Mediazione obbligatoria vs ADR: quale scegliere? Decide la Corte di Giustizia Europea

Redazione scientifica
09 Maggio 2016

In materia di contratti bancari si pone un concorso di norme che prevedono da un lato il ricorso obbligatorio alla mediazione e dall'altro quello facoltativo ad uno strumento alternativo di risoluzione della controversia.

Il caso. Due correntisti propongono opposizione al decreto che aveva ingiunto loro di pagare una somma a titolo di saldo debitore all'istituto di credito presso cui avevano concluso un contratto di apertura di credito in conto corrente.

Il giudice de quo respinge l'istanza di sospensiva e per l'ulteriore corso del giudizio rileva il concorso di due norme che prevedono una l'obbligo di mediazione (art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010), l'altra la facoltà di attivare l'ADR, alternative dispute resolution (art. 141, comma 4, d.lgs. 206/2005 come modificato dall'art. 2 del d.lgs. 130/2015).

Mediazione. Trattandosi di materia bancaria, a norma dell'art. 5, comma 1-bis e 4, del d.lgs. 28/2010, il Giudice afferma che condizione di procedibilità della domanda è il preventivo esperimento del procedimento di mediazione. L'onere della sua introduzione spetta agli attori; come specifica la Corte, infatti, «nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l'onere di attivare la mediazione grava sulla parte che ha interesse al processo ed ha il potere di iniziare il processo, vale a dire l'opponente, con la conseguenza che se ciò non dovesse avvenire il decreto ingiuntivo si consoliderebbe» (Cass. civ., 3 dicembre 2015 n. 24629).

ADR (Alternative Dispute Resolution). Il giudice parallelamente rileva però che la controversia in esame presenta caratteristiche tali da rendere estendibile un'applicazione del d.lgs. 6 agosto 2015 n.130, provvedimento con cui l'Italia ha recepito la Direttiva UE 2013/11 sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, ed in particolare del suo art. 141, comma 4.

  • Da un punto di vista oggettivo il contratto di apertura di conto corrente può essere considerato contratto di servizi secondo l'accezione del comma 1, art. 141, d.lgs. 206/2005 come modificato dall'art. 2 d.lgs. 130/2015; questa tesi è inoltre incidentalmente supportata da una pronuncia della Corte di Giustizia (17 marzo 1998, causa C-45/1996).
  • Da un punto di vista soggettivo, è chiaro come gli attori rivestano la qualità di consumatori «dal momento che hanno concluso i contratti per cui è causa quali persone fisiche e per fini esultanti dalla loro attività commerciale o professionale».

Pertanto gli attori avrebbero la facoltà, e non l'obbligo, di attivare questo strumento alternativo di risoluzione della controversia.

Rinvio alla Corte di Giustizia europea. Sebbene l'art. 141, comma 6, d.lgs. 206/2005 come modificato dall'art. 2 d.lgs. 130/2015 faccia salve alcune disposizioni nazionali che prevedono l'obbligatorietà delle procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie, il giudice, a seguito di un attenta valutazione delle conseguenze scaturenti dall'applicazione del procedimento di mediazione, nell'evidenziare come il consumatore si troverebbe così in una posizione meno favorevole sia da un punto di vista di costi, sia per la privazione della possibilità di ritirarsi senza conseguenze, per la risoluzione delle pregiudiziali decide di richiedere l'intervento della Corte di Giustizia Europea.

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