Il procedimento per la liquidazione di compensi di avvocato
08 Giugno 2016
Massima
La speciale procedura di liquidazione dei compensi per le prestazioni giudiziali degli avvocati in materia civile, regolata, dagli artt. 28 e ss. l. n.794/1942, non è applicabile quando la controversia riguardi non soltanto la semplice determinazione della misura del compenso spettante a professionista, bensì anche altri oggetti di accertamento e decisione, quali i presupposti stessi del diritto al compenso, i limiti del mandato, l'effettiva esecuzione delle prestazioni e la sussistenza di cause estintive o limitative della pretesa azionata. Il legislatore del d.lgs. 150/2011, sul presupposto della prevalenza di caratteri di semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa, ha individuato diciassette tipi di controversie “obbligatoriamente” regolate dal rito sommario di cognizione, tra le quali quelle in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato. Le controversie previste dall'art. 28 l. 13 giugno 1942, n. 794, come modificato dall'art. 34 d. lgs. n. 150/2011, ed a seguito dell'abrogazione degli artt. 29 e 30 l. n. 794/1942, per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente da parte dell'avvocato devono essere trattate con la procedura prevista dall'art. 14 d. lgs. 01 settembre 2011, n. 150 anche in ipotesi che la controversia riguardi l'an della pretesa, senza possibilità per il giudice adito di trasformare il rito sommario in rito ordinario o di dichiarare l'inammissibilità della domanda. Il caso
Un avvocato propone davanti al tribunale un procedimento ex art. 28 l.794/1942 e art.14 d.lgs. 150/2011, finalizzato ad ottenere la condanna di alcuni suoi clienti al pagamento del compenso maturato a fronte di prestazioni professionali rese in favore degli stessi. Il Tribunale collegiale dichiara inammissibile il ricorso sulla base del rilievo che la controversia non aveva riguardato solo la liquidazione dei compensi professionali dal momento che i resistenti avevano sollevato contestazioni sulla esistenza del rapporto obbligatorio e l'entità della somma dovuta in relazione alla prestazioni rese. L'avvocato propone ricorso per Cassazione avverso tale decisione lamentando, tra l'altro, la sua erroneità perché non era stata disposta, in vece della declaratoria di inammissibilità del ricorso, la prosecuzione del giudizio nelle forme del rito ordinario. La Cassazione accoglie questo motivo di ricorso affermando, in dissonanza con quanto sostenuto dal ricorrente, che, allorquando la controversia si estenda all'an della pretesa, il giudizio deve proseguire nelle forme del rito sommario. La questione
Con la pronuncia in esame la Cassazione esamina, per la prima in volta in maniera diffusa, presupposti di applicazione e caratteristiche del procedimento per la liquidazione dei compensi di avvocato, già disciplinato nelle forme del rito camerale dagli artt. 28-30 l. 794/1942, che il d.lgs. n.150/2011, in attuazione dell'art. 54, comma 2, lett. b, n. 2, della legge delega (l. 18 giugno 2009, n.69), ha ricondotto al rito sommario di cognizione, sia pure apportando alcune significative modifiche al modello di riferimento (si noti che l'art. 28 l.794/1942 non è stato abrogato ma modificato introducendo il rinvio all'art. 14 del decreto semplificazione). In particolare la Corte si sofferma su due profili di questo particolare giudizio che sono piuttosto controversi, quello della sua obbligatorietà o facoltatività e quello della sua evoluzione quando il thema decidendum si allarghi all'an della pretesa del professionista, giungendo sul punto a conclusioni assai poco convincenti.
