I rimedi contro l’ordinanza d’esecutività del progetto di divisione ereditaria
09 Marzo 2017
Massima
L'ordinanza con cui il giudice istruttore, ai sensi dell'art. 789 c.p.c., comma 3, dichiara esecutivo il progetto di divisione, pur in presenza di contestazioni, ha natura di sentenza ed è quindi impugnabile con l'appello, perciò è improponibile il ricorso straordinario ai sensi dell'art. 111 Cost., comma 7. Perché possa assumersi la natura decisoria dell'ordinanza dell'art. 789 c.p.c., va verificato che vi sia stata una specifica contestazione e che su di essa il giudice istruttore abbia deliberato, sia pure non con un'espressa pronuncia, ma per implicito, presupponendo l'emanazione dell'ordinanza dichiarativa dell'esecutività del progetto divisorio il rigetto della contestazione. Non ha allora contenuto decisorio l'ordinanza con cui il giudice istruttore dichiari esecutivo il progetto di divisione, qualora non siano sorte contestazioni in ordine alla mancata citazione del contumace per l'udienza di discussione del progetto stesso, alla quale egli non abbia partecipato. Il caso
Con atto di citazione una delle coeredi domandava la collazione dei beni immobili e mobili comuni e dei relativi frutti, l'eventuale riduzione delle donazioni compiute dal de cuius ed, infine, la divisione della massa comune. Uno dei due convenuti rimaneva contumace. L'altra convenuta dopo essersi costituita, decedeva e ciò determinava l'interruzione del giudizio. L'attrice citava in riassunzione gli eredi della defunta e il coerede superstite, che continuava a rimanere contumace. Si procedeva alla predisposizione del progetto di divisione, veniva fissata la data dell'udienza di discussione dello stesso e disposta la notificazione al convenuto contumace del verbale e del progetto divisorio. Preso atto dell'adempimento di tale onere di notifica e dell'assenza di contestazioni, il giudice con ordinanza dichiarava l'esecutività del progetto di divisione. Il convenuto contumace impugnava l'ordinanza emessa ex art. 789 mediante ricorso in cassazione ex art. 111, comma 7 Cost.. La questione
Può essere proposto ricorso straordinario per cassazione avverso l'ordinanza ex art. 789 c.p.c. che dichiara esecutivo il progetto di divisione ereditaria? Le soluzioni giuridiche
Senza entrare nel merito dell'impugnazione, la Corte di cassazione dichiarava inammissibile il ricorso proposto. Spiegava in proposito il giudice di legittimità che l'ordinanza d'esecutività emessa in presenza di contestazioni, deve essere considerata una sentenza in senso sostanziale e che, perciò, contro di essa andava proposto appello non ricorso straordinario in cassazione. Inoltre, si specificava che decisoria non poteva considerarsi l'ordinanza pronunciata in assenza di contestazioni espresse, quali quelle relative alla mancata citazione del contumace per l'udienza di discussione del progetto stesso, svolta senza la sua partecipazione. Nulla veniva detto sull'eventuale mezzo d'impugnazione dell'ordinanza dell'art. 789, terzo comma c.p.c., viziata perché emessa in presenza di una fittizia non contestazione, dovuta, ad esempio, ad una notificazione nulla. La sentenza si pone nel solco di una giurisprudenza ormai consolidata. In passato è stata particolarmente copiosa la giurisprudenza sulla natura e sull'impugnazione dell'ordinanza dell'art. 789, terzo comma c.p.c.. emessa in assenza dei presupposti di legge. La giurisprudenza maggioritaria della Corte era ferma sulla posizione che il provvedimento pronunciato in carenza delle condizioni di legge, ad esempio senza la conoscenza del deposito del progetto di divisione presso la cancelleria, per nullità della notificazione ovvero della comunicazione, si risolvesse in «un anomalo provvedimento giurisdizionale decisorio impugnabile, in mancanza di altri mezzi previsti, per cassazione a sensi dell'art. 111 Costituzione» (Cass., 4 maggio 1982, n. 2737, Giur. it., 1982, I,1,1514 ss.; Cass., 30 luglio 2004, n. 14575). La Cassazione specificava che in questi casi l'ordinanza avrebbe dovuto avere la forma di sentenza perché non sarebbe stato possibile parlare di non contestazione in senso tecnico, fondamento della chiusura del procedimento con un provvedimento non decisorio su diritti. Infatti, si poteva dubitare che l'eventuale contumacia o la mancata contestazione fosse volontaria, piuttosto che dovuta alla intempestiva conoscenza del progetto di divisione, quando non ci fosse stata la comunicazione del suo deposito