un processo (quello di opposizione a decreto ingiuntivo) proteso all'eliminazione di un provvedimento giudiziale a lui favorevole;
  • snaturerebbe il processo di opposizione a decreto ingiuntivo, inteso come giudizio rimesso, nella genesi e nello sviluppo, alla libera volontà del debitore;
  • predicherebbe una sorta di improcedibilità postuma, tale dovendo considerarsi un'ipotetica declaratoria di improcedibilità della domanda monitoria, sconosciuta al nostro ordinamento;
  • contraddicerebbe lo spirito deflattivo sotteso all'istituto della mediazione civile e commerciale, visto che, una volta revocato il decreto ingiuntivo, l'opponente potrebbe agire nuovamente in giudizio, anche in via monitoria.

Aggiunge, poi, la sentenza in commento che i costi da sostenersi per l'attivazione della mediazione, limitandosi a modeste somme di danaro, non potrebbero costituire un irragionevole ostacolo all'esercizio dell'azione giudiziale, tale da ledere i diritti di cui all'art. 24 Cost..

Osservazioni

Tuttavia, siffatto apparato motivazionale, pur coerente con la sensibilità giuridica predominante, non può considerarsi impermeabile a qualsivoglia rilievo critico (opinioni e conclusioni dissenzienti si ritrovano in: Trib. Ferrara, 7 gennaio 2015; Trib. Firenze, 24 settembre 2014; Trib. Varese, sez. I, 18 maggio 2012; Trib. Lamezia Terme, 19 aprile 2012).

Innanzitutto, l'art. 5, 4° comma, D.Lgs. n. 28/2010, se apprezzato in termini rigorosamente letterali, sembra individuare proprio nell'opposto il soggetto chiamato ad introdurre la mediazione e, in caso di omissione, a sanzionare come improcedibile l'azione monitoria già esercitata.

È bene riportare, allora, il contenuto testuale della suddetta previsione normativa: «i commi 1-bis e 2 [cioè l'obbligo di mediazione ex lege o per delega giudiziale, n.d.r.] non si applicano nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione».

Ciò significa, a contrariis, che il procedimento di ingiunzione, singolarmente considerato e, dunque, a prescindere dalla sua evoluzione nel giudizio di opposizione, è sottoposto alla condizione di procedibilità, ancorché essa si manifesti e divenga efficace soltanto a seguito della pronunzia sull'istanza di concessione o di sospensione della provvisoria esecutorietà.

Non può trascurarsi, inoltre, che la legge non parla né di attore, né di ricorrente, ma utilizza una espressione che, sebbene più sofisticata, alluda chiaramente ai concetti di domanda e di azione, che, a loro volta, sottintendono la categoria del diritto soggettivo.

Di converso, la proposizione dell'opposizione, pur costituendo un'azione processuale, è priva di qualsivoglia autonomia perché non è orientata alla protezione di una posizione giuridica soggettiva, ma rappresenta unicamente la reazione del debitore all'iniziativa giudiziale introdotta dal creditore.

Non s'intende disconoscere, si badi bene, che una simile soluzione interpretativa sottintenda, con tutta verosimiglianza, un approccio in qualche modo formale al dato linguistico che, nella specie, sembra contrastare con il significato che il legislatore ha inteso conferire alla proposizione normativa.

Non meno formalista appare, però, la propensione a risolvere la problematica in discorso sulla base della constatazione che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, si verifica, dal punto di processuale, un'inversione fra la posizione dell'attore e del convenuto; constatazione, questa, da cui si fa discendere la conseguenza che tutti gli oneri processuali graverebbero in capo all'opponente, a prescindere dalla situazione sostanziale.

È evidente, d'altronde, l'insufficienza e l'inadeguatezza della norma a risolvere ogni contrasto ermeneutico; si consideri, al riguardo, che l'art. 5, 4° comma, del D. Lgs. n. 28/2010, ove apprezzato in chiave puramente letterale, esclude che la mediazione possa essere disposta dal Giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo, laddove le parti non abbiano chiesto l'emissione dei provvedimenti ex artt. 648 e 649 c.p.c.

Inevitabile, quindi, il ricorso a valutazioni di ordine logico, sistematico ed equitativo.

A questo proposito, non si può negare come sia difficilmente armonizzabile con il principio di uguaglianza una (ipotetica) legislazione che consenta al consociato, che si ritenga violato nei suoi diritti, di emanciparsi dall'obbligo di mediazione semplicemente formulando le sue domande mediante ricorso per ingiunzione, sottraendosi all'ordinario processo a cognizione piena. Di contro, non è agevole spiegare la ragione per cui l'interesse pubblicistico alla riduzione del contenzioso giudiziale dovrebbe svanire (o, comunque, assumere un'intensità soltanto recessiva) in ragione della mera decisione del creditore di avvalersi del rito sommario.

