Poteri officiosi del giudice del monitorio a protezione del consumatore: sul carattere “relativo” della nullità nel procedimento di ingiunzione
08 Giugno 2016
Massima
La direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, dev'essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che non consente al giudice investito dell'esecuzione di un'ingiunzione di pagamento di valutare d'ufficio il carattere abusivo di una clausola inserita in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, ove l'autorità investita della domanda d'ingiunzione di pagamento non sia competente a procedere a una simile valutazione. Il caso
Un cittadino spagnolo stipula un contratto di prestito con una società per finanziare l'acquisto di un autoveicolo sottoscrivendo, tra l'altro, le clausole predicative di penali e interessi di mora incrementati per l'ipotesi di ritardato pagamento delle rate mensili fissate per la restituzione del finanziamento stesso. A fronte dell'omesso pagamento delle rate, la società ottiene contro il consumatore un decreto ingiuntivo che viene portato ad esecuzione secondo le norme del diritto spagnolo. Nel corso del procedimento esecutivo, il giudice adito solleva questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell'UE richiedendo alla Corte adita se la direttiva 93/13/CEE debba essere interpretata nel senso che osti a una normativa nazionale, come quella spagnola, che non consente al giudice investito dell'esecuzione di un'ingiunzione di pagamento di valutare d'ufficio il carattere abusivo di una clausola inserita in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, ove l'autorità investita della domanda d'ingiunzione di pagamento non sia competente a procedere a una simile valutazione.
La questione
La questione giuridica controversa è se il giudice nazionale, investito dell'esecuzione di un'ingiunzione di pagamento, possa valutare d'ufficio il carattere abusivo di una clausola inserita in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, ove l'autorità investita della domanda d'ingiunzione di pagamento non sia competente a procedere a una simile valutazione. Le soluzioni giuridiche
La direttiva europea n. 93/13/CEE (del Consiglio) concerne, come noto, le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, prevedendo finanche un elenco di patti che si presumono vessatori rispetto al consumatore (v. allegato alla direttiva, lett. a – q). In linea di principio, una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale si considera abusiva se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto. Si considera che una clausola non sia stata oggetto di negoziato individuale quando è stata redatta preventivamente in particolare nell'ambito di un contratto di adesione e il consumatore non ha di conseguenza potuto esercitare alcuna influenza sul suo contenuto. L'art. 6 della direttiva 93/13 onera gli Stati membri di prevedere che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolino il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive. In virtù della cennata legislazione europea, incombono sugli Stati Membri obblighi positivi al fine di armonizzare le legislazioni nazionali e ispirarle al principio per cui il giudice ha il potere-dovere di “proteggere” il consumatore finanche rilevando d'ufficio la natura abusiva di una clausola. In particolare, per quanto qui interessa, la Corte Europea, nella sentenza Banco Español de Crédito (C 618/10, EU:C:2012:349) ha affermato che il giudice investito di una domanda d'ingiunzione di pagamento deve poter godere della facoltà di esaminare d'ufficio, qualora disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, la natura abusiva di una clausola inserita in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, in assenza di opposizione proposta da quest'ultimo (sentenza Banco Español de Crédito, C 618/10, EU:C:2012:349, punto 1 del dispositivo). Ne consegue che, ove tale potere non sia previsto in seno alla procedura monitoria, la direttiva 93/13/CEE impone che, almeno, analogo potere spetti al giudice investito dell'esecuzione della ingiunzione di pagamento (Corte Giust. UE, 18 febbraio 2016, Finanmadrid EFC c. Zambrano). Secondo il giudice europeo, infatti, l'effettività della tutela voluta dalla direttiva 93/13 può essere garantita solo a condizione che il sistema processuale nazionale consenta, nell'ambito del procedimento d'ingiunzione di pagamento o di quello di esecuzione dell'ingiunzione di pagamento, un controllo d'ufficio della potenziale natura abusiva delle clausole inserite nel contratto di cui trattasi. Osservazioni
