Il tentativo obbligatorio di conciliazione nell'art. 8 della legge Gelli-Bianco

Antonino Barletta
08 Settembre 2017

La disciplina introdotta dalla legge Gelli-Bianco (l. 8 marzo 2017, n. 24) contempla all'art. 8 un tentativo obbligatorio di conciliazione in sede di consulenza preventiva che si ascrive alla nota tendenza a rendere il più possibile residuale il ricorso alla giurisdizione contenziosa.
Le principali peculiarità del tentativo obbligatorio di conciliazione medico-legale in materia di responsabilità sanitaria

La disciplina introdotta dalla legge Gelli-Bianco (l. 8 marzo 2017, n. 24) contempla all'art. 8 un tentativo obbligatorio di conciliazione in sede di consulenza preventiva che si ascrive alla nota tendenza a rendere il più possibile residuale il ricorso alla giurisdizione contenziosa.

La condizione di procedibilità prevista dall'art. 8 è riferibile alle azioni di risarcimento e d'indennizzo in materia sanitaria disciplinate dalla stessa legge.

Più precisamente, si deve ritenere che tutte le azioni risarcitorie e di indennizzo del danneggiato disciplinate dalla nuova legge siano soggette a tale condizione di procedibilità, si tratti dell'azione nei confronti della struttura sanitaria o dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'art. 7 l. n. 24/2017, ovvero dell'azione diretta nei confronti dell'assicurazione della struttura sanitaria o del professionista medico-sanitario di cui all'art. 12 l. n. 24/2017; il che – del resto – trova un'espressa conferma da quanto sancito in quest'ultimo articolo, là dove vengono «fatte salve le disposizioni dell'articolo 8». Non si vedono ragioni, poi, per limitare l'applicabilità dell'art. 8 l. n. 24/2017 pure in caso di domanda limitata alla condanna generica.

Al contrario, non riterrei soggetta alla condizione di procedibilità l'azione di regresso ai sensi dell'art. 9 l. n. 24/2017, che la struttura sanitaria può esercitare entro un anno dal risarcimento in base ad una sentenza di condanna o di una conciliazione nell'ambito di una procedura giudiziale o stragiudiziale, salvo quanto previsto all'art. 13 a proposito dell'obbligo di avviso al professionista. La legge Gelli-Bianco specifica, poi, che la transazione o l'accordo di conciliazione non può essere opposta all'esercente la professione sanitaria, ma l'azione di regresso potrà essere spiegata entro i limiti di quanto riconosciuto in tale sede. Per tal motivo, il professionista sanitario può avere interesse a partecipare alla procedura conciliativa; a tal fine è previsto che la struttura sanitaria debba dare avviso al medesimo professionista dell'avvio di «trattative stragiudiziali» con il danneggiato, con invito a prendervi parte entro dieci giorni mediante posta elettronica certificata o lettera raccomandata con avviso di ricevimento, quale condizione di ammissibilità dell'azione di rivalsa o di responsabilità medica (art. 13 l. n. 24/2017).

In mancanza del suddetto avviso, quindi, si applica una sanzione particolarmente rigorosa, consistente nella definitiva preclusione rispetto alla proponibilità delle azioni disciplinate all'art. 9. La disposizione che prevede l'obbligo di avviso al professionista si deve applicare a fortiori anche in caso d'instaurazione del procedimento conciliativo ai sensi dell'art. 8 l. n. 24/2017, nel quale il professionista può comunque intervenire in ogni momento, al fine di partecipare alle operazioni peritali, o in vista della finalizzazione delle conclusioni raggiunte dal consulente tecnico. Analogamente, si deve osservare a proposito della mediazione obbligatoria, eventualmente prescelta dal danneggiato. Com'è reso evidente dall'art. 9 e dall'art. 13 l. n. 24/2017, invece, la presenza del professionista non è necessaria nella prospettiva del danneggiato ai fini dell'espletamento dei procedimenti preordinati alla conciliazione o nel vero e proprio processo risarcitorio, qualora il danneggiato eserciti l'azione nei soli confronti della struttura sanitaria. Per contro, allorché venga esercitata l'azione diretta a norma dell'art. 12 l. n. 24/2017 verso l'assicurazione, è richiesta anche la presenza dell'assicurato, a seconda dei casi della struttura sanitaria o del professionista. Difatti, nei casi di azione diretta verso la compagnia di assicurazione della struttura sanitaria o del professionista, in cui la legge Gelli-Bianco prevede il litisconsorzio necessario per la decisione nel merito, la medesima pluralità di parti si applica, per estensione, anche alle procedure conciliative, richieste ai fini della procedibilità della domanda giudiziale.

