Esecuzione forzata degli obblighi di fare: sono escluse le opere non previste dal titolo esecutivo

08 Giugno 2017

L'esecuzione degli obblighi di fare e non fare (artt. 612 e ss. c.p.c.) deve svolgersi in perfetta aderenza e nei limiti del dettato del titolo esecutivo.
Massima

L'esecuzione degli obblighi di fare e non fare (artt. 612 e ss. c.p.c.) deve svolgersi in perfetta aderenza e nei limiti del dettato del titolo esecutivo, senza estendersi all'esecuzione di opere ulteriori non previste dal titolo stesso, anche se necessarie od opportune a tutela dei diritti dell'esecutato, laddove questi abbia la facoltà e quindi l'onere di provvedervi direttamente.

Il caso

Il caso prende le mosse da una doglianza per supposti danni che i soggetti titolari del diritto di proprietà su di un immobile assumono essersi verificati a seguito di lavori effettuati in ottemperanza ad un provvedimento che obbligava all'esecuzione di opere a vantaggio di un immobile di altro soggetto proprietario di immobile confinante.

Nella specie L. T., D. T. ed E. C. - la prima nuda proprietaria, gli altri due usufruttuari di un immobile sito in Finale Ligure (SV) - hanno agito in giudizio nei confronti di M. C. ed E. B. (quali eredi di G. C.) nonché di L. R., per ottenere il risarcimento dei danni che assumono subiti da detto immobile, in conseguenza dell'esecuzione forzata di un provvedimento giurisdizionale avvenuta su istanza di G. C. ed affidata, quale ausiliario di giustizia, al R. L. .

Già in primo grado ed in appello detta domanda veniva rigettata.

La questione

I motivi di doglianza sono i seguenti:

  1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia «Carenza di motivazione. Violazione dell'art. 132 c.p.c.».
  2. Con il secondo motivo del ricorso si denunzia «Errore di diritto sui limiti dei poteri del creditore che agisce in executivis. Inosservanza delle regole amministrative. Violazione dell'art. 115c.p.c.».
  3. Con il terzo motivo del ricorso si denunzia «Error in iudicando. Errore di diritto. Violazione ed errata interpretazione dell'art. 613 c.p.c.».
  4. Con il quarto motivo del ricorso si denunzia «Error in procedendo per aver trascurato documenti essenziali ai fine della decisione. Violazione dell'art. 115 c.p.c.».

Essendo i motivi connessi, la Corte, correttamente, procede al loro esame congiunto e ne dichiara, in parte, la manifesta inammissibilità ed, in parte, la manifesta infondatezza.

In specie, i ricorrenti sostengono che «dalle opere poste in essere per l'esecuzione forzata di una sentenza (emessa all'esito di un giudizio di merito possessorio) che li aveva condannati ad eliminare l'illegittimo scolo delle acque piovane realizzato dal terrazzo del proprio appartamento verso la confinante proprietà di G.C., sarebbero derivati danni all'immobile di loro proprietà».

Nella narrazione del fatto le lamentele dei ricorrenti si incentrano sulle modalità di realizzazione delle opere di ripristino, come ordinate.

A detta dei ricorrenti, infatti, i lavori non sarebbero stati eseguiti a regola d'arte, non sarebbero state adottate le opportune cautele e, inoltre, sarebbero stati eseguiti senza le necessarie autorizzazioni amministrative.

L'ausiliario nominato dall'ufficiale giudiziario per eseguire le opere, infatti, si sarebbe limitato a chiudere il pluviale con un tappo di cemento e ciò, impedendo il deflusso delle acque, avrebbe provocato l'allagamento dell'immobile sovrastante, evidentemente dei ricorrenti, con danno per gli stessi.

