Notificazione del decreto di apertura del procedimento di adottabilità ex art. 143 c.p.c.

Sergio Matteini Chiari
08 Maggio 2016

Se l'indirizzo è conosciuto, si può procedere alla notificazione del decreto di apertura del procedimento di adottabilità nei confronti di persona non residente in Italia.
Massima

In tema di dichiarazione dello stato di adottabilità, è consentito procedere alla notificazione del decreto di apertura del procedimento nei confronti di persona non residente, né domiciliata, né dimorante nel territorio nazionale nelle forme previste dall'art. 142 c.p.c. soltanto se ne sia conosciuto l'indirizzo; in caso contrario, quando le ricerche compiute dall'ufficiale giudiziario non hanno dato esito nonostante l'impiego della normale diligenza - da valutare anche alla stregua delle esigenze proprie del procedimento in esame, che impone di evitare ogni ritardo nella trattazione, a tutela dell'interesse dei minori contro l'ulteriore pregiudizio derivante dal protrarsi della situazione di abbandono - è legittimo procedere alla notificazione ai sensi dell'art. 143 c.p.c. .

Il caso

Viene in considerazione un procedimento per la dichiarazione di adottabilità di quattro minori, nati dalla stessa madre ma da padri diversi.

All'esito di tre distinte procedure, il T.M. di Roma dichiarava lo stato di adottabilità dei quattro minori.

Avverso tali provvedimenti proponevano impugnazione la madre (F.) dei minori ed il padre (D.) di due di essi, eccependo preliminarmente la nullità della notifica dei decreti di apertura dei vari procedimenti eseguita ai sensi dell'art. 143 c.p.c. e chiedendone riforma nel merito.

La Sezione minorenni della Corte di appello, riuniti i gravami, li respingeva per tutti gli aspetti.

In particolare, con riguardo all'eccezione preliminare, la Corte dichiarava rituale la notificazione del decreto di apertura del procedimento, eseguita ai sensi dell'art. 143 c.p.c., sul rilievo che gli accertamenti volti a rintracciare i genitori dei minori erano risultati vani, giacché la madre dell'appellante D. non aveva fornito alcuna notizia certa, le verifiche effettuate a mezzo della Polizia Giudiziaria, dell'ufficiale giudiziario, della banca dati Sidet e dell'Interpol non avevano avuto alcun esito, e lo stesso procuratore costituitosi per il suddetto appellante, il quale aveva fornito indirizzi risultanti da lettere ricevute dal cliente, aveva dichiarato di non essere riuscito a mettersi in contatto con lui.

La Corte escludeva che fosse consentito procedere alla notifica ai sensi dell'art. 142 c.p.c., non essendo nota la residenza all'estero dei destinatari.

Entrambi i soccombenti proponevano ricorso per cassazione volto ad ottenere integrale riforma della sentenza gravata:

i) in via preliminare ribadivano l'eccezione di nullità della notificazione del decreto di apertura del procedimento, a tal uopo asserendo di essere conviventi da molti anni in Francia e di non essere potuti comparire in giudizio per far valere le proprie ragioni a causa dello stato di detenzione in cui versavano e dolendosi perché, nonostante le informazioni rese al riguardo dalla madre del ricorrente D., il T.M. non aveva neppure tentato una ricerca presso il luogo di detenzione, essendosi astenuto dal seguire le indicazioni fornite dalla Direzione Centrale della Polizia Criminale di Roma o dall'effettuare una ricerca presso gli istituti di detenzione francesi, nonché di procedere alla notifica ai sensi dell'art. 142 c.p.c.;

ii) deducevano, inoltre, l'insussistenza delle condizioni per la dichiarazione dello stato di adottabilità dei minori.

La questione

La questione giuridica sottoposta alla Corte Suprema di Cassazione e che interessa in questa sede è stata quella di stabilire la legittimità della notificazione del decreto di apertura del procedimento per la dichiarazione di adottabilità eseguita nelle forme dell'art. 143 c.p.c. anziché in quelle di cui all' art. 142 dello stesso codice.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha dato soluzione al caso affermando la ritualità della notifica del decreto di apertura del procedimento eseguita ai sensi dell'art. 143 c.p.c.

La Corte ha preliminarmente ribadito il principio secondo cui la notificazione a persona non residente, né dimorante né domiciliata nel territorio dello Stato può essere eseguita ai sensi dell'art. 142 c.p.c. soltanto nel caso in cui sia conosciuto l'indirizzo del destinatario e, a seguire, ha affermato che di nessuna censura poteva ritenersi meritevole la sentenza impugnata nella parte in cui, dato atto dell'incertezza sussistente in ordine all'indirizzo della F. e del D. e dell'inutilità delle ricerche effettuate dall'ufficiale giudiziario e dagli organi di polizia per individuarlo, aveva dichiarato la ritualità della notifica nelle forme previste dall'art. 143 c.p.c.

In particolare, ad avviso della Corte, doveva ritenersi irrilevante la generica conoscenza dello stato di detenzione in cui versavano i ricorrenti, emergente dalle dichiarazioni rese in primo grado dalla madre del D., avendo costei fornito indicazioni assai vaghe e imprecise in ordine al luogo in cui essi erano detenuti, e non avendo avuto alcun esito neppure l'interrogazione delle banche dati gestite dagli organi di polizia interni ed internazionali.