Per altro verso, risulta tendenzialmente superata ogni questione attinente all'ammissibilità del procedimento di cui all'art. 696-bis c.p.c. in relazione alle controversie considerate. Elevando la consulenza preventiva a condizione di procedibilità, è in questo caso preclusa al giudice competente ogni valutazione preventiva circa l'utilità di tale procedimento, la quale è in re ipsa nonostante l'eventuale la natura giuridica e non tecnico-fattuale delle questioni sottese alla definizione della controversia.

Insomma, la scelta legislativa sembra sottendere un'implicita manifestazione di fiducia circa la possibilità di definire sul piano tecnico-scientifico tutte le controversie in materia di responsabilità medica e sanitaria nell'ambito del procedimento di consulenza preventiva. Nondimeno, ad avviso di chi scrive, rimane inalterata l'incertezza circa la concreta possibilità di raggiungere l'obiettivo della risoluzione della controversia nel procedimento appena menzionato, anche considerando che le questioni fattuali da esaminare in sede preventiva sono lungi dell'essere definite nell'ambito di un compiuto thema probandum. Il che potrà avvenire solo nel giudizio di merito, successivamente alla vera e propria trattazione della causa nel contraddittorio tra le parti, sotto la direzione del giudice.

In ogni caso, il danneggiato dovrà aver cura di definire in modo appropriato il thema decidendum che intende circoscrivere nel successivo ed eventuale giudizio di merito. A tale proposito, rischiano di rifluire tutte incertezze connesse all'individuazione delle cause risarcitorie, che abbiamo esaminato nella prospettiva della validità delle relative domande (per un maggior approfondimento, vedi anche A.BARLETTA, Incertezze e contrasti sul contenuto essenziale della domanda risarcitoria: a quando un intervento delle Sezioni Unite?, in Ridare.it). Peraltro, ove si ritenga che la causa di risarcimento sia definita anche dal c.d. danno-conseguenza (ossia dalle circostanze rilevanti ai fini della determinazione del danno risarcibile) il danneggiato si troverebbe nella scomoda posizione di non poter ampliare il novero delle “voci di danno” già indicate nel proprio ricorso ex art. 696-bis c.p.c. (o nel corso del procedimento), se non a seguito di una nuova consulenza preventiva che renda procedibile tale ampliamento.

Venendo alla disamina del procedimento in cui dovrà essere esperito il tentativo di conciliazione disciplinato dalla l. Gelli-Bianco, occorre subito evidenziare quanto segue.

La consulenza tecnica preventiva nelle controversie medico-sanitarie ha caratteristiche del tutto peculiari rispetto a quella disciplinata in generale all'istituto di cui all'art. 696-bis c.p.c., richiamato dal legislatore al comma 1. Conducono a formulare tale rilievo la notevole rigidità sul piano della scansione temporale della procedura di consulenza preventiva (in ispecie, il limite di sei mesi ai fini del deposito della redazione tecnica), l'alternatività rispetto alla mediazione finalizzata alla conciliazione, la stessa obbligatorietà della consulenza preventiva e la necessità di instaurare il giudizio di merito entro novanta giorni per assicurare al ricorrente la “salvezza” degli effetti della domanda. A tali peculiarità si aggiungono quelle che riferibili all'applicazione dell'art. 15 l. n. 24/2017, ove si prescrive la necessità di affidare l'espletamento della consulenza tecnica ad un medico specializzato in medicina legale ed inoltre ad «uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento», nessuno dei quali in conflitto d'interessi in relazione al procedimento considerato o altri connessi (riteniamo anche solo in senso improprio) e che siano altresì in «possesso di adeguate e comprovate competenze nell'ambito della conciliazione acquisite anche mediante specifici percorsi formativi».