Anzi, sviluppando il ragionamento dal punto di vista dei valori giuridici, si potrebbe paventare come l'interpretazione maggioritaria tolleri una disparità di trattamento fra il creditore che agisca con rito monitorio e quello che preferisca intraprendere il percorso ordinario, con conseguente violazione dell'art. 3 Cost., stante la difficoltà di individuare motivazioni razionalmente sufficienti a spiegare tale discriminazione.

Parimenti, anche in una logica equitativa (che, comunque, possiede dignità giuridica a livello di analogia iuris ex art. 12 preleggi), sembra una sperequazione l'attribuzione all'ingiunto, che già ha sofferto l'emissione di un provvedimento inaudita altera parte ed al quale, quindi, è stato garantito il diritto al contraddittorio soltanto in maniera differita, di un onere che non trova supporto in un dato normativo dal tenore inequivocabile.

Di contro, non sembrano ricorrere ostacoli, né tantomeno manifestarsi timori di illegittimità costituzionale, nell'assegnazione all'opposto del dovere di attivarsi a fini conciliativi, essendo evidente che lo stesso, pur avendo già conseguito il richiesto petitum immediato (ossia l'emanazione del decreto ingiuntivo), ha interesse alla sua conservazione; e, di converso, non appare abnorme che tra gli oneri attribuiti all'opposto (che, non si dimentichi, ha già fruito di un provvedimento a contraddittorio posticipato) figurino anche gli obblighi di mediazione, pena la revoca del decreto nell'ipotesi in cui essi non siano onorati.

D'altronde, visto che il processo di opposizione a decreto ingiuntivo, secondo un insegnamento ormai granitico (Cass. civ., sez. I, 14 aprile 2011, n. 8539; Cass. civ., Sez. Un., 9 settembre 2010, n. 19246), non configura una vera e propria impugnazione ovvero un giudizio di stretta legittimità, ma tende a sovrapporsi ed a sostituire integralmente il procedimento monitorio, allora il Giudice del processo a cognizione piena è comunque tenuto a pronunciarsi sulla fondatezza della domanda spiegata inaudita altera parte dal creditore/opposto e, conseguentemente, dovrà altresì verificare se tale domanda sia ancora proponibile ovvero sia divenuta improcedibile per il mancato avveramento di una condizione legale (ossia l'esperimento del procedimento di mediazione civile e commerciale).

Al riguardo, non è così chiaro perché la categoria dell'improcedibilità sopravvenuta desti così tante perplessità agli occhi del Giudice felsineo, atteso che ciò avviene ogniqualvolta una domanda giudiziale, originariamente procedibile siccome attinente a materia non sottoposta a mediazione obbligatoria ex lege, diventi improcedibile perché le parti non adempiono al comando giudiziale di procedere alla mediazione delegata.

Seguendo lo stesso percorso argomentativo, potrebbe assumersi che, anche nel caso in cui il procedimento di mediazione venga disposto in appello, sia il titolare del diritto sostanziale, ancorché vincitore in primo grado, a doversi attivare conformemente alle richieste del Giudice e che, in difetto di tempestiva assoluzione di tale onere, la sentenza appellata vada riformata in ragione del sopravvenuto difetto della condizione di procedibilità della domanda, mancando la quale nessun giudizio di merito può essere pronunziato.

La vocazione deflattiva del contenzioso, sottesa alla promulgazione del D.Lgs. n. 28/2010, poi, non può intendersi quale ragione per aggravare la libertà dell'ingiunto di opporsi al decreto ingiuntivo e di coltivare il relativo processo, ma per riconoscere ai cittadini la piena facoltà di risolvere le liti senza ricorrere al presidio giudiziale.

Discutibile, infine, è la decisione di porre il carico delle spese processuali a carico dell'opponente che sia rimasto inerte a fronte dell'ordine di procedere alla mediazione.

Infatti, se il mancato esperimento della mediazione disposta iussu iudicis corrisponde ad una forma qualificata di inattività delle parti (Trib. Firenze, sez. III, 13 ottobre 2016), idonea a provocare, in quanto tale, l'estinzione del giudizio ai sensi dell'art. 309 c.p.c., il Giudice non dovrebbe pronunziarsi sulle spese. Fra l'altro, la decisione assunta dal Tribunale di Bologna induce l'opposto, in contrasto con lo spirito legislativo, a disinteressarsi e, anzi, ad osteggiare il procedimento di mediazione, dissuadendolo dal farsi parte diligente nella sua proposizione, anche laddove le occasioni conciliative fossero tangibili.

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