Sul punto osserva la Suprema Corte che la Corte d'Appello, confermando la pronuncia in primo grado, avrebbe, incensurabilmente, accertato in fatto, «che l'attuazione del comando giurisdizionale era avvenuta in conformità alle indicazioni risultanti dal titolo esecutivo, il quale si limitava ad imporre l'eliminazione dello scolo, senza prevedere ulteriori interventi».

Non solo, ma sempre la Corte d'Appello, rilevava, sempre incensurabilmente, che «era stata del resto rigettata l'opposizione avanzata dagli obbligati ai sensi dell'art. 615 c.p.c., nel corso del processo per l'esecuzione dell'obbligo di fare, con la quale era stato specificamente dedotto che il titolo esecutivo non avrebbe consentito la mera occlusione della condotta pluviale».

Sulla base di tali presupposti, come accertati, la stessa Corte d'Appello riteneva che l'opera svolta dall'ausiliario, R.L., il quale si era limitato a chiudere la condotta pluviale illegittimamente realizzata per lo scolo delle acque, che la sentenza posta in esecuzione ordinava di rimuovere, era stata corretta; di conseguenza «sarebbe stato onere degli obbligati provvedere tempestivamente a realizzare un diverso sistema alternativo di scolo legittimo delle acque dal proprio terrazzo, non potendo essi pretendere che di ciò ci si facesse carico in sede di esecuzione, in mancanza di previsioni del titolo in proposito».

Con ciò escludeva, in diritto, l'ingiustizia del danno lamentato dai ricorrenti, per non avere essi provveduto in tal senso, «come avrebbero potuto e dovuto fare».

Le soluzioni giuridiche

Dopo aver, seppur succintamente ma esaurientemente, esposte le circostanze di fatto, la Corte di legittimità conclude affermando che la decisione d'appello, che conferma quella di primo grado, risulta adottata «in base all'esame di tutti i fatti rilevanti, ed è fondata su motivazione adeguata in fatto e corretta in diritto».

Di conseguenza essa si sottrae alle censure di difetto di motivazione ed a quelle di violazione delle norme processuali che regolano la valutazione delle prove.

La Corte precisa che la decisione impugnata risulta perfettamente conforme ai principi di diritto che sottendono la materia dell'esecuzione forzata in forma specifica, principi che vanno ribaditi in questa sede.

Lapidariamente la Corte ribadisce che “l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare (artt. 612 e ss.c.p.c.) deve svolgersi in perfetta aderenza e nei limiti del dettato del titolo esecutivo, senza estendersi all'esecuzione di opere ulteriori non previste dal titolo stesso, anche se necessarie od opportune a tutela dei diritti dell'esecutato, laddove questi abbia la facoltà e quindi l'onere di provvedervi direttamente.”.

Il giudice di legittimità, poi, si esprime anche sulla doglianza relativa alla mancanza delle autorizzazioni amministrative per l'esecuzione dell'opera di ripristino dello stato dei luoghi ed afferma che «si tratta di questione evidentemente del tutto estranea al profilo di danno oggetto della domanda risarcitoria proposta nel presente giudizio, dal momento che tale danno non deriva dall'eventuale mancato rilascio delle autorizzazioni ma dalla stessa natura dell'intervento operato (in relazione al quale, peraltro, la suddetta necessità è stata in fatto esclusa in radice)».

Il ricorso, pertanto, risulta manifestamente infondato ed inammissibile e viene rigettato.

Altro importante principio che ribadisce la Cassazione è quello relativo alle spese legali.

Infatti, bacchettando sostanzialmente l'operato della difesa, stigmatizza la temerarietà del ricorso per Cassazione, temerarietà che condurrà all'applicazione della maggiorazione delle spese prevista dall'art. 385, comma 4, c.p.c., applicabile, ratione temporis, al caso di specie.