Ricollegandoci a quanto abbiamo visto sopra, è qui evidente come la finalità conciliativa sia senza dubbio preminente rispetto a quella dell'acquisizione della prova. Il che, peraltro, risulta confermato dall'emendamento approvato in sede di ultima lettura del Senato, là dove appunto si è, opportunamente, eliminato dal comma 4 il riferimento all' “accertamento preventivo”. Ma a ben vedere il fine conciliativo del procedimento disciplinato dall'art. 8 è ancor più evidente di quanto si possa si possa dire, in generale, rispetto all'istituto di cui all'art. 696-bis c.p.c. Giacché in materia di responsabilità sanitaria – come abbiamo visto – potrebbe essere addirittura del tutto assente la necessità di svolgere degli approfondimenti dal punto di vista fattuale e medico-legale.

È presumibile, però, che il procedimento precontenzioso, reso obbligatorio nelle controversie risarcitorie in materia sanitaria, cumulerà nella maggior parte dei casi sia la funzione conciliativa, sia quella di anticipazione della prova, analogamente a quanto si può osservare in generale a proposito dell'istituto di cui all'art. 696-bis c.p.c.

Lo schema della consulenza preventiva con funzione conciliativa di cui all'art. 8 l. n. 24/2017 differisce, poi, anche dal procedimento disciplinato dall'art. 445-bis c.p.c., il quale è stato sì predisposto per finalità deflattive, ma rimane comunque volto essenzialmente all'accertamento del requisito sanitario, prima dell'instaurazione del vero e proprio processo di cognizione per le controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità. Giacché è del tutto assente da tale procedimento la funzione conciliativa, peraltro incompatibile con la natura delle suddette controversie (analogamente, su quest'ultimo punto, vedi anche M. VACCARI, L'ATP obbligatorio nelle controversie di risarcimento dei danni derivanti da responsabilità sanitaria, in Ilprocessocivile.it). La diversa funzione dell'istituto di cui all'art. 445-bis c.p.c. spiega l'assenza di un termine ultimo per l'espletamento delle operazioni peritali, rendendo in apicibus applicabile allo stesso istituto l'art. 696-bis c.p.c. solo «in quanto compatibile», nonché il peculiare meccanismo di omologa della relazione peritale, che rimane perciò del tutto estraneo alla disciplina della responsabilità sanitaria.

Anzi, proprio la limitazione temporale sancita dal legislatore all'art. 8 suggerisce che verosimilmente gli accertamenti compiuti nella fase ante causam saranno di norma incompleti. Essi dovranno essere più che altro funzionali ad acquisire i dati e le valutazioni che consentano di affrontare nel modo più ponderato possibile il tentativo di conciliazione, avendo a mente la complessità medico-legale delle questioni che potranno essere eventualmente meglio affrontate ed approfondite solo nel successivo giudizio di merito. È altrettanto probabile, perciò, che nel caso in cui il tentativo di conciliazione non sortisca un esito favorevole la consulenza preventiva venga seguita da una nuova relazione medico-legale ai sensi dell'art. 15, soprattutto nei casi di più elevata complessità tecnica, per la quale potranno – tuttavia – essere nominati anche gli stessi consulenti che abbiano depositato la relazione tecnica preventiva, non essendo riferibile a tale fattispecie alcuna incompatibilità (nello stesso senso M. VACCARI, L'ATP obbligatorio nelle controversie di risarcimento dei danni derivanti da responsabilità sanitaria, cit.).

