Richieste istruttorie e preclusioni nel rito sommario di cognizione
08 Giugno 2016
Massima
Nel procedimento sommario di cognizione, l'art. 702-bis, commi 1 e 4, c.p.c., laddove dispone che ricorso e comparsa di risposta contengano, fra l'altro, l'indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali attore e convenuto intendano avvalersi, come dei documenti offerti in comunicazione, non valgono a segnare alcuna preclusione istruttoria e quindi non comportano, in caso di omissione, alcuna decadenza. La pronuncia dell'ordinanza avente ad oggetto l'eventuale riscontro della non sommarietà dell'istruzione individua la barriera preclusiva che impedisce alle parti la formulazione di nuove richieste istruttorie. Il caso
Avverso un provvedimento applicativo di sanzione disciplinare, il Notaio Tizio proponeva reclamo ex art. 158l. 89/1913 dinanzi alla Corte d'Appello competente, nelle forme del rito sommario di cognizione, previste dall'art. 26 d.lgs. 150/2011. Il ricorso era rigettato dalla Corte d'Appello la quale, tra l'altro, osservava che incombeva sul notaio ricorrente l'onere di provare i fatti allegati, mediante l'indicazione di prove da articolarsi tassativamente nel ricorso introduttivo, come deducibile dal combinato disposto dell'art. 702-bis c.p.c. con l'art. 163, comma 3, n. 5 c.p.c., richiamato dalla medesima disposizione normativa e che richiede l'indicazione specifica dei mezzi di prova sin dalla redazione dell'atto introduttivo. Affermava, infatti, il giudice di merito che, a differenza di quanto avviene nel giudizio ordinario di cognizione e nel rito del lavoro, nel procedimento di cognizione sommaria la costituzione in giudizio del ricorrente segna una preclusione perentoria per l'articolazione dei mezzi di prova, pur non essendo richiesta dalla legge tale indicazione a pena di decadenza. Si osservava, in particolare, che il sistema delineato dall'art. 702-ter c.p.c. imponeva di ritenere che il giudice potesse ammettere nel processo svolgentesi con rito sommario di cognizione le sole prove già dedotte dalle parti negli atti introduttivi. Avverso tale provvedimento proponeva ricorso per Cassazione il notaio Tizio, eccependo, per quanto qui rileva, la violazione e falsa applicazione dell'art. 702-ter, commi 3 e 5, c.p.c., sul presupposto che le difese articolate dal ricorrente avrebbero imposto alla Corte d'Appello un'istruzione non sommaria della causa, sicché il giudice di merito avrebbe dovuto fissare udienza ex art. 183 c.p.c., con concessione dei termini ivi previsti anche per l'articolazione di nuove richieste istruttorie. La questione
La questione affrontata dalla sentenza in esame è la seguente: nel giudizio regolato con rito sommario di cognizione (scelto volontariamente dalla parte attrice o imposto dal legislatore) le parti devono articolare le proprie richieste di prova a pena di decadenza già nei rispettivi atti introduttivi? Le soluzioni giuridiche
Nel processo che si svolge con rito sommario di cognizione le parti, nei rispettivi atti introduttivi, in forza del richiamo all'art. 163, comma 3, n. 5 e del disposto del comma 4 dell'art. 702-bis c.p.c. (a sua volta modellato sul primo comma dell'art. 167 c.p.c. dettato per il rito ordinario), devono indicare i mezzi di prova di cui intendono avvalersi nel corso del processo e i documenti che offrono in comunicazione. Con riferimento al rito ordinario, è pacifico, in quanto ripetutamente e costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, che ove le parti optino per la trattazione scritta richiedendo i termini di cui al sesto comma dell'art. 183 c.p.c. (ovvero, nel rito previgente, quelli di cui all'art. 184 c.p.c.), le preclusioni all'esercizio dei poteri processuali, fra i quali quello di chiedere nuovi mezzi di prova, si verificano solo nel momento in cui si conclude la fase della trattazione preparatoria, per cui, anche ove le parti non abbiano indicato prove nell'atto introduttivo, non è tardiva la prova testimoniale articolata per la prima volta entro il termine assegnato dal giudice ai sensi dell'art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c. (ovvero art. 184 c.p.c. nel rito previgente). La stessa soluzione, secondo la sentenza in commento, va accolta per il rito sommario di cognizione, in quanto l'art. 702-bis c.p.c. non sancisce alcuna preclusione istruttoria, dovendosi al più ritenere l'articolazione probatoria opportuna negli atti introduttivi perché il giudice possa consapevolmente adoperare in udienza l'eventuale potere di conversione del rito e di fissazione dell'udienza ex art. 183 c.p.c. (nei casi in cui il rito sommario sia stato volontariamente introdotto dalla parte e non imposto dal legislatore, non consentendo in tal caso il d.lgs. 150/2011 il mutamento del rito). Proprio il momento in cui il giudice è chiamato a decidere sul mantenimento o mutamento del rito sommario di cognizione (art. 702-ter, comma 3, c.p.c.) è considerata la barriera processuale che impedisce alle parti la formulazione di nuove richieste istruttorie (ove, evidentemente, il giudice decida per il mantenimento del rito sommario, dovendosi altrimenti fissare l'udienza di cui all'art. 183 c.p.c., con possibilità per le parti di chiedere la concessione dei termini di cui al sesto comma della menzionata norma). Osservazioni
La sentenza in commento, invero, non individua con esattezza un momento preclusivo per le richieste di prova nei processi elencati nel Capo III del d.lgs. 150/2011, in cui non è possibile il mutamento del rito da sommario in ordinario, limitandosi ad affermare che nessuna decadenza è prevista nel caso di mancata articolazione delle prove negli atti introduttivi delle parti. Secondo la dottrina, in tali casi il momento ultimo per l'articolazione delle prove è rappresentata dalla prima udienza di comparizione e trattazione, in cui il giudice è chiamato, appunto, a decidere sull'ammissione delle prove richieste dalle parti, non potendosi dedurre ulteriori mezzi di prova oltre tale sbarramento processuale. |