in cancelleria. Una parte minoritaria della Cassazione era partita dalla considerazione del provvedimento come omologa dell'accordo concluso tra i condividenti, anche implicitamente attraverso la non contestazione, e ne aveva dedotto l'impugnabilità dell'ordinanza difettosa come parte di un negozio giuridico, cioè con l'actio nullitatis o con altri mezzi di tutela, quale l'azione di rescissione (Cass., 17 giugno 1959, n. 1902, Giust. civ., 1959, I, 2181, con nota di Jannuzzi; Id., 2 maggio 1969 n. 1415, in Foro it., I, 1718 ss.; Id., 4 aprile 1997, n. 2913). Altra giurisprudenza aveva attribuito all'ordinanza natura istruttoria e, perciò, aveva concluso che le eventuali irregolarità o nullità potessero essere fatte valere con la “querela nullitatis” (Cass., 4 aprile 1987, n. 3262). Giurisprudenza più recente aveva distinto, ai fini dell'impugnazione, a seconda che l'ordinanza di cui all'art. 789 fosse stata o meno adottata nella ricorrenza di tutti i presupposti di legge (Cass., 25 marzo 2001, n. 7129; Cass., 21 luglio 2003, n. 11328, ivi, 2003; Cass., 22 ottobre 2004). Nel primo caso l'ordinanza avrebbe avuto natura negoziale, perciò non sarebbe stata soggetta alle impugnazioni proprie delle sentenze ma alle comuni azioni negoziali; nel secondo caso l'ordinanza avrebbe avuto sostanza di sentenza, quindi carattere decisorio, ma sarebbe stata sottratta dalla sua forma alle impugnazioni proprie di tali provvedimenti, di conseguenza, per essa sarebbe rimasta solo l'alternativa del ricorso straordinario in cassazione. Dopo l'abrogazione della riserva di collegialità per il giudizio di divisione, la giurisprudenza di cassazione si è progressivamente consolidata nell'applicazione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma davanti ad un'ordinanza adottata dal giudice unico in mancanza dei presupposti di legge. Essendo sempre lo stesso ed unico giudice a presiedere tanto la fase istruttoria che decisoria, non si porrebbe più il problema della carenza di potere dell'istruttore che abbia emesso un'ordinanza piuttosto che procedere secondo gli articoli 187 ss. c.p.c. Di conseguenza, l'ordinanza dell'art. 789 c.p.c. e gli altri provvedimenti, che chiudono le singole fasi del procedimento, se adottati in presenza di contestazioni verrebbero a svolgere una funzione obiettivamente sostitutiva della sentenza e sarebbero impugnabili mediante appello (Cass., s.u., 2 ottobre 2012, n. 16727, in Foro it, 2013, I, 216 ss., nt Lombardi e in Giur. it., 2013, 1625 ss., nt Di Cola). Non equivarrebbe a “non contestazione espressa”, invece, la fittizia acquiescenza dei comunisti che non hanno ricevuto la comunicazione del deposito del progetto di divisione e non sono stati messi in condizioni di eseguire rilievi, con violazione del principio del contraddittorio. La giurisprudenza di cassazione non è mai stata esplicita sul mezzo di impugnazione da adottare in proposito, nei fatti, tuttavia, quando è stato denunciato un vizio di tal genere, si è ammesso avverso il provvedimento ricorso ex art. 111 Cost. (Cass., 27 gennaio 2014, n. 1619). La sentenza in commento, tuttavia, sembra stridere anche con quest'ultima possibilità: viene escluso categoricamente che l'ordinanza di cui all'art. 789, terzo comma emessa in assenza di contestazioni possa essere considerata un provvedimento decisorio, perciò, anche se non detto espressamente, viene implicitamente negato il presupposto del ricorso straordinario in cassazione. Viene lasciato, tuttavia, il dubbio sul mezzo di critica davanti ad un vizio che non renda il provvedimento decisorio. Osservazioni
La sentenza in commento non risolve il problema dell'impugnazione dell'ordinanza ex art. 789 c.p.c. emessa in assenza di contestazioni espresse. Il giudice di legittimità ha negato la decisorietà del provvedimento e perciò la possibilità del ricorso straordinario in cassazione. Andando per l'esclusione, l'unico rimedio possibile rimane la querala nullitatis, se l'ordinanza è frutto di un procedimento viziato, ad esempio perché uno dei condividenti non è stato regolarmente citato. La querela nullitatis è esperibile senza limiti di tempo, dal momento davanti ad un provvedimento non decisorio non si verifica l'assorbimento dei vizi di nullità in motivi di gravame secondo il disposto dell'art. 161 c.p.c., comma 1. Si agisce davanti al giudice di primo grado territorialmente competente sulla base dei criteri generali.
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