Le soluzioni giuridiche
Il primo dei principii affermati nella sentenza in commento è conforme al costante orientamento della Suprema Corte, affermatosi nella vigenza della precedente disciplina, secondo il quale il procedimento per la liquidazione degli onorari (ora compensi) di avvocato era (ed è tuttora) limitato alla determinazione del quantum dovuto al professionista, senza potersi estendere all'an della pretesa (sul punto si vedano, tra le più recenti: Cass. civ, sez. II, 23 gennaio 2012, n. 876; Cass. civ., sez. II, 15 marzo 2010, n. 6225; Cass. civ, sez. II, 29 marzo 2005, n. 6578). Tale ricostruzione è condivisa, con riferimento ai presupposti di applicazione del rito sommario speciale, anche dalla dottrina prevalente (Scotti; Trisorio Liuzzi; Tiscini) e da altre pronunce, sia di legittimità (Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 2015, n. 19873) che di merito (Trib. Verona, 21 ottobre 2014). Lascia perplessi invece l'affermazione della Cassazione secondo cui il procedimento ex art. 14 d. lgs. 150/2011 ha carattere obbligatorio o inderogabile, con la conseguenza che l'avvocato, per far valere il proprio credito, potrebbe servirsi solo di esso, in alternativa al procedimento monitorio. Infatti già nella vigenza degli artt. 28-30 l. n. 794/1942, e prima della entrata in vigore della l. 18 giugno 2009, n. 69, che ha introdotto nel nostro ordinamento, il procedimento sommario di cognizione, tra i commentatori (Bulgarelli; Scotti) era prevalente l'opinione secondo cui l'avvocato che intendesse recuperare giudizialmente il proprio credito per prestazioni giudiziali avesse a disposizione tre diversi tipi di tutela: il procedimento previsto dalle norme suddette, il procedimento monitorio, e il giudizio ordinario di cognizione. Non poteva costituire un ostacolo a quella conclusione la circostanza che l'art. 28 l. n. 794/1942 nella sua formulazione originaria stabiliva che l'avvocato, se non intendeva proporre ricorso ex artt. 633 e ss. c.p.c. «doveva» proporre ricorso al capo dell'ufficio giudiziario (quel dato letterale è invece indicato da Balena quale elemento a sostegno dell'affermazione del carattere obbligatorio già di quel procedimento). Infatti quel verbo doveva essere inteso come precisazione dell'obbligatorietà del procedimento camerale solo se l'avvocato avesse voluto agire presso l'ufficio giudiziario ove aveva svolto l'attività per cui richiedeva il compenso. Dopo l'entrata in vigore della legge 69/2009 poi si è nemmeno dubitato che ai predetti istituti si fosse aggiunto il procedimento sommario di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c. Ora, non pare che quel quadro sia stato minimamente mutato dal decreto semplificazione riti. Infatti il dato letterale dell'art. 28 l. n. 794/1942 (si noti come il testo originario sia stato modificato sostituendo al all'espressione riferita all'avvocato «deve proporre» l'indicativo presente «procede») e quello dell'art. 14 d.lgs. non consentono di ritenere che il legislatore abbia voluto incidere sul complesso degli strumenti di tutela preesistenti, nel senso di sopprimere la possibilità di ricorrere al procedimento ex art. 702-bis c.p.c. e di configurare il rito speciale di cui all'art. 14 d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150 come unica alternativa al giudizio ordinario, a parte la tutela monitoria. Viceversa, l'intenzione del legislatore sembra essere stata esclusivamente quella di disciplinare ex novo il procedimento speciale di cui agli artt. 28 e ss. l. 13 giugno 1942, n. 794, sostituendo alle forme procedimentali descritte negli artt. 29 e 30 della stessa legge, contestualmente abrogati, quelle dettate dall'art. 14 d.lgs. 1 settembre 2011, n.150. A ulteriore conforto di quanto si va dicendo deve anche osservarsi che la lettura proposta dalla decisione in esame non pare nemmeno compatibile con gli artt. 3 e 24 Cost. poiché limita, senza giustificazione, il diritto di azione dell'avvocato rispetto a quello degli altri creditori, costringendolo ad optare per solo due istituti. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte deve ritenersi che tuttora l'avvocato che agisca nei confronti del cliente per ottenere il pagamento dei propri compensi professionali avrà a disposizione, quali strumenti alternativi, oltre che al ricorso monitorio, il giudizio di cognizione ordinario e il procedimento il ricorso di cui all'art. 702-bis c.p.c. e, ove si tratti di compensi per prestazioni giudiziali in materia civile e si intenda agire presso l'ufficio giudiziario ove esse sono state rese, quello ex artt. 14 d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150 e art. 28 l. 13 giugno 1942, n. 794 (per una simile conclusione si vedano: Trib. Treviso, 13 dicembre 2012 e Trib. Verona, 3 maggio 2013). Ma la decisione della Suprema Corte non persuade nemmeno nella parte in cui afferma che, nel caso in cui il thema decidendum del giudizio venga ampliato all'an della pretesa, lo stesso deve proseguire nelle forme del rito sommario speciale. La tesi infatti, oltre ad essere del tutto minoritaria (è stata sostenuta dal Tribunale di Torino e successivamente abbandonata), si espone ad obiezioni difficilmente superabili. Innanzitutto tale conclusione risulta in palese contrasto con la premessa da cui muove il giudice di legittimità circa l'ambito di applicazione del procedimento sommario speciale perché implica che