Il ricorso, infatti, essendo in parte manifestamente inammissibile ed in parte manifestamente infondato, risulta proposto, dai ricorrenti, con colpa grave, «dovendosi certamente ritenere in una siffatta ipotesi percepibile dal legale abilitato all'esercizio presso le giurisdizioni superiori, sulla base della diligenza cui è tenuto per la prestazione altamente specializzata sul piano professionale che fornisce, la circostanza di perorare tesi infondate, e comunque di avanzare una impugnazione non suscettibile di accoglimento in sede di legittimità».

Segue, poi, anche la sanzione del versamento, a titolo di contributo unificato, della somma prevista dall'art. 13, comma 1quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012.

La condanna è, quindi, per così dire, esemplare e, a parere di chi scrive, del tutto giustificata, essendo palese la pretestuosità del ricorso proposto.

Pertanto, al rigetto del ricorso segue la condanna di parte ricorrente, alle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidandole in complessivi €. 10.000,00, oltre €. 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Condanna, altresì, parte ricorrente al pagamento dell'importo di ulteriori €. 10.000,00 in favore dei controricorrenti, ai sensi dell'art.385, comma 4, c.p.c. .

Infine, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del2002, inserito dall'art. 1, comma 17, legge n. 228 del2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico di parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Osservazioni

La Corte, nella sua motivazione, conferma il principio, oramai consolidato in giurisprudenza, circa l'esecuzione degli obblighi di fare, in relazione alle conseguenze che possano derivare dagli stessi, conseguenze anche dannose ma non per questo integranti gli estremi di un danno ingiusto, ogniqualvolta la parte soccombente abbia la possibilità e quindi l'obbligo di adottare tutte le cautele richieste dal caso, proprio in considerazione della obbligatorietà del fare imposto dalla pronuncia giudiziale.

Così non si potrà dolere la parte soccombente qualora non abbia adottato tutte le misure necessarie al corretto adempimento dell'obbligo di fare ponendo in essere tutti i comportamenti tesi a scongiurare un eventuale danno derivante dall'esecuzione dell'opera imposta.

Pertanto, il solo danno in ipotesi risarcibile sarebbe solo quello derivante da una scorretta realizzazione dell'opera o da un comportamento dolosamente preordinato a provocare un danno nell'esecuzione dell'opera ma non il semplice danno derivante dall'aver eseguito l'ordine del giudice in modo corretto ed in ottemperanza a quanto stabilito in pronuncia.

La condanna, poi, al pagamento dell'ulteriore somma ai sensi dell'art. 385, 4° comma, c.p.c., che, seppur abrogato dalla legge 69/2009, continua ad applicarsi ai giudizi instaurati in primo grado anteriormente all'entrata in vigore della legge, ha come presupposto la palese pretestuosità del ricorso a mezzo del quale si avanzano doglianze non solo evidentemente infondate, ma si lamenta anche la mancanza di presupposti insussistenti; nella specie si lamenta il mancato rilascio di autorizzazioni amministrative per il compimento dell'opera di ripristino che, nel caso di specie nemmeno erano necessarie e comunque non collegate in alcun modo alla produzione del danno lamentato.

In base a tale comma, infatti, veniva previsto che «Quando pronuncia sulle spese, anche nelle ipotesi di cui all'articolo 375, la Corte, anche d'ufficio, condanna, altresì, la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma, equitativamente determinata, non superiore al doppio dei massimi tariffari, se ritiene che essa ha proposto il ricorso o vi ha resistito anche solo con colpa grave»; la manifesta infondatezza ed inammissibilità del ricorso, pertanto, comportano una colpa grave nella proposizione del ricorso.

Segue anche, ed a motivo della palese pretestuosità del ricorso, la condanna al pagamento del contributo unificato, come previsto dall'art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002, a mente del quale: «Quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso».

La condanna, seppur dura, è perfettamente in linea con il dato normativo e con il dovere di autoresponsabilità che la parte dovrebbe avere nell'utilizzo dei mezzi di giustizia che non devono mai essere utilizzati qualora risultino manifestamente pretestuosi, come nel caso di specie.

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