L'anticipazione (quantomeno parziale) del momento acquisitivo e di valutazione medico-legale delle prove, in vista della definizione delle questioni fattuali e tecniche sottese alle controversie risarcitorie in materia sanitaria, spiega l'indicazione del rito sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis ss. c.p.c. richiamato dall'art. 8, comma 3, da avviare dopo il «deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio». In altre parole, il legislatore intravede qui l'opportunità di semplificare, innanzitutto, la fase introduttiva e quella istruttoria in senso lato, in considerazione dell'attività già svolta nel procedimento precontenzioso.

Tuttavia, una volta introdotta, con la modifica in extremis apportata dal Senato, la possibilità di soddisfare la condizione di procedibilità vuoi con il procedimento di cui all'art. 696-bis c.p.c., vuoi con la mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5 d.lgs. n. 28/2010, al danneggiato si pone l'alternativa non solo di quale strumento conciliativo precontenzioso utilizzare, bensì anche del rito applicabile al merito, in funzione dei risultati comunque raggiunti a seconda dei casi, qualora non si riesca a definire un accordo di conciliazione.

Peraltro, anche ove il danneggiato opti per la consulenza preventiva il procedimento, avviato con ricorso ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c., può proseguire nelle forme del rito ordinario, allorché il giudice ritenga, in considerazione delle difese in concreto svolte dalle parti nel giudizio di merito, che il processo debba proseguire nelle forme del rito ordinario, adottando i provvedimenti di cui all'art. 702-ter, comma 3,c.p.c., ovvero allorché si proceda alla riunione con altra causa connessa, instaurata ai sensi degli artt. 163 ss. c.p.c., in quanto preceduta da mediazione obbligatoria (arg. dall'art. 40, comma 3, c.p.c.).

Il carattere giurisdizionale del procedimento di cui all'art. 696-bis c.p.c. reca con sé diverse conseguenze, al di là di quelle emergenti dalla disciplina speciale di cui all'art. 8, che verranno prese in considerazione nel commento che segue. In ispecie, le spese necessarie all'espletamento della consulenza preventiva devono essere poste a carico del ricorrente e potranno essere diversamente regolate in sede giudiziale – in base al principio della soccombenza o di quella della causalità – solo nel processo di cognizione, trovando invece applicazione nel procedimento ante causam l'art. 8 d.P.R. n. 115/2002.

L'inapplicabilità al processo penale e le altre esenzioni alla condizione di procedibilità

La modifica apportata in ultima lettura dal Senato alla disposizione in commento rende manifesto che la condizione di procedibilità non si applica quando il danneggiato eserciti l'azione civile nel processo penale dopo la costituzione di parte civile ai sensi dell'art. 75 c.p.p. Tale previsione riecheggia quanto stabilito per la mediazione obbligatoria all'art. 5, comma 4, lett. g), d.lgs. n. 28/2010, che appunto non si applica quando l'azione civile viene esercitata nel processo penale.

A fortiori, le altre esenzioni previste dal suddetto art. 5 d.lgs. n. 28/2010 troveranno applicazione, in via analogica, per ragioni connesse alla natura della tutela richiesta ed in relazione alla prevalente necessità di assicurare l'effettività della tutela giurisdizionale. In particolare, l'obbligatorietà della consulenza preventiva non ha ragione d'imporsi allorché il danneggiante richieda un provvedimento cautelare.

La competenza del giudice adito ai sensi dell'art. 696-bis c.p.c.: possibili interferenze con l'avveramento della condizione di procedibilità

L'art. 8, comma 1, l. n. 24/2017 richiede l'esperimento della consulenza preventiva preordinata al componimento della controversia, proponendo ricorso ai sensi dell'art. 696-bis c.p.c. avanti al giudice competente. Nell'ambito del procedimento precontenzioso, in conseguenza, potrebbe porsi la questione pregiudiziale della competenza del giudice adito, al fine di stabilire l'ammissibilità dell'istanza. Non essendo possibile riconoscere carattere decisorio ai provvedimenti che vengono pronunciati nel procedimento precontenzioso, non sembra parimenti possibile configurare l'applicabilità delle norme in materia di competenza nel processo di cognizione.