Per dare supporto all'assunto di ritualità della notifica nelle forme prescelte, la Corte ha, quindi, precisato che «la diligenza impiegata nelle ricerche volte ad individuare l'indirizzo dei ricorrenti dev'essere valutata non solo in relazione ai consueti parametri di normalità e buona fede, i quali escludevano il dovere di compiere qualsiasi indagine che potesse rivelarsi astrattamente idonea all'acquisizione delle notizie necessarie per l'esecuzione della notifica, ma anche alla stregua delle esigenze di celerità proprie del procedimento in esame, che imponevano di evitare ogni ritardo nella trattazione, a tutela dell'interesse dei minori contro l'ulteriore pregiudizio derivante dal protrarsi della situazione di abbandono».

Osservazioni

i) Le condizioni legittimanti la validità della notificazione a persona non residente, né dimorante, né domiciliata in Italia nelle forme dell'art. 142, comma 1 c.p.c. sono costituite da un lato, dall'impossibilità di eseguirla alla stregua delle convenzioni internazionali applicabili alla controversia ovvero con le modalità previste dal d.lgs. n. 71 del 3 febbraio 2011 (che ha abrogato il d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200, la cui indicazione deve ritenersi espunta dalla norma) sull'ordinamento e le funzioni degli uffici consolari e, da un altro lato, dal fatto che il notificando non abbia residenza, dimora o domicilio nello Stato o non abbia ivi eletto domicilio o costituito un procuratore ai sensi dell'art. 77 c.p.c. e che l'indirizzo estero sia conosciuto dal notificante (v. Cass. civ., sez. I, 28 marzo 1991, n. 3358; Cass. civ., sez. III, 5 gennaio 1981, n. 19).

Laddove la residenza, la dimora e il domicilio del destinatario dell'atto siano ignoti e la parte che chiede la notificazione non ne possa venire a conoscenza usando la normale diligenza, la notificazione dovrà essere eseguita con le modalità di cui all'art. 143 c.p.c.

I presupposti legittimanti la notificazione secondo tali modalità sono costituiti, da un lato, dal dato soggettivo dell'ignoranza (incolpevole) del richiedente circa la residenza, la dimora o il domicilio del destinatario dell'atto, e, dall'altro, dal fatto che la condizione di ignoranza non sia superabile (oggettiva impossibilità) attraverso le indagini possibili nel caso concreto, da compiersi ad opera del notificante con l'ordinaria diligenza (v., ex multis, Cass. civ., sez. L, 28 maggio 2013, n. 13218 e Cass. civ., sez. I, 27 novembre 2012, n. 20971).

L'ordinaria diligenza cui il notificante è tenuto a conformare la propria condotta, per vincere l'ignoranza in cui versi circa i suddetti luoghi deve essere valutata in base a parametri di normalità e buona fede secondo la regola generale dell'art. 1147 c.c., esigendosi, dunque, che le ricerche siano svolte in quelle direzioni in cui sia ragionevole ritenere che siano reperibili le informazioni occorrenti e non esigendosi, invece, accertamenti che eccedano dalla normalità: «non può tradursi nel dovere di compiere ogni indagine che possa in astratto dimostrarsi idonea all'acquisizione delle notizie necessarie per eseguire la notifica a norma dell'art. 139 c.p.c., anche sopportando spese non lievi ed attese di non breve durata» (Cass. civ., sez. VI, 4 giugno 2014, n. 12526 e, nello stesso senso, Cass. civ., sez. I, 27 novembre 2012, n. 20971; Cass. civ., sez. III, 19 marzo 2007, n. 6462 Cass. civ., sez. un., 19 gennaio 2000, n. 540).

ii) La fattispecie venuta all'esame della Suprema Corte è esattamente rispondente alla situazione sopra descritta: la residenza, la dimora o il domicilio dei ricorrenti erano ignorati incolpevolmente dal notificante e tali luoghi non erano oggettivamente individuabili, malgrado le ricerche esperite su più versanti, ivi incluse le banche dati gestite dagli organi di polizia interni ed internazionali.

iii) Nell'affermare la sussistenza delle condizioni legittimanti la notifica ai sensi dell'art. 143 c.p.c., la Suprema Corte ha anche rilevato che la diligenza impiegata nel compimento delle ricerche dovesse essere valutata non soltanto sulla base dei consueti parametri di normalità e buona fede, ma anche «alla stregua delle esigenze di celerità proprie del procedimento in questione, che imponevano di evitare ogni ritardo nella trattazione, a tutela dell'interesse dei minori contro l'ulteriore pregiudizio derivante dal protrarsi della situazione di abbandono».

La precisazione fatta dalla Corte, riportata tra virgole, non appare casuale, ma intesa ad ampliare o meglio precisare la nozione di diligenza nel peculiare contesto, con un'interpretazione orientata ad attuare il principio, ormai diffusamente conclamato ma sovente obliato, secondo cui «in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del minore deve essere considerato preminente» (art. 24 della Carta dei diritti fondamenti dell'UE, ove è trasfusa la Carta di Nizza del 7/12/2000 e cui è stato conferito dal Trattato costituzionale europeo di Lisbona, con apposita previsione, carattere giuridicamente vincolante all'interno dell'U.E.; si veda anche, negli stessi termini e con maggiore diffusione spaziale, l'Art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20/11/1989 e ratificata in Italia con legge n. 176 del 1991)

Vista sotto tale luce, la suddetta precisazione non può essere semplicemente condivisa, ma va posta sul più alto gradino del podio.

Non è, tuttavia, neppure dubitabile – ciò, beninteso, non ha rilievo in riferimento al caso di nostro interesse, ove non è riscontrabile alcuna deviazione dalla regola – che debbano restare ognora rispettati i principi costituzionali del giusto processo.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.