Privilegio per il credito relativo alle spese di giustizia: ribadita l'esclusione per le spese sostenute per il giudizio di merito
09 Febbraio 2017
Massima
Il privilegio di cui all'art. 2770, comma primo, c.c. opera solo per i crediti per le spese di giustizia sostenute per ottenere l'emissione del sequestro conservativo idoneo a convertirsi in pignoramento, e non si estende a quelle sostenute per ottenere il riconoscimento, nel giudizio di merito, della fondatezza del proprio diritto. Il caso
Alcuni creditori proponevano distinte opposizioni ex art. 512 c.c. avverso il progetto di distribuzione del ricavato approvato nell'ambito di una procedura di espropriazione immobiliare ai danni di due debitori; a fondamento delle opposizioni proposte si prospettava che non era stato riconosciuto il privilegio vantato per compensi professionali e quello per le spese affrontate nell'interesse comune dei creditori al fine di ottenere un sequestro conservativo poi convertito in pignoramento. In primo grado le due opposizioni erano rigettate. Proposto appello, la Corte d'Appello dichiarava la nullità della sentenza appellata per mancato rispetto dell'integrità del contraddittorio e rimetteva la causa al primo giudice. Riassunto il giudizio, entrambe le opposizioni erano accolte. In conseguenza di ciò era proposto appello dal primo opponente perché la sentenza aveva riconosciuto il privilegio estendendolo anche al credito per le spese relative al giudizio di merito successivo al sequestro. Gli altri creditori proponevano appello incidentale, contestando l'avvenuto riconoscimento del privilegio in favore del primo creditore opponente. La Corte d'Appello rigettava entrambe le impugnazioni. Avverso la sentenza della Corte d'Appello era proposto ricorso per Cassazione dal primo creditore in via principale e dagli altri creditori ricorso incidentale. Con il ricorso principale era impugnata la sentenza della Corte d'Appello nella parte in cui aveva riconosciuto il privilegio di cui all'art. 2770 c.c. per l'intero importo delle spese giudiziali sostenute, comprensivo, quindi, delle spese effettuate per ottenere ed eseguire il provvedimento di sequestro conservativo, ossia relative alla fase cautelare, e di quelle sostenute per il successivo giudizio di merito. Secondo la prospettazione del ricorrente queste ultime spese non possono ritenersi coperte dal privilegio di cui all'art. 2770 c.c. perché non sono sostenute nell'interesse comune del ceto creditorio; al contrario, si tratterebbe di spese derivanti dal riconoscimento della fondatezza del diritto azionato nel merito dai singoli creditori e che, non ricollegandosi ad un'attività giudiziaria espletata nell'interesse di tutti i creditori, non sarebbero assistite dal privilegio in questione. La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, confermando l'orientamento secondo il quale l'art. 2770 c.c. opera con esclusivo riferimento alle spese di giustizia sostenute dal creditore per ottenere ed eseguire il sequestro conservativo dei beni immobili del debitore, che sia stato poi convertito in pignoramento ed abbia determinato, quindi, in questo modo, l'instaurazione del processo esecutivo, con conseguente utilità per tutti i creditori. Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte sono escluse, invece, le spese sostenute dai singoli creditori nel giudizio di merito consequenziali al riconoscimento del diritto e ciò anche quando la sentenza di condanna che abbia riconosciuto il diritto abbia consentito la conversione del sequestro conservativo in pignoramento. La questione
La sentenza in commento affronta la questione relativa all'estensione del privilegio riconosciuto dall'art. 2770, comma primo, c.c. secondo cui: «I crediti per le spese di giustizia fatte per atti conservativi o per l'espropriazione di beni immobile nell'interesse comune dei creditori sono privilegiati sul prezzo degli immobili stessi». Si tratta, quindi, di individuare quali sono le spese di giustizia che possono ritenersi assistite dal privilegio generale riconosciuto dall'art. 2770 c.c.. In particolare, la questione affrontata attiene alla primissima parte della disposizione, nella quale si fa riferimento alle spese sostenute per il compimento di “atti conservativi”, tra i quali certamente rientra il sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c., ossia lo strumento cautelare che consente al creditore, in