I maggiori problemi applicativi si potrebbero profilare in relazione ad un eventuale rigetto per incompetenza: eventualità quest'ultima che non è per nulla inconsueta in materia di responsabilità sanitaria. Si pensi, ad es., alle questioni sorte negli ultimi anni in relazione al foro del consumatore nelle controversie occasionate da prestazioni intramoenia(per un maggior approfondimento, vedi anche A. BARLETTA, Prestazioni sanitarie in regime intramoenia: il foro del consumatore è applicabile alla struttura sanitaria pubblica, in Ridare.it).

In tal caso, il ricorrente avrebbe la possibilità di riproporre l'istanza ai sensi dell'art. 696-bis c.p.c., analogamente a quanto è previsto in relazione al rigetto della domanda cautelare proposta avanti al giudice incompetente (arg. dall'art. 669-septies c.p.c.). Tuttavia, anche nel caso di riproposizione il danneggiato potrebbe vedersi nuovamente rigettare l'istanza per incompetenza, similmente a quanto può accadere nell'ambito del procedimento cautelare.

S potrebbe prospettare l'ammissibilità del regolamento di competenza, come si afferma in relazione all'analoga fattispecie processuale nell'ambito dei procedimenti cautelare, al fine di evitare il vulnus di un'insolubile conflitto negativo di competenza, superando per ovvie esigenze applicative le possibili obiezioni teoriche che in genere ostano alla proponibilità di tale rimedio (cfr., però, sul punto le perplesse considerazioni di Cass. civ., Sez. Un., 9 luglio 2009, n. 16091).

In alternativa, si potrebbe applicare in via analogica l'art. 38 c.p.c. nella parte in cui richiede l'indicazione del giudice ritenuto competente in caso di rilevata incompetenza del giudice adito, in modo da consentire, in caso di rigetto, di tenere ferma la competenza così indicato con la riassunzione del procedimento, almeno ai fini dell'espletamento del procedimento ante causam (cfr. A. Barletta, La riproposizione della domanda cautelare, Milano, 2008, 265 ss., spec. 271 ss., a proposito del corrispondente problema nel procedimento cautelare uniforme), aprendo così la strada – in relazione alla fattispecie che occupa – alla procedibilità della domanda di merito.

Ove il giudice consti il mancato esperimento del procedimento ex art. 696-bis c.p.c. alla prima udienza ai sensi dell'art. 8, comma 2, l. n. 24/2017, la questione di competenza rimane comunque pregiudiziale rispetto all'adozione dei provvedimenti volti a consentire l'avveramento della condizione di procedibilità in corso di causa. Pertanto, quando sia stata proposta un'eccezione d'incompetenza o sia stata rilevata d'ufficio la questione ai sensi dell'art. 38 c.p.c., il giudice dovrà prima decidere sulla competenza, non potendo in caso di difetto del presupposto in discorso fissare il termine per la presentazione dell'istanza di consulenza preventiva dinanzi a sé. Dopo l'eventuale declaratoria d'incompetenza, le parti dovranno procedere alla riassunzione del processo a norma dell'art. 50 c.p.c., a cui dovrà nuovamente seguire – entro la prima udienza – il rilievo del mancato esperimento della consulenza preventiva e la fissazione del termine ai sensi dell'art. 8, comma 2, l. n. 24/2017.

L'alternatività tra consulenza tecnica preventiva e mediazione obbligatoria, nonché tra il rito sommario di cognizione e il rito ordinario

Come si è accennato, l'art. 8, comma 2, l. n. 24/2017 prevede che la condizione di procedibilità possa essere soddisfatta con la mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010, che già fa riferimento alle domande risarcitorie in materia di responsabilità sanitaria e medica, in alternativa al procedimento disciplinato dall'art. 696-bis c.p.c. Mentre la condizione in discorso non può essere integrata con la negoziazione assistita a norma dell'art. 3 d.l. n. 132/2014.

