Regime impugnatorio della decisione emessa all'esito del procedimento per la liquidazione di compensi di avvocato

06 Ottobre 2016

La pronuncia del giudice di pace che abbia definito il giudizio opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dall'avvocato per le sue competenze professionali è soggetta ad appello qualora il predetto giudizio abbia riguardato l'an della pretesa del professionista.
Massima

La pronuncia del giudice di pace che abbia definito il giudizio opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dall'avvocato per le sue competenze professionali, a prescindere dalla forma (sentenza o ordinanza) con la quale sia stata adottata, è soggetta ad appello qualora il predetto giudizio abbia riguardato l'an della pretesa del professionista, con la conseguenza che il ricorso per cassazione proposto avverso tale decisione è inammissibile.

Il caso

Un avvocato propone ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., avverso la sentenza del giudice di pace che ha accolto l'opposizione promossa dalla sua controparte contro il decreto ingiuntivo che il professionista aveva ottenuto per competenze professionali, sul presupposto che tale decisione fosse inappellabile ai sensi dell'art. 14, comma 4, del d.lg. 1 settembre 2011 n. 150.

La Suprema Corte disattende tale premessa e afferma il principio di cui in massima.

La questione

La pronuncia in esame fa il punto sul regime impugnatorio della decisione che definisca un procedimento per la liquidazione dei compensi di avvocato, già disciplinato nelle forme del rito camerale dagli artt. 28-30 l. 794/1942, e ricondotto dal d.lg. 1 settembre 2011 n. 150, in ossequio alla legge delega (l. 18 giugno 2009, n.69), al rito sommario di cognizione, sia pure con alcune significative modifiche al modello di riferimento.

Se la conclusione alla quale giunge la Suprema Corte è condivisibile non può dirsi altrettanto per alcuni passaggi motivazionali che la sorreggono.

Le soluzioni giuridiche

È opportuno innanzitutto segnalare come nel corso del giudizio di primo grado non fosse stata posta la questione, assai controversa in dottrina, della competenza funzionale anche del giudice di pace a trattare le controversie di cui all'art. 14 del d. lg. n. 150/2011 (si tratta di quelle relative ai compensi per prestazioni giudiziali in materia civile e che siano promosse presso l'ufficio giudiziario ove esse sono state rese), tenuto conto che il secondo comma di tale disposizione prevede la composizione collegiale dell'organo giudicante.

La parte maggioritaria della dottrina (Bulgarelli; Balena; Trisorio Liuzzi) infatti è favorevole sulla base della considerazione che la suddetta previsione riguarderebbe il solo giudizio davanti al tribunale. In contrario può però osservarsi che la competenza del giudice di pace potrebbe risultare innovativa rispetto alla previgente disciplina, con il rischio di una violazione della legge delega che ha prescritto il rispetto dei criteri previgenti di competenza (art. 54, comma 2, lett. a), della l. 18 giugno 2009, n.69).

Inoltre he la prima soluzione comporta una deroga alla regola generale, ex art. 702-bis c.p.c., secondo cui la disciplina del procedimento sommario ordinario può trovare applicazione solo nelle cause davanti al Tribunale (sul punto Cass. civ., sez. II, 11 novembre 2011, n. 23691)

Con la pronuncia in esame la Corte dimostra di aderire a quell'orientamento (in dottrina: Bulgarelli; in giurisprudenza: Trib. Verona, 21 ottobre 2014) secondo il quale, qualora l'avvocato opti per la tutela monitoria del proprio credito, l'eventuale giudizio di opposizione deve osservare le forme del procedimento sommario speciale, sempre che tale giudizio verta sul quantum della pretesa del legale. Secondo altra dottrina (in particolare Balena) tale modello andrebbe seguito anche qualora il giudizio dovesse riguardare l'an della credito del professionista.

Se si aderisce al primo dei suddetti indirizzi l'opposizione con cui si contesti solo il quantum della pretesa monitoria andrà proposta con ricorso (così, sia pure come obiter dictum, Cass. civ., sez. un., 23 settembre 2013 n. 2167) e se fosse erroneamente proposta con atto di citazione questo può «produrre gli effetti del ricorso solo se sia depositato in cancelleria entro il termine di cui all'art. 641 c.p.c., non essendo sufficiente che entro tale data sia stata comunque notificata alla controparte» (così Cass. civ., sez. III, 2 aprile 2009, n. 8014 con riguardo ad identica questione del rito locatizio).

Il giudizio con cui si contesti l'an della pretesa del professionista va invece introdotto con atto di citazione.