presenze dei requisiti generali dei rimedi cautelari costituiti dal fumus boni iuris e dal periculum in mora, di realizzare un vincolo su beni mobili ed immobili del debitore, vincolo suscettibile di convertirsi in pignoramento alle condizioni di cui all'art. 686 c.p.c.; secondo quest'ultima disposizione, infatti, la conversione del sequestro in pignoramento avviene nel momento in cui il creditore sequestrante ottiene l'emissione di una sentenza di condanna esecutiva. A ben vedere, quindi, il contrasto interpretativo alla base delle opposizioni da cui è scaturita la pronuncia della Corte di Cassazione in commento nasce dal fatto che, occorrendo l'emissione di una sentenza esecutiva per consentire la conversione del sequestro in pignoramento, secondo un certo orientamento (fatto proprio nel caso di specie dalla Corte d'Appello nella sentenza poi cassata), anche le spese sostenute per ottenere questa pronuncia, ossia quelle consequenziali all'instaurazione del giudizio di merito successivo alla concessione del sequestro, sono assistite dal privilegio riconosciuto dall'art. 2770 c.c.; ciò in considerazione del fatto che l'ottenimento di una sentenza esecutiva è indispensabile per consentire la conversione del sequestro in pignoramento e, quindi, per arrecare vantaggio all'intero ceto creditorio. Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione opta per la soluzione negativa, ritenendola coerente, in primo luogo, con la ricostruzione secondo la quale il privilegio di cui all'art. 2770 c.c. costituisce una fattispecie di stretta interpretazione, con la conseguenza che possono ritenersi coperte dal privilegio solo le spese che siano strettamente necessarie per ottenere l'emissione di un atto conservativo della garanzia patrimoniale. Queste ultime, infatti, intanto sono assistite dal privilegio generale, in quanto costituiscono, in realtà, delle spese sostenute nell'interesse dell'intero ceto creditorio e risultano, quindi, funzionali ad assicurare, mediante la futura conversione del sequestro in pignoramento, la realizzazione della garanzia patrimoniale sui beni del debitore. Tale ratio non ricorre, invece, in relazione alle spese sostenute per affrontare il giudizio di merito, che ha la funzione di accertare la sussistenza o meno del diritto azionato e, quindi, è destinato ad affermare la sussistenza o meno del diritto della parte, senza che ciò rechi benefici al complesso dei creditori. La conseguenza pratica di questa soluzione interpretativa è che il credito per le spese sostenute dal creditore procedente in relazione al giudizio di merito, non essendo coperto dal privilegio di cui all'art. 2770 c.c., sarà collocato nel medesimo grado del credito al quale accede, ossia di quello azionato in giudizio (così, tra le altre, Cass. civ., sent., 29 maggio 2003, n. 8634). La pronuncia della Corte di Cassazione conferma l'orientamento costante della Suprema Corte, affermato sin dalla risalente sentenza n. 2134, del 30 luglio 1966, che, più specificamente, escludeva che fossero coperte dal privilegio ex art. 2770 c.c. le spese sostenute da parte di un creditore per il giudizio di simulazione assoluta di un atto di disposizione di un bene compiuto dal debitore, nel presupposto che, appunto, non si trattasse di un atto conservativo in senso stretto, ossia compiuto nell'interesse di tutti i creditori. Il principio è stato applicato anche nella successiva decisione Cass. n. 3461 del 24 ottobre 1968, in cui, nel ribadire che le spese assistite dal privilegio generale in questione sono solo quelle sostenute per atti finalizzati a conservare la garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 c.c., come appunto quelle relative al sequestro conservativo, nonché quelle funzionali a realizzare l'espropriazione coattiva dei beni ex art. 2910 c.c., si è escluso specificamente che il privilegio possa estendersi all'ipotesi del sequestro giudiziario ex art. 670 c.p.c., che ha la diversa finalità di evitare il pericolo di deterioramento, sottrazione od alterazione di beni della cui proprietà o possesso si controverte in giudizio; in questo caso, infatti, la funzione del provvedimento di sequestro è quella di assicurare l'attuazione effettiva del diritto della parte vincitrice riconosciuto all'esito del giudizio di merito e non già di assicurare la conservazione del patrimonio del debitore in vista dell'espropriazione forzata e, quindi, nell'interesse di tutti gli altri eventuali creditori. In linea con le decisioni richiamate è anche la sentenza Cass., 9 febbraio 2001, n. 1837. Osservazioni