Invero, d'altro canto, si potrebbe astrattamente prospettare la necessità di cumulare il procedimento di cui all'art. 696-bis c.p.c. ai sensi della legge Gelli-Bianco, o in alternativa la mediazione obbligatoria, con la negoziazione assistita tra le stesse parti in relazione alla medesima vicenda medico-sanitaria, pur in relazione a cause diverse (in questo senso M. VACCARI, L'ATP obbligatorio nelle controversie di risarcimento dei danni derivanti da responsabilità sanitaria,, il quale ipotizza tale evenienza relativamente alla possibile deduzione nello stesso processo di una causa in materia contrattuale, relativamente al pagamento del corrispettivo pattuito per l'esecuzione di una prestazione medico-sanitaria, e di una causa risarcitoria per responsabilità sanitaria). Bisogna, tuttavia, rammentare che nell'ipotesi appena menzionata il cumulo tra negoziazione assistita e mediazione obbligatoria è quantomeno dubbio ed anzi dovrebbe essere escluso, onde ostacolare il meno possibile l'esercizio del diritto di azione da parte del danneggiato (per un maggior approfondimento, vedi anche A.BARLETTA, Quali limiti al cumulo della negoziazione assistita con la mediazione?, in Ridare.it). Per le stesse ragioni, si deve escludere la necessità di un cumulo tra il procedimento di consulenza preventiva finalizzata alla conciliazione e la negoziazione assistita.

L'art. 8, comma 2, l. n. 24/2017 prevede che l'improcedibilità debba essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. La medesima disposizione sancisce che il giudice, ove rilevi che il procedimento di cui all'art. 696-bis c.p.c. non sia stato espletato, oppure che esso sia stato iniziato ma non si sia concluso, debba assegnare alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dinanzi a sé dell'istanza di consulenza tecnica in via preventiva, ovvero di completamento del procedimento.

Si tratta di un meccanismo di sanatoria simile a quello previsto dall'art. 5, comma 5, d.lgs. n. 28/2010, anche se ovviamente alternativo a quest'ultimo. E giacché nella definitiva formulazione dell'art. 8 il procedimento di cui all'art. 696-bis c.p.c. è fungibile alla mediazione ai fini della procedibilità della domanda, occorre stabilire in quale occasione il giudice debba assegnare il termine per la consulenza preventiva e quando invece debba procedere a norma dell'art. 5 d.lgs. n. 28/2010.

La risposta a tale interrogativo, ad opinione di chi scrive, risiede nella scelta del rito da parte del danneggiato. Ove quest'ultimo abbia agito ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c., il giudice dovrebbe applicare l'art. 8, comma 2, l. n. 24/2017; ove invece il giudizio risarcitorio sia stato instaurato in base alle disposizioni del processo ordinario di cognizione, il giudice dovrebbe disporre la mediazione obbligatoria.

A differenza rispetto a quanto è previsto per la mediazione, l'art. 8 stabilisce un termine di novanta giorni entro cui instaurare il giudizio di merito dopo il deposito della relazione tecnica o lo spirare del termine semestrale. Nondimeno, quando è necessario espletare la consulenza preventiva in corso di causa, il giudice non provvede subito a fissare l'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito, richiedendosi, implicitamente, a tal fine, un atto d'impulso, che per analogia dovrebbe essere posto in essere sempre nel termine di novanta giorni decorrente dal deposito della relazione o dal decorso del termine di sei mesi, computato dal deposito dell'istanza.

Il suddetto termine di novanta giorni – a parere di chi scrive – non può essere considerato un'ulteriore condizione di procedibilità, che va ad aggiungersi a quella prevista al comma 1 (diversamente M. VACCARI, L'ATP obbligatorio nelle controversie di risarcimento dei danni derivanti da responsabilità sanitaria, cit., secondo cui l'art. 8 l. n. 24/2017 sancirebbe una «doppia condizione di procedibilità»), bensì solo un'attività richiesta ai fini della “salvezza” degli effetti già prodotti con il deposito del ricorso ex art. 696-bis c.p.c.: effetti che per simmetria possiamo individuare in quelli prodotti dalla domanda di mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5, comma 6, d.lgs. n. 28/2010.