Nel diritto interno italiano, non si pongono problemi analoghi a quello spagnolo. Nella trama delle disposizioni spagnole, infatti, il procedimento d'ingiunzione di pagamento è disciplinato dal codice di procedura civile (Ley de Enjuiciamiento Civil) ove è previsto che sia il “Secretario judicial” a ingiungere il pagamento richiesto dal creditore con la facoltà di verificare che l'importo oggetto di istanza sia corretto (potendo altrimenti adire la giurisdizione togata). Risulta, cioè, che il «Secretario judicial» è tenuto ad adire il giudice unicamente qualora dai documenti allegati alla domanda si evinca che l'importo richiesto non è corretto. Nel diritto interno, come noto, lo spettro cognitivo del giudice del monitorio è maggiore. In primo luogo, la cognizione è affidata ad un organo della giurisdizione. In secondo luogo, la normativa (artt. 633 c.p.c. e ss) è ormai da tempo sottoposta a una interpretazione costituzionalmente orientata (v. C. Cost., sent., 3 novembre 2005, n. 410) che consente al giudice di impiegare (già nel monitorio) le attività officiose che gli vengono riconosciute dalla legge: ad es., rilevando ex officio la natura abusiva delle clausole vessatorie stipulate ai danni dei consumatori (ex multis, sia consentito citare: Trib. Milano, 28 maggio 2015). Si tratta di un atteggiamento della giurisprudenza nazionale “recettivo” di quel principio che gode di ampio credito nella giurisprudenza comunitaria, ossia la rilevabilità d'ufficio della nullità relativa. E, infatti, secondo la Corte di Lussemburgo, la diseguaglianza tra consumatore e professionista può essere riequilibrata solo grazie a un intervento positivo di soggetti estranei al rapporto contrattuale e ciò avviene principalmente per il tramite dell'esercizio del potere del giudice di rilevare d'ufficio la nullità delle clausole abusive (cfr. C. Giustizia UE, 26 ottobre 2006 n. 168 in Foro It., 2007, I, 374). In Dottrina, tuttavia, si è dubitato della conciliabilità della rilevabilità d'ufficio della nullità con il carattere relativo della medesima, sul presupposto che l'intervento officioso del giudice di fatto vanificherebbe, smentendola, la riserva di legittimazione in favore del contraente debole. Coglie però nel segno, l'obiezione autorevolmente sollevata da altra Dottrina, a questo argomento: il rilievo d'ufficio della nullità relativa non è espressione di un potere incondizionato del giudice, ma al contrario può esplicarsi (fermi ovviamente i limiti derivanti dalle regole dettate dal codice di procedura civile) solo quanto la declaratoria ex officio non risulti pregiudizievole per il contraente che il Legislatore ha inteso tutelare. Contrastanti opinioni si registrano, però, con riguardo ai limiti al potere officioso del giudice determinati dal comportamento del consumatore: si afferma, in Dottrina, che il giudice non può rilevare la nullità quando il contraente protetto abbia tenuto un comportamento processuale che esprime la volontà di invocazione o comunque di accettazione degli effetti del contratto nullo o della singola clausola nulla. Tuttavia, la giurisprudenza della Corte di Giustizia sembra orientata in senso più “protettivo” ritenendo che il giudice possa comunque operare ex officio allorché il comportamento (omissivo) del consumatore sia giustificabile, ad esempio, per il fatto di avere ignorato o non bene inteso la portata dei suoi diritti (v., in tal senso, sentenza Banco Español de Crédito, C 618/10, EU:C:2012:349, punto 54). In altri termini, le direttive interpretative della giurisprudenza UE imporrebbero l'adesione a un modello processuale in cui il giudice, in assenza di eccezione del consumatore, comunque evidenzia (ad es. ex art. 101 c.p.c.) l'eventuale questione relativa al carattere abusivo di una clausola così ponendo il consumatore dinanzi alla possibilità di effettuare una scelte «espressa», piuttosto che desumere la sua volontà (tacita o presunta) da comportamenti processuali. Certo, tutto ciò, nel procedimento di ingiunzione, non ha margini di applicazione poiché non c'è contraddittorio. In questo modello procedimentale, pertanto, il giudice può sempre agire a protezione del consumatore sulla base della presenza o assenza di pregiudizio che deriverebbe al consumatore medesimo in ragione del rilievo officioso (coltivato od omesso) del giudice. Quanto a dire, così, però, che l'aggettivazione «relativa» della nullità viene qui meno: la preminenza del diritto UE ne rappresenta, però, una adeguata giustificazione. Le regole «interne» di rilevabilità d'ufficio e legittimazione relativa a far valere la nullità debbono, infatti, essere lette in senso teleologico e condurre a ritenere infondata l'obiezione della loro incompatibilità nel caso in cui, a tutela del consumatore, sia necessario rilevare d'ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale. D'altro canto, è lo stesso Codice del Consumo ad ammettere il rilievo officioso di nullità elettivamente riservate alla potestà caducatoria del consumatore (v. art. 36, d. lgs. n. 206 del 2005).
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