Il principio ribadito dalla decisione in commento ha trovato conferma anche in una sentenza successiva di pochi giorni a quella in esame, la Cass., 23 dicembre 2016, n. 26949. È interessante osservare che in quest'ultima decisione la questione è stata affrontata dalla Suprema Corte nella prospettiva non già del creditore procedente nella procedura esecutiva, ma del creditore istante nella procedura concorsuale fallimentare. In particolare, nella recentissima pronuncia del 23 dicembre 2016 si è ribadito il riconoscimento del privilegio ai sensi dell'art. 2770 c.c. in relazione al credito relativo alle spese sostenute in relazione all'attività processuale finalizzata alla richiesta di fallimento. Anche in questa ipotesi ricorre la medesima ratio che giustifica il riconoscimento del privilegio ex art. 2770 c.c. per le spese sostenute dal creditore che abbia agito per ottenere il sequestro conservativo: infatti, il creditore che agisce ai fini della procedura concorsuale svolge un'attività processuale che, in definitiva, è diretta a realizzare l'interesse anche degli altri creditori, i quali beneficiano della sottrazione dei beni al debitore/fallito e, conseguentemente, della destinazione di questi ultimi al soddisfacimento dei propri crediti. Ne consegue che ricorre la medesima finalità che giustifica l'estensione del privilegio, ossia quella di tutelare l'attività processuale che viene svolta nell'interesse dell'intero ceto creditorio. Anche in questo caso si consolida un principio già affermato dalla Corte di Cassazione, sin dalla sent., 4 maggio 2000, n. 6787, secondo cui: «Al creditore istante per la dichiarazione di fallimento del suo debitore va riconosciuto il privilegio di cui agli art. 2755, 2770 c.c. e art. 95 c.p.c. (privilegio per spese di giustizia) con riferimento alle spese all'uopo sostenute, atteso il sostanziale parallelismo tra creditore procedente nella procedura esecutiva singolare e creditore istante nella procedura concorsuale». In quest'ultima pronuncia si è affermato per la prima volta il principio dell'estensione del privilegio ex art. 2770 c.c. anche alle spese sostenute per la dichiarazione di fallimento; ciò nel presupposto che la dichiarazione di fallimento sia equiparabile all'atto di pignoramento, come espressamente prevede l'art. 54, comma terzo, legge fall., ed in particolare, ad un pignoramento generale, posto che dalla data della pronuncia il fallito viene privato dell'amministrazione e della disponibilità del suo patrimonio ed i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali su quel patrimonio. Da tale premessa consegue, quindi, l'applicazione della medesima disciplina delle spese che governa il processo di esecuzione, basata sul principio in forza del quale le spese sostenute dal creditore procedente sono a carico di chi subisce l'esecuzione, fermo restando il riconoscimento del privilegio previsto dal codice civile, ed in particolare di quello riconosciuto dall'art. 2770 c.c.. Il principio appena richiamato, applicato in tema di fallimento, è stato confermato anche nella successiva sentenza della Corte di Cassazione, 20 gennaio 2006, n. 1186, seppure in relazione alla diversa questione relativa alla possibilità di estendere il privilegio ex art. 2770 c.c. anche alle spese sostenute dal creditore istante nel giudizio di opposizione allo stato passivo. Con riferimento a quest'ipotesi, la Suprema Corte giunge alla soluzione negativa, evidenziando che, da un lato, in questo caso l'attività del creditore istante non è più diretta a conseguire il risultato di aprire l'esecuzione e sottrarre i beni alla disponibilità del debitore, nell'interesse di tutti i creditori, ma di resistere alla contestazione del debitore avverso una decisione a lui sfavorevole, proposta da un lato nei confronti dell'organo attivo della procedura, e, dall'altro, richiamando il principio generale secondo il quale le cause legittime di prelazione sono fattispecie tassative, di carattere eccezionale, rispetto alle quali deve essere esclusa ogni applicazione analogica. E' agevole osservare che si tratta, in sostanza, dei medesimi argomenti posti a fondamento della decisione del 2016 in commento, adattati alle specificità del contenzioso fallimentare. |