Difatti, l'interpretazione nel senso della «doppia condizione di procedibilità» non può essere condivisa, alla luce della necessità d'interpretare i limiti posti dal legislatore all'esercizio del diritto di azione, garantito dall'art. 24 Cost., solo nella corretta prospettiva della definizione conciliativa della controversia (C. cost., 30 novembre 2007, n. 403; C. cost., 13 luglio 2000, n. 276). Una volta fallito il tentativo di conciliazione nel momento precontenzioso, la proposizione del giudizio di merito entro il termine suddetto non può certo ritenersi necessaria o utile al fine favorire una soluzione concordata.

La ratio del termine in discorso è, invece, quella di accelerare il passaggio al procedimento contenzioso (arg. anche da C. cost., 13 luglio 2000, n. 276, a proposito di un'analoga previsione contenuta nel prev. art. 412-bis, comma 5, c.p.c.), la quale può essere meglio compresa anche per l'impossibilità di evitare il computo dei giorni trascorsi per la consulenza preventiva (e per l'esperimento del tentativo di conciliazione in una sede comunque giudiziaria) ai fini della c.d. legge Pinto, nel conteggio del tempo occorrente ai fini della pronuncia sulla richiesta risarcitoria o d'indennizzo: diversamente cioè da quanto disposto dall'art. 7 d.lgs. n. 28/2010. E allora la sanzione proporzionata all'inattività della parte interessata – in caso cioè di mancato rispetto del termine di novanta giorni – sembra essere appunto quella che emerge dalla lettera della disposizione: la mancata conservazione dell'effetto sospensivo della prescrizione (l'unico effetto in concreto riferibile nelle controversie considerate, posto che l'effetto interruttivo-istantaneo non dovrebbe comunque disperdersi per ragioni processuali), prodotto sin dall'instaurazione del procedimento ante causam. Cosicché il mancato rispetto del suddetto termine non rende necessario procedere nuovamente ai sensi dell'art. 696-bis c.p.c..

Analogamente, nel caso di consulenza preventiva disposta alla prima udienza, in mancanza di un impulso della parte interessata entro novanta giorni dal deposito della relazione o allo spirare del termine semestrale, si dovrebbe determinare l'estinzione immediata del processo, con il venir meno degli effetti della domanda, quale conseguenza dell'inattività, a cui però può conseguire l'immediata riproposizione del ricorso ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c..

L'obbligatorietà della partecipazione e l'obbligo delle compagnie di assicurazione di formulare proposte

A norma dell'art. 8, comma 4, l. n. 24/2017 è prevista obbligatoriamente la partecipazione “personale” di tutte le parti al procedimento di consulenza preventiva, analogamente a quanto stabilito per la mediazione obbligatoria.

Tale previsione potrebbe essere interpretata in modo assai vincolante (o per meglio dire penalizzante) per il danneggiato; al pari di quanto si osserva a proposito della disciplina di cui all'art. 5 d.lgs. n. 28/2010, si potrebbe infatti ritenere che il ricorrente debba partecipare di persona a tutte le operazioni peritali, al fine di soddisfare la condizione di procedibilità. Tale situazione potrebbe finanche aggravarsi nel caso di una pluralità di danneggiati in relazione al medesimo evento lesivo, come, ad es., nel caso in cui il diritto al risarcimento spetti ad una pluralità di eredi iure proprio o di successori iure ereditatis di un paziente deceduto per malpractice medico-sanitaria. Ritengo, tuttavia, che la partecipazione personale obbligatoria debba essere circoscritta ad un'apposita udienza da fissare dopo l'espletamento delle operazioni peritali, nella quale dovrebbe essere esperito il tentativo di conciliazione.