tale tipo di giudizio possa continuare ad essere utilizzato anche quando esso verta sul diritto al compenso del professionista. In secondo luogo la Cassazione non trae le dovute conseguenze dalle indicazioni che la Corte costituzionale ha dato sul punto (C. cost. 26 marzo 2014, n. 65) e che pure vengono puntualmente riportate nella pronuncia in esame. In quella occasione infatti il Giudice delle leggi, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 d.lgs. n. 150/2011 nella parte in cui stabilisce la competenza del tribunale collegiale a decidere, ha chiarito con riguardo ad una delle particolarità del giudizio sommario speciale che la sua non convertibilità ex art. 3, comma 1, d. lgs. n. 150/2011) «discende … dalla espressa prescrizione impartita dalla legge delega (art. 54, comma 4, lettera b, numero 2, della legge n. 69 del 2009) e corrisponde altresì alla inammissibilità – ripetutamente affermata anche prima della riforma del 2009 – del procedimento speciale previsto dalla l. n. 794 del 1942 nel caso in cui il thema decidendum si estenda a questioni che esulano dalla mera determinazione del compenso». Da tale passo si evince come la Corte abbia aderito a quell'indirizzo interpretativo, richiamato anche nella sentenza in commento (Trib. Verona, 3 maggio 2013; Trib. Mantova 16 dicembre 2014; Trib. Lucca, 3 luglio 2015), secondo il quale nel giudizio sommario speciale non è possibile controvertere della sussistenza del diritto dell'avvocato al compenso e, qualora ciò accada, il procedimento deve chiudersi con una declaratoria di inammissibilità, ferma restando la possibilità per il professionista di far valere il suo diritto con un altro mezzo processuale. Questo orientamento peraltro si pone in continuità con l'orientamento della Cassazione che, con riguardo all'erronea scelta del procedimento ex artt. 28 ss. l. n. 794/1942, in presenza di contestazione sull'an debeatur, non consentiva un provvedimento di mutamento del rito imponendo la declaratoria di inammissibilità della domanda (Cass. civ., sez. II, 5 agosto 2011, n. 17053; Cass. civ., sez. II, 9 settembre 2008, n. 23344). Del resto nella relazione ministeriale al d. lgs. n. 150/2011 c'è un passaggio nel quale il legislatore delegato rivela chiaramente la sua intenzione di mantenere inalterate nel nuovo modello le caratteristiche che aveva assunto il procedimento camerale. Si legge infatti in tale documento che: «Al riguardo, non è stato ritenuto necessario specificare che l'oggetto delle controversie in esame è limitato alla determinazione degli onorari forensi, senza che possa essere esteso, in queste forme, anche ai presupposti del diritto al compenso, o ai limiti del mandato, o alla sussistenza di cause estintive o limitative (passaggio questo che rileva ai fini della valutazione delle questioni qui esposte). Tale conclusione, ormai costantemente ribadita dalla giurisprudenza di legittimità, non viene in alcun modo incisa dalla presente disciplina, in assenza di modifiche espresse alla norma che individua i presupposti dell'azione, contenuta nella l. 13 giugno 1942 n. 794». Sul punto deve anche osservarsi che all'adozione di una pronuncia di inammissibilità nel caso di cui si discute, non osta, come ha invece ritenuto la Corte di cassazione, la circostanza che al procedimento sommario speciale sia inapplicabile il disposto dell'art. 702-ter, comma 2, c.p.c., giacchè tale previsione si ricollega a quella (art. 702-bis, comma 1, c.p.c.) che limita al giudizio davanti al tribunale monocratico l'applicazione del rito sommario e la deroga ad essa nel procedimento sommario speciale è diretta conseguenza della scelta legislativa di estendere tale rito al collegio. A ben vedere poi la decisione qui massimata non pare aver considerato le conseguenze dell'opzione prescelta. La soluzione di far proseguire il procedimento nelle forme del rito sommario speciale, nonostante l'ampliamento del thema decidendum, risulta infatti poco compatibile con i principii costituzionali, ed in particolare con il parametro dell'art. 24 Cost., poiché consente che la parte priva di competenza giuridica continui a difendersi personalmente e sottrae alla parte soccombente un grado di giudizio, dovendo trovare applicazione il disposto dell'art. 14, comma 4. Si noti che la riserva di collegialità è stata individuata dalla Corte costituzionale nella sopra citata sentenza quale misura per bilanciare la riduzione dei rimedi e delle garanzie conseguenti a tali peculiarità del procedimento ma sempre sul presupposto che esso abbia ad oggetto solo l'entità della somma richiesta dall'avvocato.
Balena, Commento all'art. 14, in Codice di procedura civile commentato. La “semplificazione” dei riti e altre riforme processuali, 2010-2011, diretto da Consolo, Milano 2012, 192-198; Bulgarelli, Il procedimento di liquidazione degli onorari e dei diritti degli avvocati dopo il decreto legislativo sulla semplificazione dei riti, in Giust. civ., 2011, 439 ss.; Bulgarelli, Recupero crediti dell'avvocato: un bivio e due strade, in www.altalex.com; Carratta La «semplificazione» dei riti e le nuove modifiche del processo civile, in www.dirittoonlinetreccani.it; Trisorio Liuzzi, Il foro del consumatore e il procedimento di liquidazione degli onorari di avvocato, in Corr. giur., 2015, 684-693; Tiscini, Art. 14, in Sassani-Tiscini (a cura di), La semplificazione dei riti civili, Roma, 2011, 129. |