Ricorso per cassazione per vizio di motivazione avverso la determinazione equitativa della prestazione fatta dal terzo

08 Giugno 2016

In tema di arbitraggio, l'accertamento dell'equità della determinazione della prestazione dedotta in contratto ad opera del terzo, cui è stata rimessa dalle parti contraenti, è deferito al prudente apprezzamento del giudice di merito, che rimane sindacabile in sede di legittimità.
Massima

In tema di arbitraggio, l'accertamento dell'equità della determinazione della prestazione dedotta in contratto ad opera del terzo, cui è stata rimessa dalle parti contraenti, è deferito al prudente apprezzamento del giudice di merito, che rimane sindacabile in sede di legittimità, a seguito della riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall'art. 54 del d.l. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 134 del 2012, nella sua riduzione al minimo costituzionale del sindacato della Cassazione sulla motivazione, ossia solo per la mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, per la motivazione apparente, per il contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e per la motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.

Il caso

La società Alfa impugnava innanzi al Tribunale la determinazione ex art. 2473, comma 3, c.c., con cui il giurato esperto nominato dal Tribunale aveva equitativamente determinato il rimborso dovuto a favore di un socio recedente dalla suddetta società (arbitraggio). All'esito del giudizio il Tribunale adito accoglieva parzialmente l'impugnazione dell'arbitraggio effettuato dal terzo, riducendo la somma dovuta a favore del socio recedente Tizio. La società Alfa proponeva appello avverso la sentenza di primo grado, che accoglieva anch'essa parzialmente l'impugnazione, riducendo ulteriormente il quantum da liquidare a vantaggio del socio recedente. Avverso tale sentenza il socio Tizio proponeva ricorso per cassazione, lamentando l'erroneità dell'ulteriore riduzione della determinazione del valore di stima della propria quota decisa dalla Corte d'Appello.

La questione

La questione in esame è la seguente: entro quali limiti la Corte di cassazione può sindacare la determinazione ad opera del terzo (arbitraggio) di un elemento del regolamento contrattuale? Che incidenza ha avuto su tale controllo la l. n. 134 del 2012?

Le soluzioni giuridiche

La giurisprudenza di legittimità si occupa per la prima volta nella pronuncia in esame dei limiti del sindacato della Corte di Cassazione rispetto alla determinazione equitativa effettuata dall'arbitratore ai sensi dell'art. 1349 c.c.; ed in particolare, tiene conto dell'impatto della novella legislativa della l. n. 134/2012, che ha sensibilmente modificato, riducendone lo spazio applicativo, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione.

La giurisprudenza ha da sempre evidenziato la differenza significativa che intercorre tra arbitraggio ed arbitrato (rituale o irrituale che sia, ex multis Cass. Civ., sez. I, 11 Febbraio 1976, n. 446), evidenziando come mentre l'arbitrato definisce e risolve in modo non giurisdizionale un conflitto di interessi, l'arbitrato invece non ha contenuto decisorio su questioni controverse.

Da tale ricostruzione deriva la diversità di rimedi e di ampiezza del controllo della Suprema Corte in punto di determinazioni del terzo, che assume la qualifica di arbitro o di arbitratore.

L'ordinanza in commento si inserisce perfettamente in questo trend giurisprudenziale, fondando proprio sul fatto che l'arbitraggio è in sostanza attività riferibile alle parti contrattuali, e non al terzo come nell'arbitrato, impugnabile entro i limiti stringenti individuati dall'art. 1349 c.c.

In tale prospettiva, dunque, si coglie anche come tale controllo in sede di impugnativa sia rimesso al “prudente apprezzamento del giudice di merito” e, pertanto, con ricorso per Cassazione la statuizione di questi è impugnabile entro forti limiti.

In particolare, in caso di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., così come riformulato dalla l. n. 134/2012, le doglianze concernenti il vizio di motivazione sono ulteriormente ridotte, confinate essenzialmente ad ipotesi di vizi macroscopici (carenze grafiche e materiali dei motivi nella sentenza) o particolarmente eclatanti della motivazione (motivazione perplessa, oggettivamente incomprensibile, assolutamente contraddittoria o apparente), che devono risultare inevitabilmente dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

In questo modo l'ordinanza che si va ad annotare aderisce perfettamente a Cass. civ., sez. U., sent., 7 aprile 2014, n. 8053, che aveva già chiarito la portata del vizio di cui al n. 5 dell'art. 360, comma 1, c.p.c.

Osservazioni

La determinazione ad opera del terzo di un elemento del regolamento contrattuale, ovvero l'arbitraggio, è suscettibile di essere impugnato innanzi all'autorità giudiziaria soltanto per gli specifici vizi individuati dall'art. 1349 c.c.

In particolare, quante volte l'arbitratore debba decidere secondo l'arbitrium boni viri, ovvero secondo equità, contemperando in chiave mercantilistica gli interessi delle parti, il giudice può sostituirsi alla determinazione effettuata dal terzo solo ove questa sia manifestamente iniqua, cioè ove travalichi il limite dell'equità.

La valutazione sull'equità della determinazione del terzo è rimessa al «prudente apprezzamento del giudice di merito» e, come tale, è ricorribile in cassazione per vizio di motivazione entro limiti particolarmente stringenti, circoscritti in buona sostanza a vizi macroscopici, rilevabili quasi ictu oculi.

Tali considerazioni, però, anche alla luce dell'entrata in vigore della l. 7 agosto 2012 n. 134, non comportano la totale obliterazione della possibilità di proporre ricorso per cassazione per il motivo di cui all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., che, pur nella sua riduzione attuale «al minimo costituzionale», resta irrinunciabile per assicurare il rispetto del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost.

In tale prospettiva, dunque, chi intenda ricorrere in cassazione per contestare l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, potrà farlo ma soltanto ove il vizio sia desumibile dalla sentenza, senza raffronti di sorta con le risultanze processuali, e si sia al cospetto di una motivazione apparente, perplessa od obiettivamente incomprensibile, assolutamente contraddittoria oppure ove l'impianto motivazionale sia carente già sotto il profilo grafico e materiale nel provvedimento decisorio.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.