Per altro verso, è evidente che ai fini della procedibilità della domanda non possa richiedersi la partecipazione personale della struttura sanitaria, del professionista sanitario o delle rispettive compagnie di assicurazione. Pertanto, la partecipazione personale di questi ultimi all'udienza fissata per il tentativo di conciliazione può essere rilevante solo ai soli fini della condanna alle spese, indipendentemente dall'esito del giudizio, e della pena equitativamente determinata ai sensi dell'art. 8, comma 4.

L'obbligo di partecipazione personale (ai fini della pronuncia sulle spese) è applicabile anche al professionista sanitario al quale sia rivolto l'invito ai sensi dell'art. 9 l. n. 24/2017. In questo caso riterrei che il professionista non debba essere necessariamente convenuto o chiamato in causa nel successivo giudizio di merito, rispettivamente dal danneggiato o dalla struttura sanitaria in sede di regresso. Nondimeno, è assai improbabile nei fatti che il professionista rimanga effettivamente estraneo al giudizio risarcitorio. Sicché tale disposizione avrà in concreto l'effetto di determinare l'estensione soggettiva al professionista, anche nelle ipotesi in cui quest'ultimo non fosse stato, sin al principio, parte del procedimento precontenzioso. Ad ogni modo, il giudice potrà tener conto della mancata partecipazione personale pure nel separato giudizio in cui venga fatta valere l'azione di regresso ai sensi dell'art. 9 l. n. 24/2017.

Per altro verso, in materia sanitaria il principio di causalità rispetto alle spese processuali sembra applicabile in modo differente e più intenso rispetto a quanto possa dirsi in relazione alla disciplina generale sulla mediazione, ove è collegato alla formulazione di una proposta da parte del mediatore ed alla corrispondenza tra l'entità della proposta e quella risultante dalla sentenza di merito. Riterrei applicabile tale disciplina non solo nell'ipotesi in cui venga esperito il procedimento ex art. 696-bis c.p.c., bensì anche in quella in cui il danneggiato prediliga la mediazione, al fine di evitare irragionevoli diseguaglianze nel trattamento dei medesimi comportamenti, tenuti nell'ambito dei procedimenti conciliativi richiamati dall'art. 8 l. n. 24/2017.

Le compagnie di assicurazione della struttura e del professionista sanitario hanno anche l'obbligo di formulare una proposta di risarcimento (o meglio d'indennizzo) o di esplicitare i motivi per cui non venga eventualmente effettuata alcuna proposta. In questo caso, il comportamento delle compagnie non sembra rilevante tanto in sede processuale, quanto ai fini dell'emanazione degli opportuni “adempimenti” da parte dell'IVASS, nel caso di sentenza a favore del danneggiato.

Le imprese di assicurazione sono sostanzialmente richieste di cooperare in modo più attivo delle altre parti, nell'ambito del procedimento di consulenza tecnica preventiva, almeno sotto il profilo di una “trasparenza” del proprio operato, dovendo esplicitare le ragioni sottese al fallimento – per parte loro – del tentativo di conciliazione.

L'ottemperamento a tale obbligo presuppone, però, l'espletamento delle operazioni peritali, mentre non sembra richiedere necessariamente una preventiva proposta, a sua volta, da parte del consulente. Pertanto, diversamente rispetto a quanto abbiamo visto a proposito dell'obbligo di partecipazione personale delle parti, tale disposizione appare riferibile solo all'espletamento della consulenza preventiva. I motivi della mancata proposta dovrebbero attenere appunto ai risultati raggiunti nel corso delle operazioni peritali. Peraltro, la segnalazione all'IVASS non dovrebbe trovare applicazione nel caso in cui l'esito del giudizio di merito fosse determinato da rilievi medico-legali acquisiti solo in quest'ultimo giudizio o comunque contrastanti con quelli emersi nel procedimento precontenzioso.

(Fonte: www.ridare.it)

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