Da tali premesse la Corte desume, correttamente, che la decisione che abbia statuito sul diritto al compenso del professionista e non solo sula sua entità è impugnabile con l'appello e non col ricorso per cassazione, richiamando sul punto un proprio precedente che era giunto a tale conclusione sulla scorta della premessa di una piena corrispondenza tra i presupposti operativi del procedimento sommario speciale e di quello prima disciplinato dagli artt. 28-30 l. n. 794 del 1942 (Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 2015, n. 19873)

A ben vedere, però, quella pronuncia aveva riguardato un caso in cui il giudizio era stato promosso nelle forme del giudizio sommario ordinario e non in quelle del giudizio sommario speciale ex art. 14 d. lgs. 150/2011 cosicchè il fondamento della appellabilità della ordinanza emessa dal giudice di prime cure avrebbe piuttosto dovuto essere rinvenuto nel disposto dell'art. 702-quater c.p.c. (sulla alternatività tra procedimento sommario ordinario, procedimento sommario speciale, procedimento monitorio e giudizio di cognizione si vedano in giurisprudenza : Trib. Treviso, 13 dicembre 2012 e Trib. Verona, 3 maggio 2013) .

Nella decisione in commento la Corte per l'individuazione del regime impugnatorio del provvedimento (sentenza oppure ordinanza) che abbia deciso la controversia, si ricollega poi ad un altro proprio precedente che ha chiarito, in applicazione dei principii di “apparenza” e “affidamento”, che a tal fine «assume rilevanza la forma adottata dal giudice, ove la stessa sia frutto di una consapevole scelta, che può essere anche implicita e desumibile dalle modalità con le quali si è in concreto svolto il relativo procedimento» (Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2011, n. 390, resa con riguardo ad un giudizio di opposizione decreto ingiuntivo per onorari dovuti dal cliente al proprio difensore per prestazioni giudiziali civili svoltosi in concreto con le modalità proprie del giudizio ordinario, nella vigenza del procedimento ex art. 28 della l. n. 794 del 1942; in senso contrario invece App. Palermo, 17 aprile 2015, n. 577).

Secondo tale ricostruzione quindi non si dovrebbe aver riguardo al contenuto dell'accertamento e della decisione del giudice (se limitato al quantum della pretesa dell'avvocato o se esteso, a seguito della spiegata opposizione, ad un più ampio thema decidendum) ma al rito seguito durante il processo e, prima ancora, all'eventuale qualificazione della decisione adottata dal giudice all'esito dello stesso.

Il richiamo ad essa da parte della pronuncia in commento non pare però pertinente, dal momento che i giudici di legittimità, nel caso di specie, hanno evidenziato come la decisione del giudice di pace avesse non solo forma ma anche natura sostanziale di sentenza proprio perché era stata emessa a definizione di un giudizio che, secondo quanto è dato desumere dall'esposizione del suo iter, aveva investito, fin dal suo inizio, anche il profilo della sussistenza del diritto di credito del professionista.

Rieccheggia in questa parte della motivazione quella giurisprudenza di legittimità che ha affermato che, ove nel procedimento per la liquidazione degli onorari di avvocato siano state trattate e decise questioni diverse o ulteriori, che abbiano posto in discussone l'esistenza stessa del diritto dell'avvocato al compenso, il provvedimento finale, sebbene emesso con la forma dell'ordinanza, assume natura sostanziale di sentenza (Cass. civ., sez. II, 7 febbraio 2007, n. 2623; Cass. civ.,sez. II, 11 maggio 2006 n.10939).

Nemmeno questo ordine di argomentazioni era però funzionale alla decisione, non essendovi stato divario tra forma e sostanza del provvedimento decisorio di primo grado.

A ben vedere a giustificare la conclusione alla quale perviene la Suprema Corte sarebbe stata sufficiente l'osservazione che il giudizio di primo grado, per il suo oggetto, era sottratto alla disciplina di cui all'art. 14 d. lg. n. 150/2011 e soggetto a quella generale.

Guida all'approfondimento

BALENA, Commento all'art. 14, in Codice di procedura civile commentato. La “semplificazione” dei riti e altre riforme processuali, 2010-2011, diretto da Consolo, Milano 2012, 192-198;

BULGARELLI, Il procedimento di liquidazione degli onorari e dei diritti degli avvocati dopo il decreto legislativo sulla semplificazione dei riti, in Giust. civ., 2011, 439 ss.;

BULGARELLI, Recupero crediti dell'avvocato: un bivio e due strade, in www.altalex.com;

CARRATTA, La «semplificazione» dei riti e le nuove modifiche del processo civile, in www.dirittoonlinetreccani.it;

TRISORIO LIUZZI, Il foro del consumatore e il procedimento di liquidazione degli onorari di avvocato, in Corr. giur., 2015, 684-693;

VACCARI, Il procedimento per la liquidazione di compensi di avvocato, in www.ilprocessocivile.it.

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